
«Sono trent’anni che l’Italia aspetta la riforma della giustizia»

La riforma della giustizia del ministro Carlo Nordio? «Positiva, ma non si deve commettere l’errore di considerarla come la risoluzione di tutti i mali». La separazione delle carriere? «Come in ogni sistema liberale è giusto che i pm svolgano la funzione di pm e i giudici quella di giudici, con una spartizione dei ruoli equilibrata e conforme alla Costituzione». Stefano Zurlo, inviato del Giornale, segue la cronaca giudiziaria dai tempi di Mani Pulite. Della magistratura e delle sue storture conosce vita, morte e miracoli.
Molte le ha raccontate ne Il nuovo libro nero della magistratura, volume che fa seguito al Libro nero della magistratura, un grande affresco di quella che si può considerare una vera e propria «commedia umana», come la definisce a Tempi l’autore in un’intervista che parte dal suo libro e arriva alla stretta attualità. Dal giudice che picchia la moglie a quello che “non” combatte la mafia, fino a quello che “ci ha messo due anni a scrivere le motivazioni della sentenza”, Zurlo porta alla luce episodi incredibili, rintracciati scartabellando le sentenze della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura (Csm), l’organo di valutazione interna dei magistrati, che stabilisce le sanzioni disciplinari agli appartenenti alla categoria.
«Ho lavorato su una quantità di materiale sterminato, a confronto Guerra e pace è un libretto, e ho selezionato i casi più esplicativi di un tema di cui si parla troppo poco», spiega Zurlo. «Mi interessava mettere in risalto i tratti più umani dei protagonisti, al di là delle questioni politiche o tecniche, per far capire che anche all’interno della magistratura, per anni considerata intoccabile, esistono le categorie presenti in ogni ambito professionale. Spesso anche i magistrati cadono in fragilità e giochi di potere, alcuni arrivano a commettere vere e proprie efferatezze. C’è davvero di tutto. I casi descritti presentano situazioni che vanno dal ridicolo a vere e proprie tragedie, ma che trovano spesso nella Disciplinare una valutazione che eufemisticamente si può definire “buonista”, con pene irrisorie nei confronti degli “imputati”». Secondo Zurlo però le cose stanno cambiando.

Ci sono differenze rispetto al passato?
Ad oggi la situazione è in chiaroscuro, ci sono passi avanti ma persistono molte zone d’ombra. Mi sembra che l’opinione pubblica stia puntando la lente su questi argomenti più che in passato e che sempre più giornalisti comincino ad occuparsene. Tuttavia ci sono ancora molti casi in cui prevale una linea salva-magistrati e nutro inoltre dei dubbi sulle valutazioni di professionalità a cui periodicamente vengono sottoposti i togati.
Perché?
Per fare un esempio, nel libro descrivo il caso di un giudice dipendente dalla cocaina, ritrovato in bagno da una collega «riverso a terra, in preda a convulsioni ed in evidente stato confusionale» a pochi minuti da un’udienza. Verrà certificato che per anni l’uomo aveva lottato con i fantasmi della droga, ma che in varie occasioni gli era stata confermata la possibilità di proseguire la sua attività lavorativa. Ma come è possibile che psicologi ed esperti non lo abbiano mai fermato? E questo è solo uno dei tanti casi che porto a tema.
I test psico-attitudinali, che entreranno in vigore nel 2026, miglioreranno la situazione?
Sicuramente, ma bisogna vedere come verranno messi in pratica. Se si tratterà di semplici esami a crocette saremo al punto di partenza. Bisogna allestire prove adatte a valutare realmente l’idoneità a svolgere un ruolo tanto delicato. Staremo a vedere quanto accadrà nei prossimi anni.
La riforma studiata dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, servirà a contrastare il corporativismo della categoria?
Un passo fondamentale è rendere la Disciplinare indipendente dal Csm, come proposto dalla riforma, aprendo di conseguenza a una maggiore libertà di azione di questo organo. Il rischio altrimenti è continuare a sopportare un ambiente in cui regna il correntismo, i continui favoritismi agli “amici degli amici”, che è il grande pericolo di una categoria che conta poche migliaia di affiliati e in cui tutti, bene o male, si conoscono tra loro.

I magistrati sono già sul piede di guerra. Lei che cosa pensa della riforma?
La valuto positivamente, ma non si deve commettere l’errore di considerarla come la risoluzione di tutti i mali. Di certo, consente di iniziare a risolvere un controsenso giuridico che in Italia persiste da anni. Ad oggi nel nostro paese l’accusa può svolgere anche il ruolo del giudice e viceversa, si tratta di una condizione che non può persistere nel nostro sistema di diritto. Sembra che la riforma della giustizia sia divenuta una priorità, anche rispetto alla questione del premierato. Sono stupito. Se le cose proseguono su questa linea, presto si arriverà a un referendum, che a questo punto potrebbe portare a un esito positivo. Perché, come dicevo, il vento sta cambiando anche nell’opinione pubblica.
Il Presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) Giuseppe Santalucia ha mosso critiche accese al ministro Nordio. Troppo?
Non desidero portare avanti l’idea di una guerra contro la magistratura, la mia intenzione è semplicemente rilevarne i limiti e portarli alla luce. Bisogna però contrastare l’immobilismo di trent’anni senza riforme a cui l’Anm rema contro. Santalucia sostiene che questa riforma porterà il magistrato a diventare schiavo dell’esecutivo e che i pm perderanno la cultura della giurisdizione, ma in questo non mi trova d’accordo. Come in ogni sistema liberale è giusto che i pm svolgano la funzione di pm e i giudici quella di giudici, con una spartizione dei ruoli equilibrata e conforme alla Costituzione. Altrimenti si continua a portare avanti la difesa corporativa di uno status quo che non ha ragione di esistere.
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