Sinodo. Nell’apparente dialettica tra verità e misericordia il “grande assente” è il peccato
Non pochi degli interventi al Sinodo dei vescovi sulla famiglia e dei commenti provenienti dall’esterno appaiono ruotare attorno al binomio verità (dottrina) – misericordia (pastorale) così vorticosamente da generare un movimento centrifugo, e quindi dispersivo, rispetto alla realtà che è in gioco: la vita redenta in Gesù Cristo nella Chiesa, testimoniata e annunciata ai credenti e a tutti nel mondo. Il baricentro della fede è così dislocato e il confronto-dibattito ne risulta sbilanciato, eccentrico (etimologicamente, ex-centrico: fuori dal centro di gravità della questione). La ragione di questo vertiginoso squilibrio è un “grande assente”, almeno esplicitamente (ma ciò che è tacitato rischia di risultare non incisivo né decisivo): il peccato.
Eppure, al centro della “buona novella” che è il Vangelo non sta originalmente il binomio verità – misericordia, ma bensì quello di peccato – misericordia. «Figliolo, i tuoi peccati ti sono perdonati» (Mc 2,5). Il messaggio della remissione dei peccati è centrale nel Nuovo Testamento, «non esprime solo un aspetto secondario o parziale […], bensì esprime sotto determinati aspetti la totalità del messaggio cristiano della salvezza» (W. Kasper, Il messaggio della remissione dei peccati, in: “Communio” 103, 1989: 13-23, p. 15). La verità di Dio sull’uomo, che è Gesù di Nazareth, abbraccia tutti e due: il peccato dell’uomo e la misericordia di Dio, di cui la Chiesa è solo amministratrice. Non l’uno senza l’altra, né l’uno contro l’altra. Una verità che non includesse il peccato sarebbe falsa, e una verità senza misericordia risulterebbe disumana.
E neppure la verità si può sostituire ad uno dei due poli dell’uni-dualità soteriologica (peccato–misericordia). Non vi è verità “intera” sull’uomo (l’aggettivo è pleonastico, perché la verità è integrale) a fronte della sola misericordia, perché essa è la risposta dell’amore di Dio al peccato dell’uomo e, dunque, lo presuppone. E neppure dinnanzi al solo peccato, perché esso non è l’unica/ultima parola sull’uomo concreto, che vive nella storia della salvezza, quella scaturita dalla misericordia del Padre nella croce del Figlio. L’uomo cui si volge la misericordia di Dio (e deve piegarsi quella della Chiesa) è l’uomo-peccatore, non un altro uomo (che non esiste storicamente).
Se l’intento dell’assemblea sinodale, cum Petro et sub Petro, è quello di rafforzare la confidenza dell’uomo nella misericordia infinita di Dio e di richiamare la Chiesa ad essere umile, efficace e instancabile strumento di questa misericordia, tale scopo non potrà essere perseguito senza, al medesimo tempo e con uguale chiarezza, rafforzare la coscienza dell’uomo riguardo al proprio peccato e richiamare la Chiesa a formare efficacemente – attraverso la catechesi, la predicazione e il sacramento della confessione – una coscienza retta e certa del peccato nei fedeli.
Senza viva consapevolezza del peccato non vi è disposizione a cercare e ricevere la misericordia di Dio, ad accoglierla con frutto, convertendosi e abbracciando una vita di grazia. La misericordia è la risposta di Dio alla domanda dell’uomo sul proprio peccato. Ma, come ha acutamente osservato il teologo protestante americano Paul Reinhold Niebuhr, «non c’è risposta più incredibile di quella a una domanda che non si pone» (Il destino e la storia, Bur, Milano 1999, p. 66).
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Se dal messaggio del Sinodo non trasparirà con evidenza che l’uomo e la donna di oggi (come quelli di sempre) – «rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole» (2 Tm 4,4) – possono cadere in peccato nell’esercizio della propria sessualità, dell’affettività, delle relazioni coniugali, della vocazione matrimoniale all’amore casto e fecondo, dell’educazione dei figli, della cura dei genitori, dell’accoglienza dei bisognosi e della testimonianza cristiana, l’appello al ricorso alla misericordia e alla sua generosa elargizione attraverso i ministri della Chiesa corre il serio rischio di risuonare nel vuoto.
Un vuoto di domanda, o una richiesta dirottata non più verso l’autentica misericordia – che presuppone il pentimento e il sincero proposito del ravvedimento – ma a modalità normative di condono (cosa assai diversa dal perdono), di “sanatoria” del proprio status persistente non conforme alla vita cristiana, senza neppure desiderare e volere uscire da esso attraverso la penitenza, la preghiera e l’aiuto della Chiesa.
