Via col vento è razzista e finisce in quarantena

Di Caterina Giojelli
10 Giugno 2020
Mostra schiavi che non vogliono essere liberi, non contiene disclaimer, piace a Trump. L'ottusa battaglia liberal contro la pellicola del 1939

Premessa: c’è passato anche Dumbo, l’elefantino volante del 1941. Ora tocca invece alla temibile pellicola del 1939: «Via col vento non solo non è all’altezza della rappresentazione delle comunità emarginate. È un film che glorifica l’Antebellum South. È un film che, quando non ignora gli orrori della schiavitù, ripropone i più dolorosi stereotipi sulle persone di colore. È un film che romanticizza la Confederazione al punto di legittimare l’idea che il movimento secessionista fosse qualcosa di più nobile di quello che era – una sanguinosa insurrezione per mantenere il “diritto” di possedere, vendere e comprare esseri umani». Il Los Angeles Times (portabandiera di alcune imperdibili battaglie dei giorni nostri, come quella per rimuovere il nome di quel “razzista dichiarato e omofobo” di John Wayne dall’aeroporto di Orange County), pubblica l’accorato appello di John Ridley, scrittore, regista, sceneggiatore, oscar per la migliore sceneggiatura non originale del pluripremiato 12 anni schiavo di Steve McQueen nel 2014. È lui, felice abbonato HBO, a chiedere ufficialmente a WarnerMedia di liberarci, “almeno per un po’” dalla visione del kolossal hollywoodiano che ha osato rendere sentimentale «una storia che non lo era affatto».

OVVIAMENTE A TRUMP PIACE

Ulteriore premessa: a febbraio Donald Trump, durante una manifestazione in Arizona, ha detto di preferire Via col vento a Parasite e nessuno gliel’ha perdonata: quel film, tanto per citare un rabbiosissimo Telegraph, «fu presentato per la prima volta ad Atlanta, in Georgia, il 15 dicembre 1939 all’interno di quello che potremmo definire un festival del razzismo di tre giorni (…) I membri del cast nero non erano presenti nel programma, o benvenuti al cinema (..) Le bandiere confederate volavano dappertutto (…) Questa, quindi, è la cultura che Trump elogia!».

Non solo gli schiavi del film tratto dal best seller di Margaret Mitchell (una donna bianca del sud che narra di una civiltà tutta galanteria e campi di cotone andata via col vento), “non vogliono essere liberi”, ma è “più offensivo” che il razzismo faccia da sfondo a un “melodramma sentimentale” piuttosto che essere lo scopo dichiarato del film. Va da sé che pochi mesi prima che scoppiassero le proteste in tutti gli Stati Uniti per la morte di George Floyd il dibattito sulla schiavitù, il peccato originale americano, e le discriminazioni dei neri divampasse sui social e sulle ceneri di Tara.

LA PECETTA COME DUMBO

Naturalmente Ridley non vuole imprigionare per sempre Rossella, Rhett e Mami – interpretata da Hattie McDaniel, prima afroamericana a ricevere un Oscar proprio per Via col vento e che a chi l’accusava di perpetrare lo stereotipo del servo nero ribatteva «meglio interpretare una cameriera che esserlo per davvero» – «in un caveau di Burbank»; chiede solo di far sparire il film per un po’, almeno finché non verrà affiancato da ben altre pellicole capaci di spiegare davvero cosa fosse la schiavitù e la Confederazione, o magari «a discorsi» sull’importanza di non promuovere solo prospettive «che rafforzino le opinioni della cultura prevalente».

Per capirci, spiega allarmato Ridley, oggi «non c’è nemmeno un “warning” o un “disclaimer”, nessun avvertimento o dichiarazione di non responsabilità che precede il film». Neanche una pecetta come quella attaccata da Disney Plus a Dumbo, appunto, dove c’è un capo dei corvi che si chiama Jim Crow, dal nome delle leggi sulla segregazione razziale, che fuma il sigaro e nella versione originale parla con accento afroamericano: «Il film che state per vedere si presenta così come era stato creato in origine. Può contenere rappresentazioni culturali obsolete». Stesso disclaimer apposto da Disney Plus a Peter Pan (alert indiani che fanno “augh!”), Lilli e il Vagabondo (alert gatti siamesi che canticchiano con parlata asiatica disinvolta), gli Aristogatti (alert gatto cinese che suona il piano con le bacchette).

L’ANTIRAZZISMO FACILE FACILE DI “12 ANNI SCHIAVO”

Insomma, se perfino alle latitudini degli elefanti che volano si sta discutendo di fornire «un’opportunità di crescita, conversazione e guarigione» (sic, corredando i cartoni con note a comparsa educative firmate da storici, studiosi di cinema e scrittori, e mini-documenti), come può essere trasmesso impunemente un film in cui le persone di colore vengono trattate meglio di come venivano realmente trattate le persone di colore al tempo di quello stesso film ma sempre in modo esecrabile per l’agendina valoriale del XXI secolo? E come è possibile lasciare gli schiavi nell’ombra mentre Rossella bacia tutti?

Fa niente se, come ricorda il Corriere, la giornalista afroamericana, Angelica Jade Bastién, mettendo a confronto proprio 12 anni schiavo con Via col vento avesse bollato il primo come «una visione più semplice per i liberal bianchi dato l’effetto di distanziamento della violenza che mette in scena. È facile guardare la schiena frustata di Solomon Northup e di altri personaggi e pensare: Be’, non sono così cattivo, non impongo questo tipo di violenza». Al contrario, per Bastién il Sud perduto della Mitchell «esiste ancora oggi nel cuore ripugnante e velenoso che sta al centro della vita Americana», censurarlo renderebbe «facile per molti dimenticare quanto sia indicativo del nostro presente».

NUOVI GHETTI LIBERAL

Fa niente, per Ridley non si tratta in fondo di una grande richiesta, non certo grande come le domande dei nostri figli «quando ti chiedono il permesso di unirsi alle proteste nelle strade contro il razzismo, o quando vogliono sapere cosa hai fatto per rendere il mondo un posto migliore». Da qui l’appello alle piattaforme affinché facciano uno sforzo e mettano in quarantena un film che «ha contribuito a diffondere il razzismo che è all’origine della rabbia e del dolore degli americani in strada». Soprattutto in quelle strade di New York, una per ognuno dei cinque distretti, che Bill de Blasio annuncia che rinominerà “Black Lives Matter”. Alla fine HBO ha accontentato Ridley: il film è stato rimosso temporaneamente dal catalogo, e tornerà disponibile con una spiegazione del contesto storico e una denuncia delle sue rappresentazioni razziste. Sì perché nessuno può mettere Mami in un angolo. Ma in un ghetto ben recintato dal paternalismo di chi pensa di aver reso il mondo un posto migliore guardando ai neri come a una specie protetta, cambiando nomi, sloggiando statue, e censurando un film del 1939 sì.

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