Due mamme sì, una no, un papà boh. La gimkana della Consulta sulla genitorialità

Di Caterina Giojelli
23 Maggio 2025
La Corte costituzionale riconosce la madre “intenzionale” nelle coppie lesbiche ma conferma il divieto di Pma per donne single. E sui padri si contraddice. «Il riconoscimento fondato sulla volontà degli adulti non può tutelare davvero il nato contra legem», avverte il giurista Emanuele Bilotti
Attivisti Lgbt manifestano contro Giorgia Meloni a Parigi (foto Ansa)
Attivisti Lgbt manifestano contro Giorgia Meloni a Parigi (foto Ansa)

Due sentenze, stesso giorno, due visioni – per lo meno ai “non addetti ai lavori” -, inconciliabili della genitorialità. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 68, ha deciso che è incostituzionale impedire alla cosiddetta “madre intenzionale” – cioè la partner della madre biologica in una coppia lesbica – di essere riconosciuta come genitore del figlio nato da procreazione medicalmente assistita effettuata all’estero. Tradotto: se due donne vanno in Spagna, firmano un consenso, tornano con un bambino e vogliono entrambe essere madri legali, lo Stato italiano non può più dire di no. Il legame biologico non conta più, la legge 40/2004 non conta più, la figura paterna non conta più. Conta la volontà, il desiderio, il progetto: una genitorialità intenzionale, appunto. E se è intenzionale, allora è diritto.

Fin qui, la rivoluzione. Ma lo stesso giorno, sentenza n. 69, la stessa Corte ci ricorda che in altri casi la legge 40 conta eccome: il divieto di accesso alla Pma per le donne single resta legittimo. Perché? Perché il bambino ha diritto a una figura paterna. La stessa figura negata dal ricorso alla Pma nel caso delle “due mamme”. Genitori a geometria variabile?

Per orientarsi tra queste sentenze che dicono tutto e il contrario di tutto, e che rischiano di riscrivere la filiazione italiana sotto la bandiera dell’emotività certificata, abbiamo chiesto un commento a Emanuele Bilotti, professore ordinario di diritto privato all’Università Europea di Roma, tra i più attenti osservatori del cantiere costituzionale che ruota attorno alla genitorialità, alla bioetica e alla struttura della famiglia nell’ordinamento italiano.

Professore, con la sentenza n. 68 del 2025, pubblicata ieri, la Corte costituzionale introduce di fatto una genitorialità “intenzionale” fondata sul solo consenso alla Pma, anche fuori dai casi consentiti dalla legge n. 40/2004. La pronuncia non finisce per legittimare ex post pratiche contrarie alla legge italiana, eludendo il divieto di accesso alla Pma per le coppie dello stesso sesso e accreditando una figura genitoriale non prevista né dal codice civile né dalla legge 40?

In effetti, la sentenza della Corte costituzionale riconosce al nato da eterologa vietata il diritto allo status anche nei confronti della donna che non ha con esso alcun legame genetico. Quella donna, infatti, ha semplicemente condiviso con la partoriente il progetto genitoriale che è stato realizzato attraverso il ricorso alla tecnica. Non c’è dubbio che in questo modo si consente agli adulti di attuare un progetto genitoriale contra legem, legittimando di fatto quel progetto in una maniera surrettizia. La Corte costituzionale sceglie così di assecondare la logica del fatto compiuto, riconoscendo un rapporto genitoriale fondato semplicemente sulla volontà dell’adulto di essere genitore. E ciò pur in assenza di una condizione di sterilità o infertilità. È fuor di dubbio che non si possono far ricadere sul nato gli effetti della condotta antigiuridica degli adulti. È però altrettanto indubbio che, se il legislatore pone un limite al desiderio di genitorialità degli adulti attraverso il ricorso alla tecnica, lo fa pur sempre a tutela del bambino: di una persona in carne ed ossa, non di una categoria astratta di persone. Ne consegue che l’accertamento di una genitorialità puramente intenzionale non può essere il modo per garantire una tutela davvero piena al nato contra legem. In realtà, in un’importante sentenza del 2022, occupandosi del diverso caso della tutela dei nati da madre surrogata, la Corte di cassazione aveva chiaramente indicato quale deve essere l’unico modo corretto per garantire una tutela davvero piena ai nati contra legem. La soluzione deve essere cercata in una “logica rimediale”, e cioè subordinando ad una verifica in concreto di conformità al superiore interesse del minore la formalizzazione del rapporto in atto con l’adulto privo di legame biologico col nato. È quel che avviene attraverso il ricorso all’adozione.