I fedeli e i pastori della Chiesa – e i non credenti che cercano con cuore sincero il senso della propria vita individuale, affettiva e generativa – attendono una parola di verità sull’uomo secondo ragione e alla luce della Rivelazione di Dio. Una verità che parla, al medesimo tempo e con la stessa limpidità, della realtà del peccato dell’uomo e di quella della misericordia di Dio, di cui la Chiesa è chiamata ad essere testimone e dispensatrice nel mondo. Una verità che è eterna, sull’uomo e per l’uomo di tutti i tempi, perché non è una parola umana, ma originariamente divina, inscritta nel cuore dell’uomo sin dalla sua creazione e svelata nell’incontro della sua libertà con la persona di Gesù Cristo.
Una verità che rende liberi (cf. Gv 8,32) da ogni ideologia del momento, pressione culturale, moda dominante o progetto sociale. Altre “parole senza verità” l’uomo contemporaneo non ha bisogno di sentirle dalla Chiesa: vengono predicate ogni giorno da pulpiti diversi e assai più attrattivi e pervasivi.
Rafforzare lo “stile della misericordia” nella Chiesa – come ci sta chiedendo con opportuna insistenza papa Francesco – esige che si rafforzi, di pari passo, la “coscienza del peccato” che della misericordia divina è il correlato umano. Laddove si affievolisce la consapevolezza di una condizione di peccato conseguente ad un pensiero, ad una parola, ad un’azione o ad una omissione oggettivamente disordinati – non corrispondenti alla verità dell’uomo e della donna, che non è impervia alla ragione ma dalla fede riceve una luce preziosa al cui servizio è la Chiesa – viene meno anche l’apprezzamento del valore della misericordia sia in chi la domanda e la riceve che in chi la dispensa in nome e su mandato di Dio. E, ultimamente, vanifica l’amore grazioso del Padre che ha inviato nel mondo il suo unico Figlio per liberarci dal male e renderci felici nella verità. Se con la sola ragione e la sola libertà avessimo potuto liberarci dal peccato e vivere nella verità, «mestier non era parturir Maria» (D. Alighieri, Purgatorio III, 39).
L’autore di questo articolo è sacerdote diocesano di Milano, professore di neurobiologia e genetica umana presso la facoltà di psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, direttore del Centro per lo Studio delle malattie ereditarie rare dell’ospedale Niguarda Ca’ Granda (Milano) e docente del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su matrimonio e famiglia
Foto Ansa
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30 commenti
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Finalmente una parola chiara!
La aspettavamo e Tempi ce l’ha offerta attraverso le righe pulite, limpide e schiette di don Colombo.
Se la Chiesa non vuole smarrire il compito che il suo Fondatore, Gesù Cristo, le ha affidato, non deve rincorrere le mode dei tempi e delle società, ma annunciare il Vangelo di sempre, quello della remissione dei peccati e della libertà della Grazia. Come ha fatto per 2000 anni.
Tutto ilo resto sono chiacchiere da sagrestia, da salotti o da prime pagine dei giornali.
E’ verissimo quello che ha scritto Serena nel suo commento: siamo un impasto di peccato e di grazia. Ma per Grazia sia quello che siamo: dei chiamati ad essere figli di Dio, dei chiamati alla santità. Il resto … non ci interessa più di tanto.
E’ confortante leggere quanto scrive don Colombo dopo un mare di se, ma, forse, faremo, vedremo … che sono usciti da dento e intorno il Sinodo sulla famiglia. Solo i vescovi africani e quelli dei paesi dell’Est (ex-comunisti) hanno parlato chiaro e forte: loro non hanno paura delle lobby divorziste, gay e compagnia bella.
L’ articolo ci riporta finalmente all’essenziale della questione in gioco: il nostro peccato e l’amore midericordioso di Dio. Quest’ultyimo è più forte del primo e ad esso dobbiamo abbandonarci. Tutto il resto sono quisquilie, giorchi di retorica, equilibri ecclesiastici e politici che lasciano il tempo che trovano. La r5ealtà è quella che ci ha ricordato don Roberto: sia un impasto di peccato e di grazia. Negarlo è irragionevole e irrealistico. Riconoscsrlo è intelligente e corrispondente all’esperienza di ognuno di noi, credente o non credente.
