Sono la tessera n°3 di Comunione e libertà, movimento nato in questi giorni nelle patrie galere e costituito prevalentemente da detenuti in attesa di giudizio (sono l’unico membro ancora a piede libero). Nonché la tessera n°287 della Fraternità di Comunione e Liberazione. Sono il direttore responsabile di questo sito e del settimanale Tempi. Sono un amico, come sapete, anzi un fratello acquisito di Antonio Simone. Quello che, oggi sul Foglio e ogni santo giorno su tempi.it, esemplifica con la propria pelle in cosa consista la giustizia preventiva carceraria italiana e fa sorgere spontaneamente la risposta alla domanda: «Perché l’Italia non ha ancora introdotto nel codice penale il reato di tortura e non ha ancora ratificato il Protocollo alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura?».
La risposta spontanea a questa domanda la trovate nello stato di illegalità e tortura permanente documentati in questi giorni, mesi, anni da gente come il costituzionalista Andrea Pugiotto e gli altri 120 tra costituzionalisti, giuristi e avvocati, che hanno firmato una “lettera aperta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano” perché interrompa con amnistia e indulto la catena di illegalità, tortura, violazione flagrante della nostra Costituzione e di ogni legge internazionale, che si consuma quotidianamente nelle carceri italiane. Carceri stivate di quasi il doppio dei detenuti che la legge consente di detenere e di una popolazione carceraria che, per quasi la metà, è rappresentata da persone che le statistiche storiche prevedono andranno per il 50% assolte, mentre nel frattempo scontano, “in attesa di giudizio”, carcerazione e tortura preventive.
La risposta spontanea alla dissimulazione, sciatteria, indifferenza alla codifica da parte dell’Italia del reato di tortura, la danno i Pannella, i radicali, le associazioni sociali, culturali e caritative impegnate nel mondo penitenziario, i sindacati delle guardie penitenziarie e, nel nostro piccolo, noialtri e tutte le persone di una certa buona o poca buona volontà che hanno però chiara l’idea di cosa sia il diritto umano, l’articolo 13 della Costituzione italiana, le garanzie giuridiche previste dalle leggi per qualunque cittadino sia sottoposto a indagine, imputazione e perfino condanna giudiziaria definitiva.
Tornando a Simone (in carcere preventivo e nell’impossibilità di difendersi dal 13 aprile scorso), coinvolto nelle inchieste sulla sanità lombarda e socio di Piero Daccò (in carcere preventivo e nell’impossibilità di difendersi dal 16 novembre 2011), oggi, giovedì 2 agosto, apprendo dalle pagine del Corriere della Sera e da uno dei più impeccabili assistenti dell’accusa presso l’opinione pubblica, l’illustre collega Luigi Ferrarella, che nell’inchiesta sulle presunte irregolarità e corruzioni nell’ambito della sanità lombarda (caso Daccò e Simone), «per la prima volta compare in una contestazione dei pm un riferimento esplicito a Cl: circa 70.000 euro spesi da Daccò per l’organizzazione di cene e convention nel corso del Meeting di Rimini. Infatti, la Procura le qualifica “occasioni volte a promuovere consenso elettorale”, non solo “per Formigoni”, ma anche “per il movimento di Comunione e Liberazione”».
Adesso, per capire di cosa stiano parlando i pm per assistenza presso l’opinione pubblica dell’illustre Ferrarella, devo anzitutto autodenunciarmi. È così, lo dichiaro pubblicamente, credo di aver partecipato anch’io al banchetto di reato, almeno un paio di volte nell’arco dell’ultimo decennio. Devo anche aggiungere che a questa ipotesi di reato di “cene e convention”, da quando sono al mondo in età adulta e anche fuori dal mestiere di giornalista, ci avrò partecipato centinaia di volte. Anche nel corso di antichi festival de L’Unità, convegni culturali, raduni spirituali, goliardici, amorosi, amicali, internazionali eccetera.
Quanto al contestato reato di associazione in cena e convention elettorale, esso consisteva in questo: una sera qualsiasi durante la settimana del Meeting, Piero Daccò organizzava al ristorante Lo Squero, sul lungomare di Rimini, una cena per amici e conoscenti. Una cinquantina di persone in media (e forse più), che non andavano a nascondersi nelle cantine e non banchettavano incappucciati per elaborare piani di controllo della sanità lombarda. Cenavano. Punto. E cenando se la contavano su come capita di fare a tavola e in ogni umano consesso conviviale, associativo, libero, libertino ecc. scambiandosi chiacchiere su come va il mondo, il tempo, la vita, il lavoro, gli affari ecc ecc. Di complotti e procurazione di consensi elettorali a cielo aperto non ho mai sentito parlare. Almeno a tavola. Però, uno può pensare quello che vuole in un Paese dove devi ormai chiedere il permesso a un pm se vuoi fare una telefonata di lavoro o se vuoi uscire a cena con chi ti pare.
E comunque, controllate su google maps dove si trova il ristorante Lo Squero di Rimini: non in un caveu sotto il Meeting di Cl, ma sul lungo mare più battuto d’Italia. Di più. Le cene si svolgevano all’aperto, sotto il chiaro di luna e sotto la curiosità dei passanti, la benevolenza del ristoratore che, off course, alla fine passava all’incasso. Pagava Daccò? E allora? Ora, che cosa c’entrano le cene offerte sul lungo mare riminese, le serate di combriccole piene di imbucati che accettava liberamente l’invito a cena di Daccò oppure no, e se ne andava al cinema o a ballare, con “il promuovere il consenso elettorale per Formigoni”? Secondo voi, Formigoni aveva bisogno di andare allo Squero di Rimini per promuoversi e cercare voti? Soprattutto, che cavolo c’entra “il consenso elettorale per Comunione e Liberazione”? Ma secondo voi, Cl è un partito? Avete mai visto in una cabina elettorale la scheda di Cl? Secondo voi, se qualcuno avesse testimoniato che Daccò e Simone andavano a donne a Rimini, di cosa li avrebbero accusati, di tratta delle bianche e sfruttamento della prostituzione in concorso con Formigoni e Cl?