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Nel sancire il diritto al riconoscimento del genitore intenzionale, la Corte interviene in modo creativo su norme fondamentali del diritto di famiglia? Siamo ancora nel perimetro dell’interpretazione costituzionale o assistiamo a una riscrittura dell’ordinamento che travalica la funzione del giudice delle leggi?

La Corte costituzionale ha scelto la soluzione più semplice. Ha esteso anche al nato da eterologa vietata la soluzione già prevista dalla legge per il nato da eterologa permessa: un’ipotesi, quest’ultima, di genitorialità intenzionale eccezionalmente giustificata dalla finalità di risolvere una situazione patologica non altrimenti superabile. La Corte ha ritenuto che anche in caso di eterologa vietata questa soluzione fosse comunque necessaria per sanare un vulnus all’identità personale e all’interesse del nato. La soluzione “rimediale” fin qui adottata per questo caso – quella adottiva – è stata invece ritenuta insufficiente. Nella sentenza della Corte si parla al riguardo di una inidoneità di tipo strutturale. E ciò soprattutto perché ogni soluzione adottiva lascia comunque alla volontà dell’adulto la scelta se assumere o meno gli obblighi genitoriali nei confronti del nato. Il rilievo è serio. Bisogna però considerare anche che, come ho già osservato, un accertamento dello status fondato semplicemente sulla volontà degli adulti non può essere idoneo a tutelare davvero il nato contra legem. Si tratta di una soluzione semplicistica, del tutto sbilanciata sulle aspirazioni degli adulti più che sulla tutela dei bambini. Certo, la Corte costituzionale può solo abrogare norme ritenute illegittime. Non può sostituirsi al legislatore ed elaborare essa stessa una disciplina nuova. Ma, forse, in questo caso, facendo tesoro delle conclusioni alle quali era pervenuta la Corte di cassazione nel 2022 con riferimento al diverso caso della maternità surrogata, poteva indicare al legislatore la strada di una soluzione “rimediale” che si facesse carico anche dell’indicata inidoneità strutturale della soluzione adottiva. Al nato il legislatore avrebbe potuto riconoscere, fin da subito, i diritti patrimoniali del figlio nei confronti della donna che abbia condiviso il progetto genitoriale della partoriente, rinviando l’eventuale costituzione dello status, caratterizzato da reciprocità di diritti e di obblighi, a una successiva valutazione giudiziale di conformità del rapporto in atto al superiore interesse del minore. In questo modo il nato sarebbe stato comunque tutelato a prescindere dall’iniziativa degli adulti, ma la costituzione del rapporto genitoriale sarebbe pur sempre avvenuta secondo una “logica rimediale”. E così al nato sarebbe stata davvero garantita una tutela piena.

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Con un’altra sentenza, pubblicata contestualmente, la Corte ha giudicato invece legittimo il divieto di accesso alla Pma per le donne single, rinviando al legislatore con la raccomandazione di non escludere a priori la figura paterna per il bene del minore. Questa doppia pronuncia non genera un doppio circuito – da un lato si riafferma l’importanza della figura del padre, dall’altro la si cancella del tutto nel caso delle coppie lesbiche -, costruendo una genitorialità a geometria variabile?