Infatti in futuro spero che il Papa sia africano un vero papa nero….mons Sarah ha fatto l’esempio della pecorella smarrita .citato dai oadri sinodali …ma mons Sarah precisa che la pecorella smarrita viene soccorsa non
per colpeviluzzare le altre 99 ne’per convincerle di una qualche positivita’ delle vicende della pecorella smarrita….che una volta ripirtata all’ovile dovrebbe poi mettersi a vivere cone le altre 99 da quel momento in poi…ma il paragone non calza moltp coi divorziati risposati…che restano nella loro situazione…vogliono solo essere imboccati mentre restano nei rovi…
Oltre al peccato il grande assente al Sinodo e ‘ stata la conoscenza seria o meglio l’onesta’sulla storia della Chiesa.
Kasper e Cereti nel suo libro ingannevole hanno voluto far credere cose false alla gente che ‘ ignorante di storia della Chiesa. “Piu’che i nemici della Chiesa temo l’ignoranza dei cattolici” (Pio XII).
I divorziati risposati nella Chiesa Primitiva erano considerati scomunicati e da li ‘nasce il fatto del loro non accesso alla Eucarestia non da altro.
Se una questione sui risposati c’e’stata nella Chiesa Primitiva riguardava solo i vedovi risposati che sia
in Occidente che in Oriente erano mal visti nella Chiesa Primitiva ( figuriamoci i divorziati risposati…Kasper non contar balle !!!!”). Lo scisma novaziano e’un chiaro esempio di tali questioni.
Al Concilio di Nicea si ammoniscono coliro che non accettano quelli sposati “due volte” ma si tratta dei vedovi risposati dato il contesto culturale dell’epoca che neanche considerava una questione meritevole di attenzione quella dei divorziati risposati : erano di fatto scomunicati.
Nella Chiesa Ortodossa ancora oggi l’unico matrimonio considerato sacramento e’il primo e ai vedovi risposati viene riservato un rituale che non e’un sacramento e risale all’epoca primitiva : dopo lo scisma da Roma nel 1054 lo stesso rituale viene esteso ai divorziati risposati , ma solo per imposizione degli imperatori bizantini e non come decisione della Chiesa Ortodossa : invocare in ambito cattoluco queste usanze ortodosse imposte dal.potere politico solo dopo lo scisma d’Oriente e’semplicemente ridicolo.
Nrl Medioevo la Chiesa ha scomunicato chi era divorziato risposato e lo ha fatto anche nei confronti di un re francese.
Un altro grande assente e’stato l’onesta’ storica sulla Chiesa Primitiva nella quale i
divorziati risposati erano considerati scomunicati e fino sl Medioevo sono esplicitamente scomunicati (anche un re francese lo fu) : da questo e non da altro deriva il loro non accesso all’Eucarestia… come per ogni scomunicato…Se una questione ci fu nella Chiesa Primitiva e al Concilio di Nicea questa riguardava solo e unicamente i vedovi risposati che erano mal visti nella Chiesa Primitiva sia in Occidente che in Oriente…e la questione dello scidma novaziano (rigoristi che volevano negare la Comunione ai vedovi risposati) lo documenta bene…in un contesto ecclesuale cone quello della Chiesa Primitiva non esisteva neanche lontanamente il.problema
dei divorziati risposati : erano considerati scomunicati per cui card Kasper non contar balle !!!
A proposito di rovi….vi ricordate quello sceneggiato tratto dal libro omonimo, Uccelli di rovo! Quello con padre Ralph….mi sembra esemplificativo del clero!!!
Così recita il Concilio di Nicea, Canone 8, DH 127: “E’ necessario però,
prima di tutto, che essi [i catari] promettano per iscritto di rimanere in
comunione con chi si è sposato due volte e con chi è venuto meno durante la
persecuzione…”
“Recentemente è stato affermato che il Primo Concilio di Nicea (325) abbia
decretato l’ammissione dei divorziati risposati alla Comunione. Tale
affermazione costituisce un’errata lettura del Concilio e travisa le
controversie sul matrimonio del II e del III secolo. Diverse sette rigoriste ed
eretiche del II secolo hanno addirittura proibito il matrimonio a priori,
contraddicendo l’insegnamento di Cristo (e quello di S. Paolo). Altre, nei
secoli II e III, in particolare i catari (novazianisti), hanno invece proibito
un “secondo matrimonio” dopo la morte del coniuge. Il Canone 8 di Nicea
risponde precisamente all’errore dei catari riguardo al “secondo matrimonio”,
comunemente inteso come dopo la morte di un coniuge.
