Erdogan l’ha ripetuto il 9 maggio scorso davanti agli industriali della Turchia che festeggiavano la fondazione della loro associazione: nessun profugo siriano accolto in Turchia sarà rispedito in Siria contro la sua volontà, i rimpatri dovranno essere volontari. Effettivamente già nel discorso del 3 maggio, quello nel corso del quale aveva svelato il piano per la ricollocazione di 1 milione di profughi siriani in 13 distretti della Siria settentrionale, il presidente si era premurato di dire che i rimpatri sarebbero avvenuti su base volontaria.
Xenofobi contro Erdogan
Ma allora perché annunciare la cifra di 1 milione, e un piano infrastrutturale dettagliato in otto fasi, che prevederebbe l’istituzione di insediamenti industriali e di aree commerciali, e la costruzione scuola, ospedali, moschee, negozi e bazaar? Perché comunicare i nomi delle Ong che avrebbero preso parte ai lavori (Kizilay e Ihh) coordinate dall’equivalente turco della Protezione civile (l’Afad, Presidenza per i disastri e le emergenze)? Perché annunciare la creazione di corsi professionali, linee di microcredito e laboratori di produzione affinché i siriani possano esercitare una professione?
La spiegazione che molti osservatori danno è che in Turchia la questione dei profughi (3 milioni e mezzo di siriani) e dei clandestini che vivono nel paese (per lo più afghani) è diventata un cavallo di battaglia dei partiti di opposizione e non solo, che intendono usarla contro il presidente nelle prossime elezioni politiche del 2023. Il leader del CHP, il principale partito di opposizione, ha dichiarato che se il suo partito vincerà, rimanderà in Siria i siriani che si trovano in Turchia secondo il meccanismo della protezione temporanea: il piccolo partito xenofobo Vittoria ha sponsorizzato un documentario di nove minuti intitolato “L’invasione silenziosa” che ha avuto due milioni di visualizzazioni nel giro di ventiquattro ore prima di essere rimosso dalle autorità. In esso si mostrava una Turchia dove nel 2043 un partito formato essenzialmente da profughi e figli di profughi siriani vinceva le elezioni e governava il paese; una volta saliti al potere i siriani sostituivano la lingua araba al turco.
Devlet Bahceli, il leadere dell’Mhp, il partito ultranazionalista alleato di Erdogan, ha detto nel corso di un infuocato discorso alla vigilia della festa dell’Eid che i siriani che andavano dai parenti in Siria per la festa non dovevano più essere riammessi in Turchia. Effettivamente il ministro dell’Interno Suleyman Soylu ha annunciato che i siriani tornati a casa per le vacanze non sarebbero potuti rientrare in Turchia. Tuttavia, ormai un gruppo di siriani era già stato autorizzato dai governatori locali a recarsi in Siria per tre giorni, e questi sono potuti tornare nel paese dove hanno chiesto asilo dopo la visita ai parenti.
I territori controllati dalla Turchia in Siria
La Turchia controlla attualmente quasi 9 mila chilometri quadrati di territorio siriano in tre zone lungo il suo confine con la Siria, per un’area totale pari a quella della regione Marche in Italia. I principali distretti occupati da truppe turche affiancate da milizie siriane ribelli sono quelli di Aziz, Jarablus, El Bab, Tel Abyad e Rasulayn. Non bisogna però dimenticare che anche nel governatorato dell’Idlib, controllato militarmente e amministrativamente quasi al 100 per cento dal gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham (Hts), sono presenti con 70 fra basi militari e posti di osservazione delle forze armate turche, che fanno da forza di interposizione fra i ribelli e i governativi siriani appoggiati dalla Russia e dall’Iran.
Inoltre il governo turco finanza la costruzione di case in muratura per la popolazione sfollata nell’Idlib, al seguito dei ribelli islamisti espulsi da altre regioni della Siria; recentemente ne sono state consegnate 50 mila, opera dell’Afad e del governo regionale dell’Hatay, la regione turca che confina con l’Idlib. Questo dovrebbe far puntare i riflettori su una questione altrettanto interessante quanto il presunto rimpatrio di massa di profughi siriani: il costante avvicinamento fra il governo turco e ribelli jihadisti di Hts. Dopo aver ottenuto il pieno controllo della provincia dell’Idlib, Hayat Tahrir al-Sham sta ora cercando di riavvicinarsi con diverse fazioni del Libero esercito siriano (Fsa) sostenute dalla Turchia nella campagna di Aleppo.
L’amicizia con i terroristi di Hts
Sembra che Hts – che in passato si chiamava Jahbat al-Nusra e rappresentava la filiale siriana di Al Qaeda – stia seriamente cercando di coordinarsi con le fazioni su questioni di sicurezza e militari come preludio a passi più grandi che potrebbero raggiungere la piena integrazione con le fazioni dell’Fsa. Ciò costituirebbe la base per un’unica amministrazione civile e militare che governi le aree al di fuori del controllo del governo siriano nel nord-ovest della Siria.
Le relazioni tra la Turchia e Hts hanno oscillato nel tempo. Inizialmente sono state ostili a motivo dell’allineamento di Hts con Al Qaeda, ma sono evolute verso la collaborazione quando gli occidentali hanno cominciato a sostenere i curdi delle Fds, nemici comuni ai jihadisti di Hts e al governo turco, e quando i primi hanno preso le distanze dai loro padrini di Al Qaeda.
Il rapporto tra i due è iniziato come un rapporto ostile che vedeva la Turchia vincolata da leggi e trattati sulla lotta al terrorismo (Hts è organizzazione terroristica secondo gli Usa e l’Unione Europea), e Hts ideologicamente ispirata ad Al Qaeda e perciò critica di quel che restava del sistema laico e democratico della Turchia. Quell’ostilità si è trasformata in una forma di coordinamento fra pari, quando Hts ha consentito alle pattuglie turche di entrare nei territori sotto il suo controllo e ha protetto i punti di osservazione turchi nel nord della Siria, nonostante in precedenza avesse espresso disapprovazione per la loro presenza.
I rapporti delle altre fazioni armate siriane
Questa situazione è nata da interessi condivisi dalle due parti. Hts ha bisogno di una copertura politica sia a livello regionale che internazionale per non essere presa di mira in quanto gruppo terroristico e per essere infine rimosso dalla lista delle organizzazioni che lo sono. La Turchia ha bisogno di legami con un gruppo armato capace di disciplina militare e organizzativa, sia in grado di controllare il territorio e non subordinato a nessuna potenza straniera. Questo non è il caso delle altre fazioni armate della Siria, che sono collegate ai paesi del Golfo, agli Stati Uniti e alla Russia, e che quindi rappresentano una minaccia alla sicurezza nazionale turca.
In aprile Hts ha consegnato prigionieri jihadisti di altre formazioni siriane alle autorità turche per accelerare il processo che dovrebbe portare al suo sdoganamento. Organizzazioni come l’International Crisis Group e il Syrian Dialogue Centre si sono dichiarati favorevoli alla rimozione di Hts dalla lista delle organizzazioni terroristiche. Quando si chiamava Jabhat al-Nusra, Hts ha compiuto alcuni dei più efferati attentati contro la popolazione civile a Damasco e in altre città della Siria.