Sugli sbarchi a Lampedusa aveva ragione la destra, ma la sinistra non può dirlo

Di Redazione
31 Agosto 2020
«Siamo in ginocchio», dice il sindaco Pd dell'isola. E Conte rimanda la modifica dei decreti di sicurezza di Salvini

«I trasferimenti, le navi va bene ma l’ho detto al ministro Lamorgese che mi ha telefonato ieri, manca una strategia complessiva e questo silenzio del governo per noi è inaccettabile. Lampedusa fa ancora parte dell’Italia o no? Si assumano le loro responsabilità, perché così, con i trasferimenti poche centinaia alla volta sulla terraferma, è come svuotare il mare con un cucchiaino. Ora basta».

Povero Totò Martello, sindaco di Lampedusa. Sono giorni che denuncia cosa sta accadendo sull’isola. A causa dei nuovi e continui sbarchi, per lui la situazione è diventata ingestibile. «Siamo in ginocchio», dichiara ai giornali, lui, sindaco del Pd, che si trova, nei fatti, ad essere nella stessa posizione del governatore di centrodestra Nello Musumeci, quello che la sinistra bolla come “insensibile” e “razzista”. Solo che se a dire le stesse cose è il primo cittadino progressista, l’accusa si fa più flebile, e il problema viene a galla senza connotati politici.

Dove metterli?

L’hotspot di Lampedusa potrebbe contenere 190 persone. Ora sono più di mille: c’è chi scrive 1200, chi, addirittura, 1500. I corrispondenti sull’isola non possono far altro che confermare la versione del sindaco e anche tenere i conti degli arrivi è diventato difficile. L’ultimo barcone ha portato 370 migranti, in Calabria ne sono arrivati altri, una ottantina, a bordo di un veliero ed è stata tragedia: tre persone sono morte e una risulta dispersa. Poi c’è il problema della quarantena, di far rispettare le distanze per il Covid. Utopie: non sanno nemmeno dove metterli, pensate che mascherine e distanze siano la prima preoccupazione?

Che si fa con le Ong?

C’è un problema politico, ed è tutto interno al governo, che riguarda la gestione dell’emergenza, aggravata, oltre che dal Covid, dal ritorno in mare delle navi delle Ong. Come scrive Repubblica, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese «marca a uomo Giuseppe Conte. La ministra dell’Interno sollecita una strategia chiara sulla gestione degli sbarchi. Avverte il premier che le Ong sono tornate in campo. Chiede come gestirle. Ha bisogno di una linea chiara, perché gli arrivi rischiano di aumentare e Salvini già cavalca la crisi».

Lamorgese chiede un intervento, ma Conte nicchia. In maniera brutale e non politicamente corretta il problema andrebbe posto in questi termini: come fermiamo le Ong senza passare per salviniani? C’è la «Sea Watch 4, che la notte scorsa si è fatta carico delle persone soccorse dalla nave di Banksy. Ha a bordo 370 persone e chiede all’Italia un porto, dopo aver incassato il no di Malta. Ma non basta. In zona Sar, oltre alla Louise Michel Michel (adesso di nuovo vuota) stanno per arrivare anche la Mare Jonio di Mediterranea e la Open Arms, in team con Emergency. Se i trafficanti continueranno a far partire tante barche, in pochi giorni le navi umanitarie potrebbero ritrovarsi con più di un migliaio di persone a bordo».

Conte il temporeggiatore

Ci sarebbero gli accordi sottoscritti a Malta (ricordate?), ma tutti sanno che sono carta straccia, quella fu operazione mediatica, e dunque si dovrebbe chiedere alle altre Regioni di farsi carico di ospitare i clandestini. Ma Conte sa bene che la mossa darebbe un’arma alla propaganda del centrodestra prima delle regionali e non vuole fare questo regalo agli avversari (e poi molti amministratori di centrosinistra non accetterebbero). Ergo? Ergo tace, nicchia, prende tempo. L’alternativa, spiega sempre Repubblica, è racchiusa in questo busillis:

«Può il governo chiudere i porti alle Ong mentre si discute di riscrivere i decreti Salvini? Per questo, Lamorgese chiede a Conte di battere un colpo. Lo fa dopo settimane complesse, spese a difendersi dagli attacchi delle opposizioni, senza uno straccio di difesa pubblica. Ha bisogno di una strategia condivisa sulla gestione dei flussi, che vada al di là delle toppe. E vuole evitare che a causa della mancanza di posti nei centri per il rimpatrio si verifichino scene come quelle dei giorni scorsi, quando centinaia di tunisini, scesi da una delle navi-quarantena, si sono regolarmente allontanati con in mano un semplice foglio di via che impone loro di lasciare l’Italia entro cinque giorni».

Quindi il rinvio della modifica dei decreti salviniani è essenziale per questo governo. Ma tu guarda. Come scrive Repubblica: «Il testo giace a Palazzo Chigi. E nessuno scommette sul fatto che il risultato delle Regionali aiuti davvero ad approvarlo».

Foto Ansa

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