S. Epifanio di Salamina (m. 403), scrivendo contro i novazianisti, afferma che
solo per il clero non è possibile un nuovo matrimonio dopo la morte del
coniuge, mentre al contrario per i laici lo è.
Ciò è confermato dall’interpretazione bizantina di un canone del IV secolo sul
“secondo matrimonio” e la ricezione della Comunione. Il canone è stato
applicato specificamente a giovani vedovi e vedove i quali, indotti da “l’
impellenza dello spirito della carne”, si risposano dopo la morte di un
coniuge. I vedovi sono biasimati per questo “secondo matrimonio”, tuttavia
viene loro concesso di ricevere la Comunione se hanno compiuto un periodo di
preghiera e di penitenza.”
( Da : Recenti proposte per la Pastorale dei divorziati risposati:
Una valutazione teologica
John Corbett, O.P.,* Andrew Hofer, O.P.,* Paul J. Keller, O.P., † Dominic
Langevin, O.P.,*Dominic Legge, O.P.,* Kurt Martens,‡ Thomas Petri, O.P.,* &
Thomas Joseph White, O.P,* In Nova et Vetera edizione inglese agosto
2014)
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Con il pensare sempre positivo, come alcuni sostengono, si elimina la conversione a Dio. Attenti a parlare di peccato perchè questo scandalizza. La Verità fa libero l’uomo, non il pensare positivo.
Ho trovato l’articolo molto interessante, ragionevole e convincente
I commenti postati non sono tutti a tema e alcuni sono stupidamente polemici rispetto alla tesi sostenuta dall’autore che non conosco, ma di cui condivido quello che scrive.
E’ vero: perdendo il senso del peccato (ossia del nostro limite, della nostra miseria spirituale) si tende a giustificare tutto e tutti.
E’ così umano, ecosì semplice invece domandar perdono, affidarsi alla misericordia di un Altro che ti abbraccia e ti fa ricominciare. Anche un divorziato o una divorziata possono sempre ricominciare a vivere nella fede di Gesù e nel cuore della Chiesa, se chiedono sinceramente perdono e si aprono con la loro libertà alla misericordia.
Ringrazio Tempi per avercelo ricordato.
E’ vero!, ho letto da qual che parte di una divorziata divenuta suora che assiste i modo mirabile i carcerati, in America…Dio sa trarre righe dritte anche dalle nostre righe storte..
Nell’ultimo numero di Tracce c’è una bellissima storia di una divorziata risposata inglese, che frequentava Scuola di Comunità , andava a Messa e non faceva la Comunione , ma non osava verificare la nullità del suo matrimonio per paura di una nuova delusione : quando ha osato, la grazia è arrivata e Gisele oggi è felice e fa la Comunione.
Molti dicono ” ma allora i divorziati risposati non si possono salvare ” : ma certo che sì, ma paradossalmente , si salvano se non fanno la Comunione e osano percorrere la strada dolorosa della verifica di validità o nullità del loro matrimonio.
La vera misericordia non è la Comunione ai divorziati risposati, tipo gettone, questo è un contentino tipo caramella che si da ai bambini quando ce li si vuol togliere di torno.
La vera misericordia è aiutarli nel verificare la nullità del loro matrimonio perché siano veramente alla fine liberi dentro fino in fondo, in profondità , e non si illudano di esserlo rimanendo ancora legati, bloccati, annodati dentro come quando si concede loro di fare la Comunione senza una verifica, senza un lavoro su di sé !
Certo Susanna ! badta che certi teologi post conciliari
non vogliano convincere la gente che certe righe storte sono dritte e viceversa ! come e’accaduto durante le discussioni sul Sinodo da due anni in qua…
cosa volete che interessi del peccato ad una società che per SENTIRSI PULITI DENTRO si affida agli effetti miracolosi dell’acqua e ai suoi poteri diuretici?
Buona!
Un articolo, quello di don Colombo, finalmente netto, deciso, chiarificatore del nodo centrale della questione.
Purtroppo arriva solo a chiusura del Sinodo, ma anche swe fosse uscito prima non so quanti padri sinodali l’avrebbero letto. Loro pensano già di aver capito tutto, di sapere già tutto e invece …
Se si mettessero un po’ in confessionale (parlo di vescovi e cardinali, naturalmente) e scendesso dai loro sontuosi episcopi, comprenderebbe quantoè vero che il “grande assente” dalla loro teologia e dalla loro pastorale è proprio il peccato.
