Separazione delle carriere. «Sinistra e pm temono di perdere potere»

Di Giuseppe Beltrame
17 Gennaio 2025
Prima votazione favorevole alla Camera per la riforma Nordio. Parla Tiziana Maiolo: «Siamo l'unico paese in cui i magistrati non devono rendere conto a nessuno»
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio (foto Ansa)
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio (foto Ansa)

Sono 174 i sì, 92 i contrari e 5 gli astenuti. Questi i numeri della votazione di ieri alla Camera che hanno consentito il primo passo in avanti per l’approvazione della tanto discussa riforma costituzionale sulla separazione delle carriere. «Giornata storica, ma il percorso è ancora complesso», ha detto subito dopo il voto il ministro della Giustizia Carlo Nordio, auspicando che le quattro letture previste si compiano prima dell’estate, per puntare dritto al referendum.

Azione e +Europa hanno votato con la maggioranza, Iv si è astenuta, contrari Pd, Avs e M5s che, con l’Anm, da mesi accusano l’esecutivo di aver promosso una riforma liberticida che porterà a un controllo diretto del governo sulla giustizia e sull’operato dei magistrati. Non la pensa così Tiziana Maiolo, giornalista, già parlamentare di Rifondazione Comunista e poi di Forza Italia e ex segretario della 2° Commissione Giustizia della Camera in governi precedenti.

Dopo trent’anni pare che si sia arrivati a un punto di svolta. Se lo aspettava?

Sinceramente, no. Anche se per vedere la riforma portata a compimento ci vorranno ancora almeno due anni e l’approvazione della popolazione al referendum. Di certo sia Silvio Berlusconi che, prima di lui, il ministro Giuliano Vassalli, autore dell’introduzione nel 1989 del sistema accusatorio nel nostro codice penale, sarebbero felici di questo risultato.

La scelta di Nordio come guardasigilli, operata a inizio legislatura da Giorgia Meloni, sta quindi ripagando.

Sì, la premier in questo ci ha visto lungo. Del resto, come il ministro ha ricordato alla Camera, quella della separazione delle carriere è una battaglia che lui stesso porta avanti dagli anni Novanta con pubblicazioni e incontri pubblici.


Da mesi l’Anm è sul piede di guerra, minacciando continui scioperi e ricorsi.

L’unica preoccupazione reale dei giudici è la possibilità di perdere una fetta di potere. Lo dimostra il fatto che tutte le correnti della magistratura sono contrarie alla riforma e non c’è il minimo dibattito interno. La riforma tocca soprattutto i pubblici ministeri, quindi i rappresentanti della componente inquirente della giustizia, che conduce le indagini poi valutate dal giudice. Ad oggi i pm non devono rendere conto pressoché a nessuno del loro operato, a differenza di quanto accade nei sistemi elettivi – come in America, dove devono rispondere ai votanti – o in altri casi in cui il pm rendiconta direttamente al ministro della Giustizia. Questo non impedisce che si facciano inchieste contro i politici, come sostengono gli oppositori della riforma. Solo a titolo esemplificativo nel 2023 in Francia, in cui vige da anni la separazione delle carriere, il ministro della Giustizia Dupond-Moretti è finito a processo.

La riforma prevede l’indizione di un secondo Csm e di concorsi pubblici separati per accedere alla professione, così da evitare squilibri di potere tra giudici e pm.

I giudici in Italia sono molto spesso subordinati ai pm, che hanno il potere di condizionarne la carriera. Nei consigli giudiziari, che sono gli organi “ausiliari” del Csm sul territorio, comandano i pubblici ministeri e il giudice, di conseguenza, deve fare attenzione a non pestare loro i piedi. La riforma, quindi, non vuole penalizzare, ma anzi rafforzare l’imparzialità dei processi. Il rispetto di questo principio è indicato nell’articolo 111 della Costituzione, di cui i sindacati della magistratura non parlano mai. L’Anm accusa Nordio di privare i magistrati di autonomia e indipendenza, ma mai dell’assenza di un principio di imparzialità in Italia, forse il valore più importante di tutti per un’operatore di giustizia.

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Oggi, inoltre, pm e giudici si trovano a lavorare a pochi passi di distanza, spesso in corridoi attigui, con il rischio di condizionamenti reciproci nei processi.

Esattamente. Le due figure giuridiche crescono nella stessa cucciolata, mentre l’avvocato dà del “lei” al pm, il giudice gli dà del “tu” ed entra nel suo ufficio senza bussare. Spesso sono addirittura amici di vecchia data, perché cresciuti insieme professionalmente e umanamente. Del resto divengono colleghi ancor prima di mettere piede nei palazzi di Giustizia, dal momento che il loro esame di stato è lo stesso. Eppure, a rigor di logica, le due parti (avvocati e giudici), dovrebbero essere equidistanti dal pm.

Il Pd si dice «convintamente contrario» alla riforma, come affermato ieri in parlamento da Debora Serracchiani, responsabile di giustizia del partito. A cosa è dovuta questa posizione?

La sinistra da Tangentopoli in poi è subalterna alla magistratura, che l’ha salvata, e quindi al sindacato dei magistrati, autore delle linee politiche del partito in questo campo. Non ci sono altre motivazioni. Non a caso nel 2019, in tempi non sospetti, ci furono anche delle ricognizioni sull’argomento da parte del Pd, in particolare ad opera dell’ex ministro dell’Agricoltura e segretario Maurizio Martina. Il parlamentare redasse una mozione proprio a sostegno di una riforma sulla separazione delle carriere. La stessa Serracchiani ne fu firmataria insieme a una decina di parlamentari che ancora oggi siedono sui banchi del governo. Oggi, però, la linea è cambiata e il Pd si è subito accodato.

Avranno mica cambiato idea?

Direi di no. È risaputo che in molti a sinistra sarebbero favorevoli alla riforma, ma non possono sostenerla per non venir meno al legame con la magistratura. A conferma della reale opinione dei parlamentari dem, ieri la riforma ha incassato il “sì” di più di un membro Pd, oltre al favore di Azione e +Europa. Io stessa nella mia esperienza in Commissione di Giustizia alla Camera ricordo molti di quell’area politica favorevoli alla separazione delle carriere. Non a caso gli argomenti portati in parlamento dalla sinistra contro la riforma sono pressoché ridicoli.

Per esempio?

Angelo Bonelli di Avs sostiene che Nordio promuova l’idea di uno «stato autoritario». Sarebbe come dire che tutto il mondo occidentale sia composto di regimi in cui la giustizia si sottomette alla politica. È ridicolo. Il timore che il governo voglia sottoporre la magistratura a pressioni continue è totalmente infondato se si osservano i paesi in cui vi è già questa condizione. Solo in Italia la magistratura è una corporazione unica, dove pm e giudici sono uniti come fratelli siamesi, mentre gli avvocati costituiscono un’entità a sé stante. Questa riforma ci allinea finalmente a tutto il resto dell’Occidente sul piano della giustizia, tanto è vero che le modifiche volute da Nordio sono già attive e funzionanti in quasi tutta Europa, oltre che negli Stati Uniti, in Australia e Giappone.

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