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Stare senza sindacati e Confindustria si può, solo a certe condizioni

Il taglio delle sovrastrutture senza una seria politica di crescita economica che, come ha detto la Bce, deve essere diretta al «ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l'efficienza del mercato del lavoro» produrrebbe solo devastazione

Massimo Giardina
03/10/2011 - 13:58
Interni
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Cameron ha ragione, ma dalle nostre parti i problemi sono altri e non facili nella loro risoluzione. Il primo ministro della Gran Bretagna fa bene a preoccuparsi della situazione della moneta unica europea e soprattutto degli effetti collaterali che provocherebbero i defaults delle nazioni nel mirino dei mercati finanziari a causa dei loro conti pubblici claudicanti. Cameron, in un’intervista alla Bbc, ha dichiarato che la crisi del debito «non è solo una minaccia in sé, ma anche una minaccia all’economia britannica e all’economia del mondo». A questa minaccia bisogna rispondere «rafforzando i meccanismi finanziari regionali, assicurarsi un maggior coinvolgimento del Fondo monetario internazionale e affrontare in modo deciso il problema degli alti livelli di debito».

Le parole di Cameron sono sacrosante, ma che significato assumono per la nostra economia italiana? La risposta ci è stata consegnata da un soggetto interessato, coinvolto, che non ha la parte dell’attore protagonista, ma del consigliere: la Bce.
Nella famosa lettera del 3 agosto, le indicazioni per far fronte alla nostra crisi del debito erano chiare. Eccone alcuni stralci. «È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali». Oppure: «Riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione»; o ancora, «c’è l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province). Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali».

I suggerimenti appena elencati dicono una cosa sola: l’Italia è caratterizzata da sovrastrutture, vale a dire da organizzazioni con lo scopo di risolvere problemi generati da complicanze burocratiche e normative create ad hoc. Per intenderci: si dà vita a un problema per cercare di risolverlo. Questo modus operandi, ha registrato nel corso della breve storia della nostra repubblica la nascita di enti ancora esistenti, il cui fine è quello di risolvere i problemi creati appositamente da altri. Bisogna osservare che queste sovrastrutture non si trovano solo nelle attività che riguardano il settore pubblico. Senza sforzarsi troppo, basta vedere due organismi che in molti stati esistono in forme decisamente differenti e modeste rispetto alle nostre: i sindacati e la Confindustria. Vediamo un esempio. L’ambito: trattativa sindacale per rinnovo del contratto aziendale di una tal società. Soggetti coinvolti: direttore del personale dell’azienda insieme ad almeno un esponente della direzione, le Rsu (la quantità dipende dalla dimensione aziendale), i delegati provinciali dei sindacati e per concludere i delegati di Confindustria. Quando? Tutto rigorosamente durante l’orario di lavoro. Chi paga? In modo diretto e indiretto sempre l’azienda. L’accordo potrebbe essere definito direttamente dalla società insieme ai rappresentanti dei dipendenti senza l’ausilio di terzi soggetti da una parte e di un contratto nazionale di riferimento dall’altra. Ogni realtà particolare conosce perfettamente i propri limiti e le proprie necessità.

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Tornando alla crisi del debito italiano, si possono guardare le proposte avanzate da Emma Marcegaglia e Susanna Camusso lette sui giornali settimana scorsa. Le dichiarazioni di entrambe le esponenti apparentemente contrapposte confermano l’inutilità degli organismi da loro rappresentati. Patrimoniali, finte liberalizzazioni e un’infinità di parole che hanno l’unico scopo di ergere delle cortine di ferro per la difesa delle rispettive lobby con la solita tecnica di fissare l’attenzione su altri temi non trattati dalla Bce. Se i suggerimenti della Banca centrale europea, che fra poco sarà guidata da Mario Draghi, venissero trasformati in azioni vedrebbero i sindacati e la Confindustria privati dell’enorme potere che ora detengono. L’abolizione della contrattazione nazionale è un esempio lampante.

Ci si potrebbe domandare: bisogna liberarsi subito di tutte queste sovrastrutture? La risposta è un sonoro no. Un’azione mirata al taglio immediato e repentino di queste sovrastrutture avrebbe un effetto devastante: l’aumento incontrollato del tasso di disoccupazione, che porterebbe buona parte del paese allo stato di povertà. Il taglio senza una seria politica di crescita economica che, come ha detto la Bce, deve essere diretta al «ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l’efficienza del mercato del lavoro» produrrebbe solo devastazione. Vorrebbe dire affrontare il problema Italia tralasciando l’elemento fondamentale: lo sviluppo economico. Difatti il governo, onde evitare eccessivi scossoni da una parte e dall’altra, ha deciso di operare nell’inerzia: nessun taglio e una sterile politica di sviluppo economico. Perché creare problemi per poi doverli risolvere? Il sarcasmo è sottinteso.

Tags: cameronconfindustriadebito pubblicodraghilettera bcesindacatispesa pubblicasviluppo economicotaglitrichet
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