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Tutti i guai dell’Obamacare. Così la riforma che doveva iscrivere Obama nella storia lo sta portando alla rovina

Tasse. Problemi tecnici devastanti. Distruzione della forza lavoro. Assistenzialismo depressivo. Minacce alla libertà religiosa nel nome dell'uguaglianza. Ecco perché la nuova sanità Usa è "antiamericana"

Mattia Ferraresi
15/02/2014 - 3:00
Esteri
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La riforma sanitaria di Barack Obama è come i malanni a una certa età: invece di guarire si spostano. Quando un problema sembra risolto, rispunta aggravato da un’altra parte. Per un portale online che viene aggiustato con ingenti costi politici e d’immagine c’è almeno uno studio di qualche agenzia che certifica gli effetti disastrosi della riforma sull’economia. Per ogni nuovo difetto del sistema che emerge si trova sempre, nell’inesauribile archivio della rete, una circostanza in cui il presidente ha promesso che il suddetto difetto non sarebbe mai apparso. E così la riforma più ambiziosa, quella con cui Obama aspira a mettere il suo timbro nella storia, assomiglia sempre di più a un raffazzonato coacervo di contraddizioni, tenuto insieme da toppe che talvolta non appaiono migliori dei buchi.

Da quando la riforma è entrata in vigore, l’amministrazione Obama si è trovata a fronteggiare due complicazioni fondamentali. La prima, di natura tecnica, riguarda l’accesso degli americani al sito healthcare.gov dove si può acquistare un’assicurazione sanitaria compatibile con gli standard previsti dalla riforma. Il portale è collassato sotto la prevedibile mole di click e ci sono voluti mesi di scuse pubbliche e marce indietro per rimettere in sesto un’infrastruttura che non ha reso grande onore alle ambizioni digitali dell’amministrazione. Comprare un’assicurazione, poi, è un obbligo, non una scelta, quindi decine di milioni di americani si sono trovati con il governo che diceva “iscriviti!” e una schermata che diceva “purtroppo non puoi iscriverti”.

obamacare-bloomberg-businessweek-copertinaMa questo, per quanto spiacevole, è soltanto il lato tecnico del disastro. Il lato politico – seconda complicazione – riguarda innanzitutto la discrepanza fra le promesse di Obama e le disposizioni della sua riforma. «Se uno è soddisfatto del suo piano assicurativo, potrà tenerlo» è la frase obamiana che i critici gli hanno rovesciato addosso a ciclo continuo quando è stato chiaro che, in effetti, per diversi milioni di americani quella frase non era valida. Era soltanto uno slogan per placare chi gridava all’assalto del sistema sanitario da parte dello Stato federale. Molti di questi, soddisfatti del loro piano e decisi a rinnovarlo tale e quale, giusto vidimato dall’autorità statale, si sono trovati in un cul de sac: la loro assicurazione non era più compatibile con gli standard fissati dal governo, ma per acquistarne una approvata da Washington il premio mensile schizzava in alto. Questione tanto di principio quanto di portafogli, dunque, e le cose vanno sempre a braccetto in una riforma che ambisce ad allargare la copertura sanitaria e a essere allo stesso tempo più efficiente. Vasto programma.

La forza lavoro bruciata
Ancora sottili, complesse, e non compiutamente decifrabili, le conseguenze economiche e sociali di una riforma che modifica la natura stessa del modello sociale americano. L’ultima tegola caduta sulla testa dell’Obamacare è uno studio di 182 pagine sfornato dall’ufficio budget del Congresso (Cbo), centro studi bipartisan le cui valutazioni sono tenute in altissima considerazione dall’intero spettro politico. Quel documento è la sintesi di tutte le magagne, conclamate o potenziali, che ormai da anni rinfocolano il dibattito intorno alle effettive ricadute della riforma. E se la sintesi è di 182 pagine, immaginate la lunghezza per esteso.

Il numero che fa più sensazione è 2,5 milioni: sono i posti di lavoro che verranno bruciati dalla riforma sanitaria nei prossimi dieci anni. La stima del Cbo è triplicata rispetto allo studio di tre anni fa. Per “bruciati” s’intende che 2,5 milioni di americani usciranno dalla cosiddetta “forza lavoro”, cioè il bacino di persone in età lavorativa che hanno un’occupazione o ne stanno attivamente cercando una. La definizione di “forza lavoro” è fondamentale per capire cosa sta succedendo in questa “jobless recovery” americana, ripresa economica non accompagnata da una relativo consolidamento del mercato del lavoro. Il prosciugamento della forza lavoro è il motivo per cui, tanto per fare un esempio, i dati mensili sull’occupazione diffusi venerdì scorso dicono che sono stati assunti meno lavoratori rispetto a quelli previsti dagli economisti, ma contemporaneamente il tasso di disoccupazione è calato. Com’è possibile che si assuma poco e i disoccupati diminuiscano? Semplice: il tasso di disoccupazione è relativo al bacino della “forza lavoro”, e chi smette di cercare un lavoro – perché, ad esempio, ha perso la speranza di trovarlo oppure sta perfezionando la sua istruzione per riposizionarsi sul mercato – non è tecnicamente un disoccupato. Risultato: il tasso di disoccupazione reale è circa il doppio di quel 6,6 per cento che preso senza contesto racconta di un paese in piena ripresa.

