Sicuri che a Obama scocci così tanto la resistibile avanzata dell’Isis?
Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – «Questo raid coronato da grande successo contribuirà a degradare l’Isis molto più degli attacchi aerei e delle operazioni di terra alleate degli ultimi mesi. Questo raid rappresenta una schiacciante sconfitta che danneggia sia le operazioni di terra dell’Isis sia la sua capacità di farsi pubblicità e attirare un numero di combattenti volontari senza precedenti». Le ultime parole famose di uno dei senior fellow del Foreign Policy Research Institute di Philadelphia, un think tank che fra i suoi affiliati annovera o ha annoverato gente come Henry Kissinger, Bernard Lewis, Alexander Haig, James Schlesinger, Robert Kaplan.
Erano passate appena 24 ore da questa dichiarazione relativa al blitz siriano con cui le Delta Force americane avevano ucciso un fino ad allora sconosciuto dirigente tunisino dell’Isis –Abu Sayyaf, nome di battaglia – e asportato documentazione cartacea e informatica dal suo covo, che Ramadi cadeva nelle mani delle truppe del califfato. A nulla è servito schierare a difesa della città, che si trova a 110 chilometri da Baghdad, la divisione d’élite dell’esercito iracheno, corrispondente alla vecchia Guardia repubblicana di Saddam Hussein, né cinque mesi di bombardamenti aerei della coalizione a guida americana (dal 24 novembre al 16 maggio) sulle linee avanzate dei jihadisti, né la partecipazione di milizie tribali sunnite: il 17 maggio, a cinque mesi e quattro settimane dall’inizio dell’assedio, Ramadi è caduta nelle mani dell’Isis, che il giorno dopo ha passato per le armi centinaia di prigionieri catturati sul posto. Contemporaneamente, a 500 chilometri di distanza altre colonne dell’Isis davano l’assalto a Palmyra, gioiello archeologico in territorio siriano ma anche sede di un aeroporto militare e centro nevralgico per il controllo della Siria sud-orientale, e in meno di una settimana costringevano le forze governative ad abbandonarlo nelle loro mani.
All’indomani del comunicato della Casa Bianca che specificava che l’eliminazione del dirigente tunisino dell’Isis avrebbe causato una flessione delle entrate da esportazioni petrolifere che finanziano il gruppo terroristico, il New York Times ha pubblicato un prospetto che smentisce l’amministrazione Obama: l’Isis non ha problemi di finanziamento anche se negli ultimi mesi le sue entrate da contrabbando di idrocarburi sono molto diminuite. Per mesi si è scritto che lo Stato islamico incassava 1 milione di dollari al giorno dall’esportazione di petrolio e gas sotto il suo controllo. Dopo la campagna aerea contro le sue installazioni petrolifere questa entrata si sarebbe ridotta a 2 milioni di dollari alla settimana. In compenso, «lo Stato islamico incassa più di 1 milione di dollari al giorno in estorsioni e tasse. I salari degli impiegati governativi iracheni subiscono un prelievo del 50 per cento, che ha portato nelle casse 300 milioni di dollari l’anno scorso. Le società possono vedere tassati i propri profitti fino al 20 per cento. Nel momento in cui le entrate da altri settori – banche e petrolio – sono andate in stallo, lo Stato islamico ha aggiustato le aliquote sulle altre voci, in modo che ora le varie tassazioni rappresentano una proporzione più alta delle sue entrate».
I veri interessi americani
D’accordo. Ma detto questo, le cose stanno andando davvero così male per gli interessi americani in Medio Oriente? È una bestemmia dire che l’Isis – al netto delle teorie complottiste frutto dell’idiosincrasia per l’America e del razzismo inconscio per il quale gli arabi e i musulmani non saranno mai capaci di progettualità politico-militare originale – è il provvidenziale strumento che permette agli Stati Uniti di realizzare gli unici obiettivi di politica estera che una potenza egemonica mondiale può permettersi di questi tempi? «L’America è una religione che non ha i mezzi del suo credo. Se volesse adeguare gli strumenti al suo credo, farebbe bancarotta», leggiamo nell’editoriale dell’ultimo numero di Limes, dedicato all’analisi dell’assetto interno dei poteri americani. «Oggi una quota rilevante di terrestri, inclusi alcuni fieri cittadini degli Stati Uniti, si concentra sul crescente iato fra retorica e fatti. Per concluderne che Washington resterà per qualche tempo il Numero Uno, forse, ma già ora subisce il mondo assai più di quanto possa o voglia ordinarlo».