Nella sentenza sulla tutela del nato da eterologa vietata la Corte afferma che il problema della tutela del nato contra legem deve essere tenuto distinto da quello della definizione delle condizioni soggettive e oggettive di accesso alle tecniche procreative e dei relativi divieti. L’impressione, però, è che in questo modo si determini effettivamente un cortocircuito logico. Non si tratta di un problema astratto. È in gioco la tutela dei bambini. Perché, come dicevo, se il legislatore pone un limite al desiderio di genitorialità degli adulti attraverso il ricorso alla tecnica, lo fa pur sempre a tutela di una persona in carne ed ossa: il bambino che ha il diritto di crescere con due figure genitoriali complementari. Questa valutazione del legislatore è già stata considerata del tutto legittima dalla Corte costituzionale. Questo giudizio viene ora confermato anche con riferimento al divieto per la donna singola di far ricorso all’eterologa. Ma al contempo il diritto del bambino a crescere con due figure genitoriali complementari viene contraddetto nel caso del ricorso all’eterologa da parte di una coppia di donne in nome di una comprensione, invero un po’ superficiale, del miglior interesse del minore. Certo, in questo caso è più difficile pensare che il bambino possa ancora avere un padre e una madre. Ma non può non riconoscersi la differenza che passa tra una soluzione “rimediale” come quella adottiva o come quella ipotizzata de iure condendo – una soluzione comunque subordinata ad una verifica concreta di conformità del rapporto in atto al miglior interesse del minore – e una soluzione che asseconda senz’altro la condotta antigiuridica degli adulti. E ciò proprio in vista della tutela piena del nato, che – è il caso di ribadirlo – non può mai essere strumentalizzato all’esigenza di disincentivare la condotta antigiuridica degli adulti.

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Ancora una volta la Consulta giustifica il proprio intervento in nome del superiore interesse del minore. Quali sono i precedenti: questo “interesse”, così come configurato, rischia di diventare un grimaldello per legittimare ogni forma di filiazione, inclusa quella ottenuta tramite pratiche vietate o opache, come la surrogazione all’estero?

La Corte costituzionale ribadisce opportunamente che quello del “primario” interesse del minore è un principio costituzionalmente fondato, riconosciuto anche da numerosi fonti internazionali, indirettamente o direttamente vincolanti il legislatore nazionale. Non condivido l’idea che il principio del superiore interesse del minore debba essere messo in discussione e in qualche modo ridimensionato. A mio modo di vedere, del resto, anche l’idea di un bilanciamento dell’interesse del minore in presenza di interessi di pari rango deve essere maneggiata con estrema cautela. Il problema è piuttosto che, come ha detto un grande giurista italiano, la tutela del superiore interesse del minore è utilizzata sempre più spesso come “immagine pietosa e irresistibile” funzionale all’affermazione del dogma dell’autodeterminazione procreativa degli adulti. Il giurista deve stare molto attento a non assecondare un simile uso eversivo del principio del superiore interesse del minore. Nel caso della nascita all’estero da madre surrogata la Corte di cassazione ha saputo fare un uso sapiente di quel principio laddove ha affermato che l’automatico riconoscimento di una genitorialità puramente intenzionale già accertata all’estero è una soluzione impraticabile non solo perché finirebbe per legittimare in maniera surrettizia una pratica degradante, ma anzitutto perché l’automatismo del riconoscimento non è funzionale alla realizzazione del miglior interesse del minore, attuando semmai l’aspirazione degli adulti ad avere un figlio a tutti i costi. Certo, in quel caso veniva in considerazione un divieto che, come attestato anche dalla sanzione penale, appare ben più carico di disvalore del divieto di ricorso all’eterologa da parte di una coppia di donne. Non vi è dubbio però che, come già ho osservato più volte, anche quest’ultimo divieto trova comunque la sua ragion d’essere nella tutela dei bambini: un dato, quest’ultimo, che ora la Corte costituzionale mette significativamente tra parentesi, limitandosi ad osservare che la pratica della surrogazione di maternità offende la dignità della donna. In ogni caso, la Corte costituzionale non mette minimamente in discussione la soluzione individuata dalla Cassazione per la tutela dei nati da madre surrogata. E questo è certamente positivo.

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