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È il Belgio il colpevole dell’eutanasia di Shanti De Corte, non la sua depressione

Una ragazza di ventitré anni sopravvissuta agli attentati di Bruxelles nel 2016 ha chiesto e ottenuto la "dolce morte" per «sofferenza psicologica insopportabile». Oltre la tragedia personale, c'è un paese diventato fabbrica di morte

Piero Vietti
10/10/2022 - 6:27
Salute e bioetica
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Shanti De Corte eutanasia Belgio
Shanti De Corte sorridente nella sua foto profilo su Facebook

Il 22 marzo 2016, la diciassettenne Shanti De Corte doveva volare a Roma con i suoi compagni di classe. La ragazza belga però non ha mai preso quell’aereo per l’Italia. Mentre era nell’atrio dell’aeroporto di Bruxelles, accanto a lei i terroristi islamici si sono fatti esplodere uccidendo diciotto persone e ferendone novantadue. Non lei, uscita da quell’attentato illesa nel corpo ma ferita in profondità nell’animo. Nell’aprile di quest’anno, la ventitreenne Shanti De Corte ha chiesto l’eutanasia per «sofferenza psicologica insopportabile». L’ha ottenuta, perché in Belgio ormai basta essere depressi per avere l’ok alla morte somministrata dallo Stato, e il 7 maggio è morta.

«Un fantasma che non sente niente» e pensa all’eutanasia

Uno shock, quello dell’attentato, da cui Shanti è stata tormentata per anni, seguendo terapie che per un po’ sembravano avere funzionato, e che ha colpito una ragazza già fragile prima di quel 22 marzo, che aveva già ricevuto cure psichiatriche, e che è tornata in ospedale dopo avere visto morire accanto a sé persone inermi in quel modo.

Sei anni di alti e bassi, un tentativo di violenza sessuale subìto da parte di un altro paziente dell’ospedale psichiatrico nel 2018, un tentativo di suicidio nel 2020, giorni in cui racconta che i medici la imbottiscono di antidepressivi: «Prendo più medicine per colazione. E fino a 11 antidepressivi al giorno. Non potrei vivere senza di loro». E ancora: «Con tutte le medicine che prendo, mi sento come un fantasma che non sente più niente. Forse c’erano altre soluzioni oltre alle medicine».

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Gli amici preoccupati, l’offerta di aiuto, il suo no

Quando sta bene prova a raccontare alla stampa che adesso «vuole vivere per gli altri», dice di volere essere un esempio per gli altri sopravvissuti agli attentati di come si può ricominciare a vivere nonostante il trauma. Ma le cose precipitano, i medicinali aumentano e Shanti inizia ad avanzare richieste di potere accedere all’eutanasia. All’inizio le sue domande vengono respinte. I suoi amici, presenti anche loro in aeroporto quel giorno, si preoccupano. Loro seguono un programma di aiuto psicologico con cure mediche e terapeutiche, stanno meglio, a differenza di lei che insiste a volere l’eutanasia.

Parlano di Shanti ai terapeuti che li hanno in cura, e uno di loro scrive allo psichiatra di Shanti: «Sono stato informato che Shanti ha sofferto di un trauma complesso e che l’unica soluzione che le è stata offerta fino ad oggi è l’accettazione della sua richiesta di eutanasia. Senza ovviamente mettere in discussione questa soluzione a priori, la mia esperienza in vittimologia solleva in me alcune domande. Questo è per questo che mi piacerebbe incontrare Shanti se sei d’accordo quando sarò a Ostenda, la settimana del 25 aprile».

La nuova richiesta di eutanasia, accettata

Lo psichiatra risponde che a Shanti non interessa incontrarlo. Ad aprile avanza una nuova richiesta di eutanasia tramite Leif, associazione che si occupa degli interessi di chi vuole “morire dignitosamente”. Questa volta la richiesta è accettata, il 7 maggio Shanti De Corte viene uccisa. Pochi minuti prima di andarsene posta su Facebook una sua foto in cui sorride e ha gli occhi chiusi: «Ho riso e ho pianto», scrive sulla sua bacheca social. «Ho amato e mi è stato permesso di sentire cosa è il vero amore. Adesso partirò in pace. Già mi mancate».

Shanti è stata uccisa a ventitré anni perché nel suo paese una legge dice che si può morire per mano dello Stato se si è depressi, perché da quando la “dolce morte” è diventata legge il piano inclinato non si è più fermato, trasformando il Belgio in una fabbrica di morte. La Commissione federale per il controllo e la valutazione dell’eutanasia in Belgio, la CFCEE, non ha trovato nulla da obiettare. La procura di Anversa ha aperto un’indagine sulla sua morte, difficile che serva a qualcosa. «La giovane era in una tale sofferenza psicologica che la sua richiesta è stata logicamente accolta», hanno detto a RTBF, l’emittente belga che per prima ha raccontato la storia, fonti ufficiali della Commissione federale per il controllo e la valutazione dell’eutanasia.

Il Belgio che viola «il diritto alla vita» e il ruolo di Leif

Pochi giorni fa La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato all’unanimità il Belgio a modificare la legge sull’eutanasia perché viola «il diritto alla vita» dei cittadini, protetto dall’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In particolare ha denunciato il conflitto d’interessi all’interno della Commissione di controllo dell’eutanasia. Secondo i giudici della Corte europea, la Commissione non può essere definita «indipendente» se il medico che uccide il paziente è anche quello che valuta il caso e vota influenzando i colleghi.

Nel caso discusso dalla Corte europea è emerso che i medici che hanno valutato la richiesta di eutanasia di una paziente non erano indipendenti, ma lavoravano tutti per l’associazione pro eutanasia Leif. La stessa grazie alla quale Shanti De Corte ha ottenuto il sì alla sua richiesta di eutanasia. «Voglio vivere», aveva detto in un’intervista nel 2018. «E aiutare gli altri. So che non finirà mai, ma troverò il modo di trovare la mia strada».

Un neurologo, Paul Deltenre, sostiene che alla ragazza non siano stati offerti tutti i tipi di cura possibili adeguati alla sua situazione. Shanti aveva davanti a sé molti anni ancora. La sua vita non era minacciata da un male incurabile né era distrutta da un dolore fisico insopportabile, non era bloccata in un letto e non c’era nessuna spina da staccare. Shanti era una giovane ragazza con un «dolore psicologico insopportabile», definizione vaga e pericolosa che tiene dentro sempre più situazioni fragili. E in Belgio la soluzione alla sofferenza psicologica delle persone è sempre più spesso l’eutanasia. I giornali che in queste ore raccontano sgomenti la tragica storia di Shanti De Corte si accorgeranno finalmente dove porta il piano inclinato dell’eutanasia che spesso invocano nei loro editoriali?

Tags: belgioEutanasia
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