Le convulsioni del mondo arabo e musulmano sono uno dei teatri dove più chiaramente si è rivelata l’impotenza americana a ordinare il mondo: prima il progetto neo-imperiale di G. W. Bush di rimodellare il Medio Oriente facendo leva sull’hard power (guerra con truppe sul terreno e governo diretto) poi il tentativo di imperialismo culturale camuffato di Barack Obama (soft power applicato alle Primavere arabe più droni alla bisogna) sono falliti miseramente. George Friedman di Stratfor riassume così la correzione di strategia del secondo mandato obamiano: «Mentre ha sentito che doveva reagire all’assertività della Russia, Washington ha cercato di esporsi al minimo in Medio Oriente. Riconoscendo i limiti del loro potere, gli Stati Uniti sono giunti a vedere nelle quattro potenze indigene regionali – Turchia, Iran, Arabia Saudita e Israele – i soggetti che portano la responsabilità primaria della stabilità nella regione e che fanno ognuno da contrappeso alla potenza degli altri».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Dismesse le ambizioni messianiche del passato, gli Stati Uniti si comportano come tutte le potenze egemoniche della storia, dall’Impero Romano in poi: per dominare occorre far sì che gli avversari potenziali si combattano fra di loro, accendere la rivalità fra di essi perché non pensino ad allearsi contro l’egemone, lasciargli spinose crisi locali da gestire e soprattutto operare perché non emerga un egemone regionale. Gli egemoni regionali, infatti, poi portano la sfida all’egemone globale.
Nell’ultimo quarto di secolo due regimi mediorientali sono stati percepiti – e non a torto – come minaccia reale agli interessi americani: l’Iran di Khomeini e l’Iraq di Saddam Hussein. Il primo è stato contenuto con successo, prima impelagandolo in una lunga e sanguinosa guerra con l’Iraq, poi con le sanzioni economiche. Il secondo è stato abbattuto, a caro prezzo, nel 2003 dopo dodici anni di pressioni. In America Jeff Bush viene criticato con veemenza o sbeffeggiato per la politica che suo fratello George William ha praticato nei riguardi dell’Iraq, ma in realtà i Bush potrebbero mettersi sull’attenti davanti al popolo americano e gridare «missione compiuta!»: l’Iraq è stato azzoppato per sempre, la sua perdurante instabilità è la garanzia che non rappresenterà mai più una minaccia per nessuno.
Oggi il rafforzamento e l’irradiazione minacciosi dell’Isis, insieme al collasso di paesi come Iraq, Siria, Libia e Yemen, offrono agli Stati Uniti la possibilità di praticare la politica dell’equilibrio di potenza a costi infinitamente minori di quelli sostenuti ai tempi di Bush padre e figlio. Non c’è bisogno di progettare costosi “regime change” nelle quattro potenze regionali elencate da Friedman (ce ne sarebbe una quinta, l’Egitto, che però non ha ambizioni egemoniche e quindi non rappresenta una minaccia, in quanto è tutta impegnata a mantenere la propria stabilità interna), poiché esse sono impegnate a “marcarsi” fra loro, principalmente interferendo nelle crisi dei quattro paesi collassati prima citati.
Una nuova fase del conflitto
Siria e Iraq non sono alla vigilia della caduta dei rispettivi regimi sotto la pressione delle vittorie militari dell’Isis, come scrivevano i quotidiani italiani, ma alla vigilia di un’altra fase della loro disgregazione in quanto stati e della subordinazione delle entità territoriali minori risultanti alle potenze straniere regionali. La caduta di Ramadi non è un apologo della forza dello Stato islamico, ma della debolezza dello Stato iracheno.
Le forze armate governative restano un feudo di clientelismo sciita senza professionalità né qualità militari, dopo la “debaathificazione” voluta dagli americani e perseguita dai governi di Baghdad a dominante sciita i migliori ufficiali sunniti sono passati con l’Isis e con altri gruppi ribelli. Gli sciiti veramente motivati a combattere non si rivolgono all’esercito, ma alle molte milizie fiorite al tempo della guerra civile fra sunniti e sciiti del 2006-2007 e rifiorite dopo l’appello alla “difesa sacra” contro l’Isis dell’ayatollah al Sistani nel giugno 2014. Quasi tutte sono addestrate e controllate dai Guardiani della Rivoluzione iraniani.