Ottimo lavoro, quello di Tempi, con questo pezzo magistrale!
Effettivamente un articolo molto chiaro e apprezzabile, ma il Sinodo dovrebbe solo riaffermare cose che sono portanti del cristianesimo. Non c’è peccato più grande del disperare nella misericordia di Dio, ma in tutto questo io, che sono cattolico ma evidentemente imperfetto, non vedo perché ci debba essere un mediatore umano. L’unico mediatore è il proprio pentimento sincero.
Potresti spiegarti meglio, se ti va? Grazie!
E’ solo protestantesimo (che, in quanto eresia, finisce per disconoscere proprio la Scrittura che idolatra): in altre parole, la Confessione non serve a niente perché se sei pentito Dio ti assolve in automatico, quindi è inutile andare a confessare i propri peccati ad un ministro di Dio. Ovviamente, non solo ciò è in contrasto con la Santa Dottrina, ma pure con la Scrittura (“a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, ma a chi non li rimetterete rimarranno non rimessi”), dal momento che Dio agisce ordinatamente tramite ministri umani. Poi certo, esiste anche il pentimento perfetto (in punto di morte o in situazione di grave pericolo possono essere rimessi anche peccati mortali), ma questa è un’azione straordinaria di Dio; ordinariamente chi non si confessa e muore impenitente (appunto) in stato di peccato mortale (purtroppo più facili da commettere di quel che si pensa) rischia di dannarsi.
Caro GD non e’ per nulla da cattolico dire che non serve l’intermediario umano perche’questo e’stato l’errore di Lutero.
Ed e’anche sbagliato parlare di intermediario perche’in Confessione incontri Cristo stesso che ti assolve non un intermediario umano che poi telefona a Cristo e Gli chiede se puo’assolverti o no.
E’proprio la Incarnazione che il cattolicesimo esalta tanto che l’incobtro e’possibile per qualsiasi tipo di uomo sulla terra cattolico vuol dir questo (mentre ortodosso puo’essere un greco,un russo difficilmente un giapponese
invece cattolico puo’esserlo anche un giapponese).
Il rapporto con un essere umano e’la stoffa del cattolicesimo.
Posso essere volgare una volta tanto ? La differenza tra cattolicesimo e protestantesimo e’la stessa che passa tra un be’atto sessuale ben fatto e la la sessualita’autogestita “tanto non ho bisogno di intermediari umani ”
per raggiungere l’orgasmo …scusate la volgarita’ ma…quanno ce vo’ ce vo’…
Lutero ha commesso un grave errore non tanto nel criticare la corruzione
Odella Chiesa di allora(tanto che la Chiesa Cattolica aveva riconosciuto come fondate meta’delle sue 95 tesi).
Nel suo unico viaggio a Roma Lutero ebbe la sfortuna di capitare durante il regno di Giulio II
il papa guerriero,che aveva la preoccupazione solo di riassoggettare a se’ i vari feudi del Centro Italia, e pare guidasse egli stesso l’esercito ,alcuni dicono fosse omosessuale praticante e pare che non celebrasse mai la Messa…
Ma tutto cio’non basta a voler dire come fece Lutero “io vivo la fede senza rapporti umani” perche ‘ ha fatto bebecad andare contro quel tipo di Chiesa ma ha sbagliato gravemente ad andare contro se stesso e questo lo ha perduto non le critiche alla Chiesa !!!
Se uno crede in Cristo non puo’ ignorare che il suo cuore ,le sue esigenze ed evidenze elementari come diceva don Giussani , gli dicono che tutto il Vangelo e’rapporto umano ,trasformato dalla fede,ma non eliminato !!! Che la
consistenza del suo essere e’rapporto umano !!!
Insomna saro’ancora volgare ma e’come che sogna la donna della sua vita ma incontra solo donne frivole o di facili costumi e non perche’vada in posti sbagliati,Lutero e’andato in Vaticano,ma certe donnucciole ci sono anche negli oratori…e cosa fa ? Invece di cercare altrove e ancora per soddisfare la sua giusta ed umana esigenza conclude che le donne sono “tutte corrotte ecc..”per non usare altri termini; si chiude nella sua convinzione e soffoxa il suo stesso ideale e il suo cuore : e’ragionevole cio’ che fa ? No.
E’vero che le donne che aveva incontrato erano corrotte ? Si come era vero quel che diceva Lutero della Chiesa di Giulio II..
Ma il desiderio originale non era trovarsi una brava moglie come il desiderio originale di Lutero non era il Vangelo ?
