

Oggi e domani si festeggia in Libia, a un anno esatto dall’inizio della rivoluzione. Il 17 febbraio dell’anno scorso i ribelli scendevano in piazza a Bengasi per la prima volta per celebrare il “giorno della collera” contro Muammar Gheddafi. Proteste durate otto mesi, passate per una guerra civile sanguinosa, dove a spuntarla sono stati i rivoltosi di Bengasi che, appoggiati dall’intervento della Nato autorizzata ad intervenire il 17 marzo dall’Onu, il 20 ottobre hanno preso Sirte uccidendo il raìs Gheddafi. Da quattro mesi il governo del paese è stato assunto dal Consiglio nazionale transitorio (Cnt), guidato dal suo presidente Mustafa Abdel-Jalil.
Ma la Libia, un anno dopo, non è affatto un paese pacificato. Tra i problemi principali c’è la grande quantità di armi ancora in circolazione, con decine di migliaia di ex ribelli che, invece di tornare alla vita normale, riuniti in brigate presidiano ognuno il suo territorio, occupando lussuose camere di albergo e vivendo nelle ricche case degli ex funzionari del regime. Secondo quanto riporta AsiaNews, ad esempio, l’Università di Tripoli, che ha riaperto da pochi giorni, è ancora una sorta di piazza d’armi e gli studenti sono costretti ad ascoltare le lezioni con a fianco pile di granate, proiettili e fucili mitragliatori.
L’abbondanza di armi non sono l’unico problema della Libia post-Gheddafi. Secondo i rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch «le milizie sono al di sopra della legge, non sono giuridicamente responsabili e le autorità non riescono a cambiare le cose». Ogni giorno si inseguono le notizie sulla caccia all’uomo degli ex gheddafiani, le esecuzioni sommarie, le incarcerazioni senza processo e le torture. Come se non bastasse, dalla morte di Gheddafi non si sono mai fermati gli scontri a fuoco tra tribù rivali.
A maggio sono previste le elezioni per l’Assemblea costituente per definire la nuova Costituzione, mentre le elezioni presidenziali e legislative sono in programma entro l’inizio del 2013. La Costituzione, secondo quanto affermato dal presidente del Cnt Jalil, «si ispirerà alla Sharia» e le norme non conformi ad essa saranno modificate: «Per noi prima viene la legge islamica, poi la Costituzione con le sue indicazioni di massima e infine arrivano le leggi specifiche e dettagliate». Ad ogni modo, il vicario di Tripoli Giovanni Martinelli, che ha preferito non rilasciare dichiarazioni per «rispetto alle autorità locali», ha comunque parlato recentemente al quotidiano Avvenire affermando che «i 50 mila cattolici residenti nel paese non corrono pericoli».
twitter: @LeoneGrotti
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