All’Iran si è rivolto anche il Puk, il partito curdo iracheno di minoranza, rivale del Pdk che controlla il governo regionale del Kurdistan iracheno (Krg) con sede a Erbil e che è in buoni rapporti con la Turchia. Il Pdk ha fatto il pieno di armi inviate dai paesi occidentali in occasione della crisi dell’estate scorsa e anche di addestratori; per riequilibrare i rapporti di forza il Puk si è gettato fra le braccia dell’Iran. Invece il progetto di resuscitare il Risveglio sunnita fra le tribù della provincia di Ramadi, che il generale Petraeus aveva armato e finanziato con successo nel 2007 in funzione anti-al Qaeda, è fallito per il semplice motivo che né Baghdad né Washington stavolta se la sono sentita di armare le tribù sunnite: hanno avuto troppa paura che le armi finissero in mano all’Isis o che le tribù passassero dall’altra parte. Ormai i sunniti iracheni non hanno alternative: o stare dalla parte dell’Isis, o mettersi al servizio dell’Arabia Saudita o della Turchia.
Il regime di Assad resiste
In Siria le cose non vanno diversamente. Le recenti sconfitte delle forze governative – a Palmyra di fronte all’Isis e nel governatorato di Idlib di fronte alla coalizione salafita-alqaedista di Jaysh al Fatah – stanno già facendo versare inchiostro per annunciare l’imminente caduta del regime di Bashar el Assad. Questo è altamente improbabile (e indesiderabile per la popolazione civile delle principali aree sotto controllo governativo), perché alle vittorie dell’opposizione corrisponde un riposizionamento delle forze governative e filo-governative. Palmyra e le località vicine sono cadute perché all’inizio di maggio la più forte brigata della Guardia repubblicana è stata spostata dalla regione di Der Ezzor a quella della Ghouta, a oriente di Damasco. Intanto col contributo determinante degli Hezbollah libanesi la regione del Qalamoun, al confine fra Siria e Libano, è stata messa in sicurezza.
Il regime resiste, ma su un territorio più ridotto e appoggiandosi sempre più a milizie straniere sponsorizzate dall’Iran: non solo gli Hezbollah libanesi, ma volontari sciiti dall’Iraq e dall’Afghanistan. I ribelli islamisti guadagnano posizioni perché hanno cominciato a coordinarsi, dopo che Turchia e Arabia Saudita si sono coordinate fra loro nel sostenerli, in seguito al summit fra Erdogan e re Salman a Riyadh in marzo.
Insomma, le potenze regionali si stanno facendo carico della “stabilità” della regione, come Obama auspica da tempo. Ne faranno le spese le minoranze etniche e religiose nei vari paesi, in prima fila i cristiani.
Foto Ansa/Ap
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Il cretino non si rende neppure conto che quello che si sta trangugiando da sè è quanto gli rimane del suo cervello: gli effetti si vedono e vaneggia più di prima.
Noto con piacere che lo psicopatico ha perso ogni remora e quando non ha nulla da copincollare, passa direttamente alle ingiurie gratuite e vili. Cui non risponderò. Credo che dovebbe provvedere la Redazione, però, a rimuovere materiale clinico di risulta come quello che lo psicopatico complottista asembla, orami, sensa soluzione di continuità. Si è condannato all’ossessione personale e non ha scampo né pietà di se stesso. Cancellatene gli accessi di follia. Fatelo per i suoi cari, povera gente, ne avrà pure lui.
di Miguel Fernández Martínez – Prensa latina
Per Buzaina Shaaban, consigliere politico e mediatico del Presidente siriano, Bashar al Assad, il Levante è un settore vitale in tutto il mondo arabo, perché se la Siria cade, tutta la regione diventerà una terra di servi.
Questo piccola ma attiva donna, nata nella provincia di Homs e legata al Partito Arabo Socialista Baath, è probabilmente una delle figure più vicine al presidente Assad. Prensa Latina ha parlato con lei nel suo ufficio al Palazzo del Popolo, costruito su una collina che domina la città di Damasco che può essere vista in tutta la sua grandezza, alla ricerca di uno scorcio del conflitto che ha colpito questo paese arabo da quattro anni fa.