obamacare-sitoOra, la riforma sanitaria riduce l’ampiezza della forza lavoro di 2,5 milioni di unità. Come? Scoraggiando chi aveva interessa a lavorare anche – talvolta principalmente – per la copertura sanitaria che il posto garantiva. Il sistema pre Obamacare si reggeva, in gran parte, sulla saldatura fra lavoro e copertura sanitaria. Nella stragrande maggioranza dei casi l’uno garantiva l’altra, e il binomio faceva sì che il sistema fosse particolarmente dinamico, non seduto sulla consapevolezza che in ogni caso lo Stato avrebbe provveduto alla copertura sanitaria. Obama ha rovesciato l’impostazione, disancorando – almeno in parte – la sanità dal lavoro e spingendola verso l’ambito dei servizi pubblici europeisticamente intesi e amministrati. Lo studio del Cbo documenta in termini numerici questa rivoluzione copernicana che ha costretto la Casa Bianca a spiegare la ratio della legge con formule fra il ridicolo e l’offensivo, come quella degli americani «intrappolati nel proprio lavoro» che saranno finalmente liberi di scegliere la disoccupazione senza essere ricattati dall’assicurazione. Il motto potrebbe essere: “Chi ha scelto di tenersi il lavoro, potrà tenerselo”, e si è già visto il suo slogan gemello che fine ha fatto.

L’innalzamento delle tasse
I sostenitori della riforma dicono che una riduzione della forza lavoro produrrà un innalzamento degli stipendi, altra preoccupazione fondamentale di Obama, che non può permettersi di lasciare la lotta per la giustizia sociale nelle mani delle forze che avanzano a sinistra, vedi alla voce Bill de Blasio; ma di certo scoraggia, in termini generali, il lavoro, vicenda che non dovrebbe lasciare del tutto tranquilli ora che la partecipazione alla forza lavoro ha raggiunto il minimo storico negli ultimi quarant’anni. Si tratta, di fatto, di una correzione in senso assistenzialista di un sistema fondato su libertà individuale e voglia di rimboccarsi le maniche. Un sistema talvolta selvaggio, soprattutto per una fetta di middle class e per i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro, ma intimamente americano. L’Obamacare è un ibrido, e ora stanno emergendo i punti dolenti di un compromesso sociale venduto come massimo della civiltà.

Un’altra conseguenza dell’Obamacare riguarda le tasse. È inevitabile che per finanziare la riforma il governo vada a pescare nelle tasche dei contribuenti, e lo studio del Cbo quantifica la stretta fiscale che è accuratamente distribuita nei meandri della legge: mille miliardi di dollari, tirati su un po’ ovunque. Si va dall’aumento delle accise per i centri di benessere alle eliminazione di una serie di crediti fiscali fino alle penali per chi ha un piano assicurativo che copre troppo (tradotto: per i ricchi).

L’ultima conseguenza economica riguarda i duemila miliardi di dollari per i sussidi per i meno abbienti, riforma che denota una certa sensibilità sociale ma che rischia di deprimere ulteriormente il mercato del lavoro. Ci sono almeno quattro studi di autorevoli università che confermano in modo indipendente le conclusioni del Cbo. L’economista Graig Gartwaite, della Northwestern University, scrive che l’estensione dei sussidi è direttamente collegata all’aumento della disoccupazione: «Il Cbo stima che l’accesso ai sussidi sotto la riforma sanitaria ridurrà gli incentivi al lavoro». L’Obamacare somministra un tranquillante a un’economia che reclama adrenalina.

La battaglia per la libertà religiosa
A tutto questo si somma la battaglia per la libertà religiosa che la riforma sanitaria ha scatenato. Un’impostazione livellatrice ed egalitarista come quella pensata dall’amministrazione Obama non può tollerare eccezioni. Nei piani assicurativi, che è obbligatorio per legge acquistare, è altrettanto obbligatorio che siano coperti contraccettivi di vario genere e farmaci abortivi. Tutti i datori di lavoro e tutte le compagnie assicurative devono attenersi alla regola, pena una multa così salata che farebbe chiudere qualunque attività dissidente nel giro di pochi mesi. E se qualcuno pone un’obiezione di coscienza, magari adducendo motivazioni religiose? Obama è tollerante, naturalmente, e permette alle parrocchie e ai luoghi di culto costituiti formalmente in società di godere di un’eccezione alla regola. Ma le università cattoliche? Gli ospedali d’ispirazione religiosa? Il terzo settore che nasce da esperienze di fede?

E – caso ancora più chiaro – se una famiglia di battisti del sud è proprietaria di un’azienda che vende utensili e non vuole pagare per servizi sanitari che violano la sua coscienza? Ecco, a quel punto ci si rivolge, ancora una volta, alla Corte suprema. Il caso della catena Hobby Lobby è già all’attenzione della massima corte americana, e ci sono una novantina di contenziosi analoghi aperti in tutti gli Stati Uniti, a vari livelli. Di recente una congregazione di suore del Colorado, non esentata dalla disposizione, ha ottenuto una parziale vittoria legale che andrà però ratificata da una sentenza che confermi, o smentisca, a titolo definitivo un dispositivo che con il pretesto dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, combinato alla retorica della sanità per tutti, circoscrive la prima libertà citata nel primo emendamento alla Costituzione americana: la libertà religiosa.

La conferenza episcopale americana si batte furiosamente ormai da anni contro una legge che va nella direzione della marginalizzazione dell’esperienza religiosa dalla vita pubblica, tentativo che il cardinale di New York, Timothy Dolan, aveva bollato come “antiamericano”. Prima ancora che un problema di rapporto con la fede e le sue espressioni sociali e culturali, l’Obamacare configura un problema nel rapporto con lo spirito americano, che dice di difendere a forza di provvedimenti depressivi, tasse e uguaglianza per decreto.

Tags: Abortoassicurazione sanitariaBarack Obamacasa biancacontraccettivicontraccezionecorte supremadisoccupazionehobby lobbyLavorolibertà religiosaObamaobama riforma sanitaobamacaresanitàsanità usaTimothy Dolan
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