
L’Ue ha l’inviato speciale per la libertà religiosa. «Ora passiamo ai fatti»

Carlo Fidanza, europarlamentare di Fratelli d’Italia (Conservatori e Riformisti europei), da tre anni è Co-Presidente dell’Intergruppo per la libertà religiosa del Parlamento europeo e insieme a lui è interessante capire se l’Unione Europea sta compiendo passi avanti su questo terreno.
Onorevole Fidanza, c’è stata la nomina del nuovo inviato speciale Ue per la libertà religiosa, il belga Frans Van Daele…
Una nomina che arriva con un ritardo inspiegabile e ingiustificabile, se pensiamo che quel ruolo era vacante dall’ottobre 2019, dopo le dimissioni del greco Stylianidīs, chiamato a far parte del governo di Atene. In questi anni il nostro Intergruppo ha costantemente incalzato la presidente Von der Leyen e il commissario Schinas affinché procedessero con la nomina, senza dare troppo ascolto a chi – soprattutto nella sinistra woke – ha esplicitamente lavorato contro, permettendosi anche di emettere fatwe contro potenziali candidati, accusati di essere “troppo cattolici”. Bene che finalmente si sia proceduto, ora occorre passare ai fatti.
Perché è importante che l’Ue si sia dotata di questa figura?
Sono diverse decine gli Stati membri delle Nazioni Unite che hanno istituito figure simili. I pionieri sono stati gli americani, che hanno approvato l’International Freedom of Religion Act e, sotto l’amministrazione Trump, hanno nominato un ambasciatore generale e un’agenzia chiamata Uscirf (US Committee for International Religious Freedom). Attualmente esiste l’Irfba, l’alleanza internazionale per la libertà religiosa, dove gli Inviati speciali di oltre 40 Paesi si riuniscono mensilmente per scambiarsi informazioni e pianificare azioni comuni. Io sono stato per lungo tempo l’unico italiano a farne parte, ma in rappresentanza del Parlamento europeo. Alcuni mesi fa il governo italiano ha nominato l’ambasciatore Andrea Benzo. Ma vedere il seggio dell’esecutivo Ue vuoto per così tanto tempo è stato davvero un peccato.
Van Daele può essere la persona giusta al posto giusto?
È presto per dirlo, sicuramente si tratta di un diplomatico di grande esperienza e di un fine conoscitore delle dinamiche internazionali. Ora il suo ufficio va dotato di strumenti, risorse e soprattutto copertura politica. Quello che non c’è stato nemmeno ai tempi del primo inviato speciale nominato nel 2016, il ceco Jan Figel, che ha svolto un grande lavoro ma con scarso supporto dai piani alti. Noi in Parlamento certamente lo pungoleremo e lo sosterremo.
Cosa si può fare di più?
Io credo che l’inviato speciale debba poter contare sul pieno supporto del Seae (Servizio europeo di azione esterna, ndr), ovvero la diplomazia dell’Ue, per agire in casi concreti di violazione di questo diritto fondamentale, come nei casi di condanne a morte in base alle leggi coraniche anti-blasfemia ancora in vigore in 7 paesi. Ma serve un passo ulteriore, sul quale serve una forte volontà politica dei governi e della Commissione: inserire in ogni accordo di partenariato o progetto di cooperazione un vincolo specifico in capo ai Paesi terzi beneficiari legato all’effettivo impegno per la libertà religiosa e la tutela delle minoranze discriminate e perseguitate in ragione della propria fede.
Tra queste i cristiani storicamente sono di gran lunga quelli messi peggio…
Si, è per questo che durante l’ultima plenaria ho voluto ospitare al Parlamento di Strasburgo padre Pios Afaas, sacerdote della chiesa siro-cattolica di San Tommaso di Mosul, nell’Iraq del Nord. Padre Afaas ha raccontato le sofferenze delle popolazioni cristiane culminate nel 2014 quando le bandiere nere dello Stato islamico presero il controllo di Mosul, uccidendo moltissimi cristiani, distruggendo i luoghi di culto e costringendo centinaia di migliaia di persone all’esodo. Il messaggio di speranza dato dalla visita pastorale di papa Francesco nel 2017 a Mosul non è bastato a spingere al ritorno i tanti che erano partiti, poiché le discriminazioni quotidiane persistono ad opera di un regime su cui è pesante l’influenza teocratica dell’Iran degli Ayatollah. Così abbiamo voluto portare in Parlamento una testimonianza toccante del martirio quotidiano al quale sono sottoposti i cristiani in Medio Oriente. Con loro, tanto in Africa quanto in Asia, sono circa 360 milioni i fedeli cristiani perseguitati, quasi 6 mila morti (una media di 16 al giorno). Non possiamo più rimanere indifferenti.
Foto Ansa
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