Lo scontro del secolo: Vanity Fair contro “Una poltrona per due” a Natale

Di Caterina Giojelli
15 Dicembre 2024
Attenzione, contiene “blackface”, “N-word” e “un nudo che non supera il test di Bechdel”. Ma quante bottiglie di follemente corretto si scolano nella redazione di Vf che fino all’anno scorso stravedeva per il “film della Vigilia”?
La commedia “Una poltrona per due” di John Landis debuttò nelle sale statunitensi l’8 giugno del 1983. E dal 1997 in Italia viene trasmessa in prima serata la Vigilia di Natale
La commedia “Una poltrona per due” di John Landis debuttò nelle sale statunitensi l’8 giugno del 1983. E dal 1997 in Italia viene trasmessa in prima serata la Vigilia di Natale

Attenzione, contiene “blackface”, “N-word”, “oggettificazione femminile” e “un nudo che non supera il test di Bechdel”. Tu sei lì che aspetti, puntuale come il Memento mori di Gabanelli del lunedì, l’apparizione dell’intollerante Signoramia di turno con l’immancabile lista di ingredienti fuorilegge a Natale (e chiamatelo chiusura invernale, e cantate Perù invece di Gesù eccetera) e d’improvviso eccolo: il sermone post-moderno di Vanity Fair contro Una poltrona per due.

Ma qui, caramba, non c’è mica la solita solfa, qui c’è fantasia, intuizione, colpo d’occhio, perfino Dumbo: si capisce che più che del ritorno al cinema della commedia-tormentone di John Landis – santo patrono di tutti i titolisti di stanza al Transatlantico della Camera – si sia parlato delle bottiglie di follemente corretto scolate dalla redattrice di Vf. «Inspiegabile», scrive commentando la riproposizione del “classico di Natale” su Italia 1 alla Vigilia («come da tradizione negli ultimi trent’anni di tv generalista»), ma soprattutto il suo arrivo in sala il 9, 10 e 11 dicembre scorso in versione restaurata: com’è possibile, «una commedia così controversa».

C’è tutto no? C’è il woke di una volta, superiorità morale à la the con Natalia Aspesi, la sicumera dell’ispettore del noir di terza categoria che arriva a delitto risolto tutto convinto di sgamare l’assassino, insomma ce ne è abbastanza per dare a Vf ragione fino a Natale. Sentite qui.

Alert cattivo che usa la N-word. Almeno Bateman strangolava col sorriso

«Il problema è che si tende a giustificare una tendenza palesemente retrograda che permea la pellicola degli anni Ottanta»

Ha ragione Vf. Tipo Ritorno al futuro che non condanna il cyberbullismo o Shining che non menziona i cambiamenti climatici. E quell’attitudine passatista a passarci, appunto, sopra ogni volta che un giornalista vede un film di 40 anni fa e non gli sfugge il pelo fuori dalla ceretta concettuale contemporanea.

«Risulta alquanto spiacevole, ad oggi, ascoltare uno dei fratelli Duke del film […] usare la “N-word”»

Ha ragione Vf. Duke doveva chiamare Billy Ray Valentine (Eddie Muphy) “Spettabile afrodiscendente”, sia mai che i cattivi risultino disgustosi offendendo qualcuno. Per esempio anche Hannibal Lecter non dovrebbe mangiare più carne umana per non risultare spiacevole allo spettatore vegano. Per esempio il Patrick Bateman di American Psycho strangola sempre il prossimo con il sorriso.

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«E lo è altrettanto rendersi conto che, sullo sfondo delle stanze del potere, ci sia solo servitù afroamericana»

Ha ragione Vf, nel 1983 la servitù dei ricconi bianchi doveva essere selezionata con un casting di camerieri inclusivo. Il fatto che fosse così perché è proprio questo che il film critica facendo satira sulla sporcizia morale dei bianchi razzisti classisti e capitalisti richiede uno sforzo superiore a indignarsi su X con il cappuccino di soia in mano. Ergo non è un tema da Natale 2024.