«Il Levante è stato a lungo la bussola degli arabi, da qui la fermezza e la forza della Siria, molto importante per il futuro di tutti, qualcosa che i nemici sanno molto bene».
«Così hanno favorito l’entrata di tutti i tipi di criminali, mercenari e terroristi in Siria, per rompere questo schema. Abbiamo 10.000 anni di storia, siamo stati invasi da molti, tutti sono stati sconfitti, e i siriani sono sempre riusciti a resistere», ha dichiarato Shabaan.
«Bisogna mantenere l’asse della resistenza perché è molto importante per il futuro di questa regione. Il problema non è esistere, se esistiamo senza libertà, noi volgiamo essere veramente liberi».
Per Bouthaina Shaaban, l’aggressione contro la Siria è stata complementare alla guerra scatenata contro l’Iraq nel 2003, è avvenuta perché i due paesi hanno avuto forti eserciti, civiltà radicate e anche molta influenza in Medio Oriente.
«Quello a cui stiamo assistendo oggi nella regione, è la distruzione di due eserciti potenti, l’opzione per disegnare questi due paesi nella linea di confronto contro Israele, cercare di porre fine all’indipendenza e formare governi lacchè, servi degli USA», ha spiegato.
Per tua sfortuna io so chi è colui che citi, il contrario dell autorevolezza.
Lo psicopatico multinick superlativamente cretino, invece, che c’è e ci sarà e sarà sempre lui, più paranoico che mai, continua a lanciare segnali dello stadio di abiezione personale e ideologica cui è giunta la sua psicosi degenerativa.
Detto questo, non è chiaro perché la Redazione permetta, a questo cialtrone conclamato fra gli altri, di fare di “Tempi.it” la “vetrina” di agenzie stampa, siti, riviste online cui questi pasdaran della dhimmitudine e di altrettali cause da TSO attingono. Non si capisce perché, se non si può impedie che passino post fatti di copincolla, vaneggiamenti, manipolazioni, falsificazioni e insulti che mostrano il livello di belluina follia e di falsità islam-style in cui si crogiolano islamofili, anti-semiti e varia matta bestialità, non è possibile, poi, rimuoverli.
Non è un obbligo tenere sul blog in esposizione pemanente i post della marmaglia verminosa che si sente, così, autorizzata a insistere e premiata nella propria follia: cancellateli. Ogni contributo a un confronto serio, quale che sia l’opinione professata, merita attenzione: ma il boicottaggio di un’ospitalità, per giunta, estorta o imposta messa in atto da chi ricorre a espressioni di demenziale livore, non fa che rafforzare le solide basi psicotiche di soggetti, come ormai è sempre più evidente, clinicamente folli.
Caro Rodolfo Casadei,
l’articolo è assai interessante ed è a vera “summa” di questioni capitali che si intrecciano e su cui sarebbe lungo discutere, anche solo riguardo il confronto Bush-Obama. Oppure, se pensiamo all’impiego di truppe di terra anche per operazioni umanitarie, disinteressate quanto si vuole e si può, ma subito criticate come ingerenza indebita per loschi e sordidi interessi, come politica imperialistica: e si è visto fin troppo bene a che sono servite le missioni militari dell’O.N.U. in Africa o nei Balcani negli anni Novanta. Può bastare.
Mi limiterò, allora, all’unico rilievo che mi sembra plausibile muovere alla sua disamina: e cioè, che non è un segreto né una novità né una cosa di per sé contraria al realismo ovvero al principio di realtà anche in campo geo-strategico, che ogni Paese o sistema di alleanze o di più o meno occasionali convergenze di interessi persegua i propri obiettivi sulla base di valutazioni e strategie, peraltro, mutevoli. In ogni caso, è chiaro che ogni Stato sovrano o grande potenza, come fa ciascuno di noi, cerchi di ottenere il massimo risultato possibile col minore sforzo possibile. Ma occorre sapere qual è il proprio interesse nazionale o euro-unionistico: e non si sa bene. A volte, sembra, specie in politica estera, che ognuno faccia per sé: e non tutti fanno bene allo steso modo anche solo i propri conti e i fatti propri
Ecco, parliamo dell’Ue, a volta di più, quando l’Ue non riesce neppure a fare l’America a due passi da casa. Intervento di terra? Le ha viste le reazioni stizzite, starnazzanti all’idea di affondare i barconi nei porti libici? Li ha sentiti i libici di Tobruk minacciarci se osavamo tanto e ora, guaire che vogliono essere salvati da noi? Li ha sentiti gli egiziani di al-Sisi farsi avanti per promuovere una coalizione internazionale conto l’Isis in libia quante reazioni furibonde e minacciose si sono attirate nello steso mondo arabo-islamico e di cui si sono fatti interpreti i complottisti in servizio in questo blog?
