La progressione geometrica dell’entità dei ticket sanitari richiesti agli italiani e il cumulo di provvedimenti, come quello sull’incompatibilità, studiati con l’evidente scopo di sfoltire le schiere dei medici che lavorano per la sanità pubblica sono stati, in questi cinque anni, giustificati dal ministro Bindi anche con una motivazione economica: la necessità di ridurre una spesa sanitaria pubblica troppo onerosa per lo stato. Ma veramente il welfare sanitario italiano è, oppure era, così smodatamente generoso come il governo di sinistra oggi lo descrive? Neanche per sogno. Un’attenta lettura dei dati pubblicati ogni anno dalla Banca Mondiale sulla spesa sanitaria nel mondo smaschera l’ennesima mistificazione propagandistica.
Se andiamo a guardare la media della spesa sanitaria pubblica fra il 1990 e il 1997 in 148 paesi del mondo con oltre un milione di abitanti analizzati dalla Banca Mondiale, scopriamo che ben 26 stati, sia più ricchi che meno ricchi dell’Italia, spendono per la sanità una quota del prodotto interno lordo (pil) più alta di quella italiana: si va dall’8,4% della Croazia al 5,7% di Austria, Finlandia, Giappone e Regno Unito, mentre col suo 5,3% l’Italia si trova allo stesso livello di Grecia e Nicaragua, che non sono esattamente paesi guida in materia di spesa sociale.
Tutti i paesi del G7 spendono più dell’Italia, compresi i vituperati Stati Uniti dove, a sentire la propaganda di sinistra, a causa della privatizzazione della sanità i poveri morirebbero per la strada o quasi. Ora, è vero che negli Usa la spesa sanitaria privata è pari al 7,5% del pil, tre volte e mezzo quella italiana, ma essa si somma ad una spesa sanitaria pubblica pari al 6,6 del pil, cioè un quarto più alta di quella italiana.
Per la salute dei suoi cittadini lo Stato italiano spende meno di paesi che hanno un reddito -in proporzione- da tre a venti volte più basso di quello nostrano come Croazia, Arabia Saudita, Cuba, Macedonia, Slovacchia, Costa Rica e Moldavia.