Vergogna la blackface di Aykroyd! Fategli fare la fine di Dumbo

«La pellicola non si preoccupa mai di condannare una mentalità spregevole e figlia di un passato di cui vergognarsi, utilizzandola anzi per creare sketch e battute che, ormai, risultano fuori tempo massimo»

Ha ragione Vf, che non a caso richiama i cappelli iniziali apposti dalla Disney al quel razzista di Dumbo. Niente dice “comico” come un film che si interrompe qua e là per inserire un sermone, così John Landis dovrebbe oggi interrompere il suo esplicitando “Questi personaggi sono razzisti e spregevoli. Non imitateli a casa”, o affidare alla voce narrante del chatbot di Angela Lansbury lo spiegone sul perché i fratelli Duke siano marciume sociale. Sia mai che il pubblico ci arrivi da solo o gli scappi da ridere al «Lui giamaicano, fare spinello, io invece no!» di Murphy travestito da cemerunense che indica Aykroyd vestito da rasta col cannone in bocca, mentre Lee Curtis vestita da trionfo di kitsch nordico vaneggia di polpette svedesi e di “pic nic, ja!”.

«Sfidiamo chiunque a dire che la blackface del personaggio di Aykroyd faccia ancora ridere. È sicuramente, tra tutte, la cosa che nella contemporaneità risulta più offensiva, reazionaria e antiprogressista»

Ha ragione Vf. È evidente che Dan Aykroyd conciato come rastafariano in interrail con tanto di dreadlocks non ambisse all’identificazione etnica modello Mami e che sarebbe un pazzo a tentarla oggi. Ma più del blackface che non indignò alcun afrodiscendente di allora va di moda la condanna ora. Se non si salvano gli indiani che fanno “augh!” di Peter Pan o i gatti siamesi che canticchiano con parlata asiatica disinvolta in Lilli e il Vagabondo non si capisce perché debba farla franca il protagonista di un film che prima di chiamarsi Trading Places (titolo originale di Una poltrona per due), doveva chiamarsi Black and White senza alcuna ambizione progressista.

Si è mai vista una sex worker nuda che non passa il test di Bechdel?

«Un altro argomento del tutto attuale, ovvero la maniera in cui viene mostrata la sex worker di Jamie Lee Curtis, dove il suo nudo immotivato e la totale bidimensionalità la rendono un personaggio che non supererebbe mai il test di Bechdel, metodo per vedere se in un’opera coesistono almeno due personaggi femminili che, parlando tra loro, non si riferiscano ad un uomo»

Qui si fa intricata, ma ha decisamente e doppiamente ragione Vf. Non si è mai vista una sex worker nuda o che non supera il test di Bechdel.

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«Per non citare un paio di sketch dove le donne vengono utilizzate solamente come oggetti»

Ha ragione Vf. Che al massimo ci dà qualche pubblicità e copertina. Mica come quei due maschi fortunelli usati dai Duke come cose ed esperimenti sociali. Morale di Vf:

«Sebbene gli stereotipi del racconto possano essere un rafforzativo per sottolineare la concezione bassa e ristretta di una società che speriamo sia migliorata, nel 2024 non basta lasciare che un film venga proiettato e basta […] Ricordarsi che attraverso il cinema si può imparare, anche e soprattutto dai nostri errori».

Quando Vanity Fair amava Una poltrona per due. Cioè un anno fa

Ha ragione Vanity Fair, applausi. Noialtri per esempio abbiamo imparato che Landis trovò «disgustoso» il titolo scelto per l’Italia, che Jamie Lee Curtis si diede al travestimento svedese perché non riusciva a pronunciare un corretto accento austriaco e che il film ebbe una influenza tale sulla cultura americana che nel 2010, quando negli Usa entrarono in vigore le direttive contro l’insider trading nei mercati finanziari, queste norme furono battezzate “Eddie Murphy Rules”. Sapete dove l’abbiamo letto?

Ma proprio qui, su Vanity Fair! Che celebrando i 35 anni del «più classico dei film natalizi» a cui riconosceva fra gli altri «il merito di aver consacrato la “scream queen” Jamie Lee Curtis – figlia di Tony Curtis e Janet Leigh – a icona sexy», ci proponeva un altro classico della redazione: le 20 curiosità sul “film della Vigilia”. La stessa pellicola che proprio lo scorso anno era entrata nella classifica de “I 30 film di Natale più belli di sempre” su Vanity Fair in decima posizione, e ancora tra “I film di Natale che non ci stanchiamo di vedere”, «se Italia1 lo trasmette la sera del 24 dicembre da tutta una vita ci sarà un motivo», e così via, di Natale in Natale. Finché non vivremo tutti molto più piacevoli, cattivi e afrodiscendenti.

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