Intervento di terra? on le apfe che ci sia un non detto, un sottotesto, una nota in margine a un testo implicito in tutte le obiezioni che vorrebbero, sì, fare tutto per fermare jihadisti e migranti, ma tanto nobilmente e umanitariamente da non rimetterci né un solo euro né un solo uomo? Che è questa, come sembra a me: nell’Ue, solo nell’Ue, gli immigrati islamici sono già a quota dieci milioni e passa, milione più (in effetti, assai più), milione meno. Ora, non diciamo un milione, ma neppue centomila basterebbero diecimila jihadisti che si mettono in testa di vendicare qualche sopruso occidentale contro correligionari o compatrioti maghrebini o mashreqini, per scatenare l’infeno da noi. Per trasformare l’Ue – già ora, ammettiamolo: terra di conquista pacifica – in un teatro di jihad armata. E conseguentemente, dietro l’appeasement delle nostre cancellerie in ordine sparso, dietro la paralisi politica condivisa si celi la conspevolezza che, di fatto, l’Ue è già in ostaggio di tutta la gente che abbioamo accolto dissenatamente: e che, quando le cose non gli piacessero, saprebbe da che parte stare senza che debba dirglielo un Califfo o un Mahdi.
La mia sensazione è questa. Le sarei grato, se lo ritiene, di una sua opinione in merito e a integrazione, per così dire, del suo articolo.
Grazie.
Caro Raider, secondo le proiezioni del Pew Research Center nel 2050 i musulmani rappresenteranno il 10 per cento degli europei: troppo poco per un jihad. Anch’io sono convinto che ci sarà un’islamizzazione dell’Europa, ma avverrà più avanti, fra il 2050 e il 2100. Poi non isolerei il fattore islamico e il fattore immigrazione islamica come le uniche due determinanti del tramonto di civiltà politica dell’Europa. Dobbiamo tenere conto anche della riapparizione della Russia come potenza regionale, degli investimenti americani, cinesi e arabi del Golfo che stanno acquistando e sempre più acquisteranno gran parte delle imprese europee, della probabile migrazione delle masse dell’Africa sub-sahariana verso l’Europa, del tracollo dello Stato sociale in Europa sotto il peso dell’invecchiamento della popolazione (l’apporto degli immigrati alla spesa sociale è un balla: fanno i versamenti, ma allo stesso tempo consumano welfare: è un contributo a somma 0. Insomma, per la nostra Europa la vedo male, ma non mi sento ancora pronto per scrivere un pezzo futuristico apocalittico. Sono un pessimista alla Quirico: non siamo più noi a determinare il nostro destino, sono all’opera forze storiche di lungo periodo che ci stanno trascinando via. L’altro pezzo apocalittico bisognerebbe scriverlo sugli Usa: non so se gli Stati Uniti resteranno uniti nel futuro, l’arroganza liberal per tanti sta diventando insopportabile.
La ringrazio per la cortesia, caro Casadei. Mi lasci dire che statistiche e proiezioni come scienze esatte qualche dubbio lo fanno venire, ma, in ogni caso, oggi quanti sono i musulmani in Europa? Il 5, il 6%? Fanno un venticinque milioni: che sembrano pochi nemmeno per un jihad, quando per gettare nel terrore le nostre città ne basterebbero poche migliaia. Sia chiaro, io non dico che sia o debba essere per forza così: mi auguro che non sia così, anzi. Ma dipende da ciò che decideremo, da oggi in avanti che tempo ce n’è, in tema di politica estera o di immigrazione. Lasciamo che si facciano un partito o partiti, gli islamici: o siano travsersali come gruppo di pressione elettorale (con altri mezzi, ne abbiamo visto le capacità di dissuasione quanto al concetto e all’esercizio europeo del diritto di satira: e sulla blasfemia, aspettiamo il nostro turno, quando ci sarà chiesto di dirgli se consideriamo anche noi Maometto un profeta), visto che si parla di jus soli agli imigrati e anche per questo FI e B. perdono e perderanno – giustamente – con Salvini, che non faranno vincere o ridurranno in un angolo perché si è capito, l’abbiamo capito tutti anche senza Pew Research, che cosa si vuole esattamente colà dove si puote.
