
«Sull’Afghanistan Biden sbaglia da dodici anni»

Pialuisa Bianco, fondatore e direttore di Longitude – the Italian monthly on world affairs, è stata consigliere strategico di cinque diversi ministri degli Esteri e nel 2008 ha fondato il Forum strategico del ministero degli Esteri. A lei ci siamo rivolti all’indomani di un suo intervento al seminario “Il futuro della Nato”, organizzato dall’associazione Guido Carli.
Direttore, il presidente Biden ritirerà i soldati dall’Afghanistan perché sostiene che i talebani di per sé non sono nemici degli Stati Uniti, e che se andranno al potere e si comporteranno male, Washington taglierà gli aiuti finanziari al paese, o alla peggio compirà incursioni militari se i talebani daranno ospitalità a gruppi terroristici. Fa bene o sbaglia?
Biden sbaglia. E sbaglia da 12 anni a questa parte. Quando era vicepresidente di Barack Obama era già convinto dell’opportunità di ritirare tutte le truppe. Ma dopo un primo annuncio di ridimensionamento delle forze in campo e il tentativo di negoziato con i talebani architettato dall’ambasciatore americano all’Onu Thomas Pickering e dall’inviato dell’Onu in Afghanistan Lakhdar Brahimi, Obama fu costretto dal dilagare di attentati a inviare altri 17 mila soldati a Kabul per sostenere il governo post-bellico. La lezione vale ancora: il negoziato con i talebani fallì quando il territorio era ancora sotto controllo americano e degli alleati Nato, figuriamoci se le truppe vengono ritirate ancor prima di negoziare: sarebbe un sicuro autogol. Anche l’accordo raggiunto da Trump con i talebani era un accordo sul ritiro americano e non sulla stabilizzazione del paese, e per questo motivo i generali del Pentagono erano contrari come lo sono oggi con Biden. Mantenere le residue 2.500 truppe americane in Afghanistan costerebbe poco, e nell’ultimo anno non ci sono state perdite. Un tale contingente rappresenterebbe per lo meno un presidio per le forze afghane addestrate dalla Nato, che abbandonate a se stesse verrebbero travolte. I talebani mirano a spazzare via tutto quello che è stato costruito a caro prezzo: 2 trilioni di dollari di costi complessivi, 2.448 caduti fra i soli americani, 800 mila militari dispiegati nel corso di 20 anni. E gli americani abbandonando Kabul perderebbero anche la fiducia che altri alleati ripongono in Washington.
Perché in Afghanistan la Nato non ha ottenuto gli obiettivi che si prefiggeva?
Un insieme di circostanze ha reso difficile la gestione del dopoguerra in un paese islamico e premoderno: le forze americane in campo, superbe in combattimento, sono meno brillanti nel peacekeeping, nel quale invece si sono distinte le forze Nato alleate, soprattutto quelle italiane. La strategia on-off nella quale si è impigliata Washington negli ultimi dieci anni è stata disorientante per gli alleati. Poi vanno considerati l’intrinseca debolezza del personale di governo afghano e il fatto che la regia dell’insurrezione era basata in Pakistan, dunque difficilmente neutralizzabile.
Quale o quali potenze straniere cercheranno di esercitare la maggiore influenza sull’Afghanistan dopo che gli Stati Uniti se ne saranno andati? Riusciranno nei loro intenti?
L’India – che è ben vista da Washington – per ovvie ragioni geografiche e strategiche. La Russia, che tende a proporsi come potenza mediatrice. La Cina, che al contrario fiancheggia il Pakistan, dove l’insurrezione ha sempre avuto il suo quartier generale. L’Afghanistan sarà teatro di uno scontro tra zone di influenza che vogliono allargarsi, senza poter uscire dalla morsa della violenza.
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