E allora l’uomo che si chiude per aver visto la corruzione reale e smette di cercare sbaglia non per i giudizi che da ma sbaglia perche’va contro se stesso ed e’come Lutero chevin nome di critiche giuste soffoca cio’cge di origibario ha nel cuore e rifiuta ogni “intermediario umano “tra se’ e il Mistero che ‘un cobtrosenso per un cristiano.
Caro GD questo e’per te per spiegarti cosa e’essere cattolico come dinamica esistenzale e cosa e’essere luterano.
Fabio!!!!!!!!!!!!
Però hai reso bene l’idea..
Ottimo commento! Grazie a Tempi per averlo pubblicato.
Mi auguro che vanga letto da cardinali, vescovi e teologi al Sinodo prima che stendano e approvino loa relazione finale, se ve ne sarà una … con tanta confusione che è uscita in queste settimana.
Grazie a don Roberto per il coraggio della chiarezza e della sincerità nel scrivere queste necessarie parole.
Silvana G. – Milano
Eh, però bisogna serenamente ammettere che l'”opportuna insistenza” del Papa sulla misericordia, ricordata in quest’ottimo intervento, non è bilanciata nella pastorale petrina da un altrettanto insistito focus sul peccato.
Sarebbe il caso di dire, con un brutto gioco di parole: peccato.
«Non c’è risposta più incredibile di quella a una domanda che non si pone»
E di risposte incredibili negli ultimi tempi se ne sentono molte; a me è stato insegnato a non mollare mai la realtà ! L’umana avventura è decisamente più dura, ma funziona e porta frutti.
Quanti cattivi maestri , passati presenti e futuri hanno rovinato rovinano e rovineranno esistenze dicendo poi : ‘Sorry, abbiamo sbagliato ‘ !
Articolo da encomio solenne. Grazie don Roberto
Il grande assente si sa da tempo che è il peccato, da decenni i confessionali sono vuoti, addirittura in alcuni vi si trovano secchio e scopone.
Allora bisognerebbe farsi alcune domande.
Se le saranno fatte?
Mi auguro di sì, ma no so.
Ma perché si deve essere ossessionati dal peccato? Gli errori li fanno tutti e servono a crescere ma forse sarebbe meglio avere una visione più positiva e soprattutto i confessionali sono vuoti perché non servono a nulla. Se una persona sbaglia, puó essere aiutata a correggere il tiro ma colpevolizzarla è controproducente se realmente si vuole farle capire l’errore commesso. Se la si colpevolizza automaticamente sarà portata a non ammettere di aver sbagliato, se invece capisce che il parlarne serve migliorarsi e che questo è un percorso comune a tutti di crescita che procede naturalmente per tentativi ed errori, allora puó funzionare anche il parlarne con un prete.
Scusa, X…k,
se uno decide di entrare in un confessionale ci entra da solo con le sue proprie gambe; e questo avviene proprio grazie al senso di colpa che gli è venuto nientepopodimeno che da…Diopadre! Che se non ti amasse il senso di colpa non te lo stimolerebbe nemmeno.
Poi in confessionale nessuno ti prende a calci, ma avviene uno dei miracoli più grandi al mondo: la guarigione-pulizia dell’anima, e si torna fuori con la Grazia santificante, cioè santi. Almeno fino a quel momento lì possiamo ritenerci tali.
Ma non sono nozioni, sono esperienze.
Che solo chi ha provato può capire fino in fondo.
E difficile da spiegare su due piedi.
Guarda, non parlare di cose che non conosci, sostenere che la Confessione serva per colpevolizzare il peccatore è ridicolo (oltre che teologicamente sbagliato). Certo, se questi sono i livelli dell’anticattolicesimo meglio per noi!
Infatti gli errori li fanno tutti ecil piu’grave errore e’non avere coscienza del peccato.
Misericordia vuol dire dare il cuore ai miseri ma i miseri sono i peccatori coscienti di esserlo non quelli checsono miseri perche’la loro situazione esistenziale o matrimoniale e’incasinata !!!!
L’errore e’proprio considerare che la misericordia debba servire a sistemare o alleviare il peso psicologico di situazioni socio esistenzial familiari incasinate mentre la misericordia serve a perdonare i peccati di coliro checsono coscienti di averli comnessi e non vogliono piu’commetterne !!!
Questo e’l’errore che fanno tutti parlare di misericordia a sproposito !
Grazie per questo articolo chiaro e convincente.