
Suonate le campane, «la speranza è attesa certa. Non ottimismo acritico»

Quasi quattro milioni e mezzo di italiani che pregano il Rosario davanti alla tv dei vescovi. E ovunque paesi, città, piccoli o grandi centri consacrati a Maria. «Anch’io sono rimasto colpito dal numero di persone che hanno pregato con il santo Rosario collegati con Tv2000 e che seguono le varie celebrazioni e rubriche religiose messe in onda dai mezzi di comunicazione sociale cattolici», dice a tempi.it monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale. «Probabilmente lo stare chiusi in casa offre più tempo alla riflessione personale sulla fragilità della nostra società iperattiva che si credeva onnipotente. Certo la fede cristiana in una società secolarizzata non costituisce per molti l’orizzonte ultimo che dà senso alla vita umana, ma in molti è rimasto un briciolo della fede infantile trasmessa con la prima comunione che ha avuto un momento di risveglio».
Dov’è finito il titanismo dell’uomo moderno, non eravamo tutti scettici, pragmatici e mondani? Dove eravamo prima del coronavirus e cosa resterà di tutte queste preghiere una volta domato lo spaventoso sciame virale?
Per molti Dio rimane un «Dio tappabuchi», per usare un’espressione del teologo evangelico Bonhoeffer, di cui ci si ricorda nei momenti di bisogno per poi dimenticarsene quando le cose vanno bene. Ricordo che mio padre, cattolico fervente, mi raccontava che durante l’ultima guerra alcuni commilitoni bestemmiatori incalliti, quando arrivavano i bombardamenti, invocavano i santi e la Madonna. Il rischio è che finito questo momento non breve di crisi ci si dimentichi della fede in Dio che non eserciterà alcun influsso nella vita di ogni giorno. Altri hanno avuto bisogno di ricorrere a dei simboli o a dei riti laici per esorcizzare la paura e superare l’individualismo.
Lei come sta passando questi giorni? Ho letto che ha chiesto ai parroci di continuare a suonare le campane a mezzogiorno e all’Ave Maria invitando i fedeli a pregare con l’Angelus. Ma se qualcuno le chiedesse attraverso quali segni e quali presenze la Pasqua tornerà ad accadere anche quest’anno così impastato di dolore, quali indicherebbe?
Generalmente sto chiuso in episcopio che è attiguo al duomo di Monreale. Ho più tempo per pregare, per fare qualche lettura che l’attivismo pastorale prima mi ha impedito di fare. Ogni giorno entro in un duomo desolatamente vuoto e vado nella cappella del Santissimo dove si affaccia qualche fedele. Sono uscito una volta per andare all’aeroporto per accogliere la statua della Madonna di Loreto trasportata dall’aeroporto di Milano con la presenza dei rappresentanti dell’Enac e dell’Enav, e venerdì scorso mi sono recato al santuario del SS. Crocifisso di Monreale dove ho celebrato la Santa Messa che è stata seguita in streaming da circa tredicimila persone. I fedeli sentono molto la mancanza dell’eucaristia e dei gesti comunitari della pietà popolare come le “Via Crucis” e le processioni. Mi ha colpito come in un paese della mia diocesi in occasione della festa di san Giuseppe, non potendosi svolgere la tradizionale processione, alcuni laici hanno messo su un camion la statua del santo e, preceduti dall’auto dei carabinieri e seguiti da quella della polizia municipale e del sindaco, hanno girato per le vie del paese con un megafono inneggiando al Santo Patriarca, mentre la gente si affacciava dai balconi. Una volta che i riti della Settimana santa si celebreranno a porte chiuse in Chiesa, ci si sta organizzando per aiutare le famiglie a vivere il Triduo pasquale a livello familiare con dei sussidi preparati per l’occasione. Alcuni riti si potranno seguire in streaming mentre per altri ci si dovrà accontentare del suono delle campane prima della Santa Messa, al Gloria o durante la consacrazione.

Ma eccellenza, se Cristo ha la consistenza degli amici, è nella compagnia degli amici, come fa il cristiano, in un momento in cui gli è impedita fisicamente questa compagnia, a fare esperienza della Pasqua, della resurrezione? Come si fa a restare amici, costruire cattedrali, fare come Giovanni e Andrea e riconoscere una presenza senza paragone senza essere in movimento, senza varcare la soglia di una chiesa?
Questa dura esperienza di solitudine in casa mette in crisi un certo modo di concepire la vita di una comunità basata sugli incontri e sugli abbracci, ma ci aiuta anche a tornare all’essenziale facendoci superare un’appartenenza sentimentale e facendoci scoprire che Chi dà consistenza alla nostra amicizia è Gesù Cristo. Certo manca il contatto fisico che per la concezione sacramentale del cristianesimo fondato sul mistero dell’Incarnazione è importante. Ma l’affezione a Cristo può generare anche gesti nuovi, può scatenare la fantasia comunitaria, può farci comunicare anche attraverso i nuovi strumenti informatici, può incrementare il rapporto personale con Gesù anche attraverso la comunione spirituale. Per questo io ho disposto che le chiese rimangano aperte e che i sacerdoti si rendano disponibili per le confessioni e l’accompagnamento spirituale.
In questi eventi straordinari che percorrono come un fremito e sconvolgono la nostra storia, torna la parola “speranza”. Negli ultimi anni “speranza” è stata una parola buona per definire ogni eccellente intenzione e virtù comune. Solo pochi giorni prima dell’emergenza erano “speranza” i ragazzi che marinavano la scuola per la salute del pianeta. Ma la speranza cristiana non è un’intenzione. Cos’è, attesa di che cosa e cosa la distingue dall’ottimismo?
I primi cristiani simboleggiavano la speranza con l’immagine di un’ancora fissa nella riva dell’Aldilà. Papa Francesco dopo aver affermato che la nostra vita è camminare verso quest’ancora si è chiesto: «Dove siamo ancorati ognuno di noi? Siamo ancorati proprio là nella riva di quell’oceano tanto lontano o siamo ancorati in una laguna artificiale che abbiamo fatto noi, con le nostre regole, i nostri comportamenti, i nostri orari, i nostri clericalismi, i nostri atteggiamenti ecclesiastici, non ecclesiali?». La speranza, che è una coraggiosa fiducia nelle possibilità della natura umana nell’attesa del loro pieno compimento basato su una promessa divina, si distingue dall’ottimismo, che è un atteggiamento acritico in base al quale si pensa che alla fine tutto andrà bene. La speranza – ha detto papa Francesco – non è ottimismo, ma «un’ardente aspettativa» verso la rivelazione del Figlio di Dio. La speranza è una virtù umile e rischiosa come ci ha mostrato la Madonna «di speranza fontana vivace» per dirla con Dante. Maria, questa giovane ragazza, quando il Mistero di Dio Le si è manifestato ed è diventato carne nel suo grembo, è rimasta ancorata al disegno imprevedibile di Dio e ha cambiato tutto l’orientamento della sua vita vissuta nella fede, nella carità e nella speranza, che sono tre virtù che camminano insieme trascinate dalla piccola speranza come aveva intuito Péguy.
Ma come si fa davanti a tutti questi morti ad avere fede, la pazienza della fede e stare in attesa senza che la paura prenda il sopravvento?
In questi tempi che ci appaiono oscuri nei quali ci sentiamo smarriti e scoraggiati davanti al male, al dolore e alla paura di tante persone abbiamo bisogno non solo della pazienza generata dalla fede, ma anche della virtù teologale della speranza che non delude perché fondata sulla certezza dell’amore di Dio, a cui ancorare le nostre piccole speranze umane.
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