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Ucraina. Nuovo dossier sulla morte di Andrea Rocchelli

La Procura di Pavia vuole spiegazione da Kiev sul caso del fotorepoter italiano. E ipotizza che si sia trattato non di una fatalità, ma di un agguato

Luigi De Biase
23/05/2017 - 2:00
Esteri
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Ci sono quindici domande senza risposta, quindici punti che riguardano la morte del fotorepoter di Pavia Andrea Rocchelli sui quali il governo ucraino ha sin qui evitato di fornire spiegazioni. Nomi e cognomi di testimoni mai sentiti. Esami che le autorità hanno rifiutato di compiere (compreso quello della balistica). Dettagli ignorati dagli inquirenti, nonostante le richieste sostenute in più occasioni dalla diplomazia e dai magistrati italiani. Ora a Pavia la Procura ha pronto un nuovo dossier per ottenere da Kiev informazioni necessarie a concludere l’indagine. Con una ipotesi che sembra ormai precisa: la fine di Rocchelli, 30 anni al momento della morte, e quella del suo collega russo, Andrei Mironov, che di anni ne aveva 60, non è dovuta a una fatalità, come sostengono da tre anni esatti gli ufficiali ucraini che hanno avuto a che fare in un modo o nell’altro con il caso. È venuta, invece, a compimento di un agguato che l’esercito ucraino avrebbe portato a termine volontariamente e deliberatamente, con sessanta colpi di mortaio partiti in pochi minuti da una postazione militare sulla cima di una collina.

Rocchelli ha perso la vita il 24 maggio del 2014 su una strada piatta che porta a Slovyansk, nelle campagne dell’Ucraina orientale. Andy, come lo chiamano ancora i fotografi del collettivo Cesura per il quale lavorava ormai da tempo, aveva raggiunto quel punto a bordo di un taxi assieme a Mironov, al fotografo francese William Roguelon, sopravvissuto miracolosamente all’attacco, e ad altre due persone: l’autista e un quinto uomo che rimane senza nome, il cui volto è impresso, però, nelle ultime fotografie scattate da Rocchelli proprio sul luogo della tragedia, pochi minuti prima di perdere la vita. Quel gruppetto di cronisti preparati attraversava da giorni le province violente dell’Ucraina. Andrea era stato a Kiev nel corso dell’inverno, nei giorni degli scontri tra polizia e manifestanti, e le sue foto erano finite sulla grande stampa internazionale, in Italia, in Russia e negli Stati Uniti. Con Mironov aveva poi deciso di raccontare la guerra civile che cominciava in primavera attorno a Donetsk.

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A dire il vero “guerra civile” è una di quelle espressioni che il governo di Kiev ha sempre cercato di evitare. L’11 di maggio, due settimane prima che Rocchelli morisse, migliaia di persone avevano partecipato al referendum sull’autonomia di Donetsk, nell’edificio che sino ad allora aveva ospitato l’amministrazione della città: oltre due milioni al voto, il 96 per cento schierato a favore della scissione. Già da allora Donetsk era formalmente occupata da uomini armati che portavano divise senza insegne di un esercito. Erano milizie di volontari e veterani di guerre lontane, finanziati da uomini d’affari legati anche agli interessi della Russia. All’esito del referendum il governo ucraino ha risposto con una operazione “antiterrorismo” che impegna ancora oggi migliaia di truppe regolari, ma vedeva allora in prima linea paramilitari, ultras e fanatici di estrema destra. Le cittadine di Slovyansk, Kramatorks e Andreevka erano in quei giorni la linea di fuoco di una guerra che nessuno aveva ancora dichiarato apertamente, ma che già si combatteva strada per strada. Andrea Rocchelli viaggiava verso quel fronte quando la sua auto è stata colpita con ogni probabilità dall’artiglieria che l’esercito ucraino aveva installato su una collina chiamata Karachun.

La svolta investigativa è avvenuta con l’ingresso nelle indagini del Ros di Milano, che ha acquisito e repertato negli ultimi sei mesi fotografie, computer e hard disk appartenuti a Rocchelli. Un altro elemento importante verrà dall’analisi sulle schegge di metallo estratte in Francia dalle gambe di Roguelon. A quel punto potrebbe essere realistico individuare il tipo di arma usata nell’agguato. L’inchiesta dovrebbe muoversi adesso su un doppio binario: da una parte la giustizia, dall’altra il ministero degli Esteri e la diplomazia, con la possibilità che gli inquirenti chiedano di concludere gli esami sul terreno, in Ucraina, nel caso in cui da Kiev non arrivino risposte sui quindici punti dell’ultimo dossier. Ma con il tempo che passa cresce il sospetto che il governo del paese cerchi in ogni modo di rinviare le responsabilità di questa uccisione, anche attraverso depistaggi, ritardi e dimenticanze più che sospette. Il 27 di giugno, il ministro degli Esteri ucraino, Pavlo Klimkin, sarà a Roma in visita ufficiale. Quando l’ho intervistato a Kiev, due anni fa, per conto del TG5, Klimkin ha avanzato il proposito di incontrare i genitori di Andrea Rocchelli nel corso del suo primo viaggio in Italia. Questa sarebbe l’occasione buona per farlo: per mostrare concretamente non solo la vicinanza che l’Ucraina in ogni caso deve ai familiari del fotoreporter, ma soprattutto la volontà di collaborare senza finzioni alle indagini sull’omicidio.

@LuigiDeBiase

Foto Ansa

Tags: donetskUcraina
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