Diversamente, ci riprenderemmo la nostra sovranità e faremmo il possibile per non farci ridurre alla mercé dei più forti come degli ultimi arrivati. Almeno, spostiamo di qualche decennio la data in cui di Italia, in Italia, non sarà rimasto nulla. Almeno, non facciamoci prendere in giro non dico da chi è più furbo di noi, ma dalla nostra stessa classe politica per cui abusivi, in Italia, sono i “vecchi italiani”.
Sono d’accordo conte, Raider
Un documento ufficiale dell’Agenzia di intelligence del Pentagono, datato 12 agosto 2012, desecretato il 18 maggio 2015 per iniziativa del gruppo conservatore «Judicial Watch» nella competizione per le presidenziali 1 riporta che «i paesi occidentali, gli stati del Golfo e la Turchia sostengono in Siria le forze di opposizione che tentano di controllare le aree orientali, adiacenti alle province irachene occidentali», aiutandole a «creare rifugi sicuri sotto protezione internazionale». C’è «la possibilità di stabilire un principato salafita nella Siria orientale, e ciò è esattamente ciò che vogliono le potenze che sostengono l’opposizione, per isolare il regime siriano, retrovia strategica dell’espansione sciita (Iraq e Iran)». Il documento del 2012 conferma che l’Isis, i cui primi nuclei vengono dalla guerra di Libia, si è formato in Siria, reclutando soprattutto militanti salafiti sunniti che, finanziati da Arabia Saudita e altre monarchie, sono stati riforniti di armi attraverso una rete della Cia (documentata, oltre che dal New York Times2, da un rapporto di «Conflict Armament Research»).
Ciò spiega l’incontro nel maggio 2013 (documentato fotograficamente) tra il senatore Usa John McCain, in missione in Siria per conto della Casa Bianca, e Ibrahim al-Badri, il «califfo» a capo dell’Isis 3.
Spiega anche perché l’Isis ha scatenato l’offensiva in Iraq nel momento in cui il governo dello sciita al-Maliki prendeva le distanze da Washington, avvicinandosi a Pechino e Mosca.
La fiera del ciclostile fasullo continua.
Leo e tutti gli altri multinick che fanno capo alla stessa persona:
tra quello che copincolli te (a cui non crede nessuno qua) e quello che dice l’articolo (a cui io credo e con me la maggior parte dei lettori di questo sito), c’è una distanza abissale.
Rassegnati, questo è Tempi, non è il forum dei grillini.
I grillini, a differenza delle lobby di checche, sionisti e ciellini, stanno al 25% dei voti, caro Lei.
Dubito che tutti di quel 25 condividano comunque le follie antiebraiche. Sempre li andate a parare. Ed un altra volta divagate senza andare al punto.
Nel caso non l’avessi capito, Yoyo, il tizio cui ribatti è il solito complottista filo-islamico, che, stavolta, contraffà il nickname con cui si presentò qui e che trovi qualche post più su, per fare il mestatore e mistificatore pronto a tutti i travestimenti e le falsificazioni del caso, da diligente allievo delle madrasse menteccatto-islamiche che lo riforniscono di materia cerebrale da spacciare come roba sua.
Comunque, è vero che fggoo di fronte ai fatti: e la strada è semp
Concludo: è vero che fuggono di fronte ai fatti: e la strada è sempre quella che porta a Eurabia e a La Mecca.
……s’è visto, infatti, quante regioni hanno preso.
Nemmeno la Liguria, dove Grillo giocava in casa.
In Toscana sono dopo la Lega.
In Veneto, neanche parlarne, tanto ci siamo capiti.
Obama e qualche “statista” contemporaneo europeo non sono affatto scocciati dall’avanzata dell’isis, anzi……..(non dimentichiamo poi i nostri “alleati” nella Nato, i turchi)
Non capisco niente di che cosa dovrebbero fare iracheni e siriani a livello locale (non capisco chi è peggio tra coloro che potrebbero governarli). Ma quest’articolo mi piace molto! “Resistibile avanzata dell’Isis”, un titolo che infonde coraggio!