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Oggi la Consulta decide se si può essere figli di due madri

Per realizzare il sogno di una “mamma intenzionale” italiana e una “mamma gestazionale” americana i giudici dovranno discutere se scardinare la Costituzione

Caterina Giojelli
09/10/2019 - 3:00
Società
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«Denise e io ci amiamo, siamo una coppia salda, siamo “mamma Didi” e “mamma Giulia”. Esisto per le maestre del nido, per il pediatra, per i genitori degli amichetti, ma per lo Stato no, sono un fantasma senza diritti né doveri verso un figlio che ho voluto e desiderato, esattamente come mia moglie che lo ha partorito». Oggi la Consulta discuterà la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Pisa sul caso delle due “mamme di Paolo”: il nome del bambino è di fantasia, ma per Repubblica, che ha intervistato “mamma Giulia” Garofalo Geymonat, ci sarebbe poco da discutere. Dopo «il “gelo” del governo sovranista e dei diktat di Salvini» il caso riaprirebbe la grande stagione dei diritti per il mondo Lgbt: «Se la Consulta dichiarerà incostituzionali le norme che mi impediscono di riconoscere il mio bambino, avremo vinto non solo per Paolo, ma per tutti i figli delle coppie omosessuali che in Italia sono ancora senza diritti».

LA REPUBBLICA DEI DIRITTI

In altre parole, ancora una volta i giudici si troveranno a discutere del diritto degli adulti ad avere bambini. Ma questa volta c’è di più: per realizzare il sogno di “mamma Giulia” e Repubblica (“La Consulta dica a mio figlio che anch’io sono sua madre”, titola l’articolo), i giudici dovranno discutere se scardinare la Costituzione italiana. «Appena Paolo è nato – spiega Garofalo Geymonat, ricercatrice di sociologia a Ca’ Foscari e nipote del filosofo Ludovico Geymonat – abbiamo chiesto al Comune di Pisa di iscrivere anche me sul suo certificato di nascita. In America siamo sposate, lì Paolo sarebbe stato ritenuto figlio di entrambe. Ma l’ufficiale di anagrafe ha detto di no. Sostenendo che l’Italia non prevede la presenza di due persone dello stesso sesso su un atto di nascita».

DAL COMUNE ALLA CONSULTA

Paolo è stato concepito in una clinica danese tramite fecondazione eterologa e Garofalo Geymonat, “madre intenzionale” (cioè che ha prestato il consenso alla procedura), ha chiesto di essere iscritta nel suo certificato di nascita insieme alla coniuge americana Denise Rinehart, “madre gestazionale” (che ha partorito il bambino 4 anni fa, a Pontedera, vicino a Pisa). Ma l’ufficiale dello stato civile del Comune di Pisa si è rifiutato di ricevere la dichiarazione di nascita espressa dalla coppia: da qui il ricorso delle donne al Tribunale di Pisa e, a seguire, la trasmissione degli atti alla Consulta. Secondo i giudici di Pisa infatti la preclusione alla formazione di un atto di nascita del genere comporterebbe la “compressione” del diritto di persone – che in base alla legislazione straniera sono legate da un rapporto di genitorialità-filiazione – a vedere riconosciuta, in Italia, la propria “formazione sociale”.

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UN CASO SENZA PRECEDENTI

Ma è così? Il nostro ordinamento dovrebbe sempre e comunque adeguarsi alle norme degli ordinamenti stranieri per evitare discriminazioni? Sono fondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dai giudici a monte di un caso ancora una volta trattato dai media sul terreno sdrucciolevole dell’amore e dei desideri? La risposta è no. Come spiega a Tempi.it il professor Mauro Paladini, fra gli autori dell’atto di intervento a nome del Centro Studio Livatino depositato alla Consulta (qui il link, leggetelo per capire davvero i termini della questione e la posta in gioco), «la particolarità del caso rimandato alla Consulta riguarda la richiesta di una coppia di “formare” un atto di nascita italiano da cui risulti la doppia genitorialità dello stesso sesso. Questo non ha nulla a che vedere con i precedenti casi di registrazione all’anagrafe di figli di due madri o di due padri».

IL NODO DELLA “DISPARITÀ”

La giurisprudenza ha già affrontato in precedenza casi di riconoscimento degli effetti di un atto formato all’estero all’interno dell’ordinamento italiano, ma qui si tratta di un caso radicalmente diverso, «atti di nascita formati all’estero sono già stati trascritti in Italia perché non sono stati ritenuti contrari all’ordinamento italiano fino al punto di impedirne gli effetti nel nostro paese. Cosa completamente diversa è richiedere a un ufficiale che applica la legge italiana di iscrivere presso i registri dello Stato civile un bambino come figlio di due persone dello stesso sesso. Questo non è consentito in Italia secondo la legge vigente». Da qui la questione di legittimità costituzionale, cioè se vi sia una “disparità di trattamento” tra l’ipotesi in cui l’atto sia stato formato all’estero e l’ipotesi in cui sia formato in Italia.

L’EQUIVOCO SULLA LEGGE DEL 1995

In altre parole, se la Corte Costituzionale accogliesse la questione di legittimità costituzionale, l’ufficiale di Stato civile sarebbe costretto a recepire l’ordinamento straniero. «Non solo, se paradossalmente la legge straniera del genitore biologico ammettesse che un soggetto possa essere figlio di tre o quattro persone che abbiano dato il consenso alla fecondazione, l’ufficiale di Stato civile sarebbe obbligato a recepire il contenuto della legge straniera, soltanto per evitare una presunta “disparità di trattamento”, e a formare un atto dello stato civile con tre-quattro genitori non biologici. Qui c’è un equivoco fondamentale: quando un giudice si trova a decidere una causa in cui sono presenti soggetti appartenenti a ordinamenti stranieri, occorre stabilire  quale legge sia applicabile e, per risolvere il problema, esistono le norme di diritto internazionale privato, contenute nella 218 del 1995, che individuano la legge applicabile. Ma questa legge si rivolge ai giudici, non alla pubblica amministrazione: l’ufficiale di Stato civile, che è organo amministrativo, è obbligato ad applicare la legge italiana».

MADRE E PADRE, LO DICE LA COSTITUZIONE

E secondo la legge italiana la genitorialità non può essere dello stesso sesso. Questo principio fondamentale dell’ordinamento giuridico italiano si desume da princìpi costituzionali, «è la Costituzione che impone la genitorialità da parte di un padre e di una madre, cioè la diversità sessuale dei genitori. Nessuna autorità amministrativa o giurisdizionale oggi in Italia può ritenere conforme all’ordinamento italiano una genitorialità dello stesso sesso. Del resto la legge sulle unioni civili del 2016, non soltanto non ha previsto la possibilità di una genitorialità delle coppie omosessuali attraverso forme di procreazione medicalmente assistita, ma ha addirittura (al comma 20) escluso la possibilità che i due uniti civili possano ricorrere al sistema dell’adozione per instaurare un rapporto di genitorialità».

SDOGANARE L’UTERO IN AFFITTO

Gli effetti di una eventuale sentenza di accoglimento sarebbero dirompenti per l’intero sistema giuridico italiano, «la conseguenza sarebbe quella di ammettere a cascata la legittimità di tutte le ipotesi di filiazione da coppia omosessuale, col rischio di legittimare anche l’utero in affitto, pur ancora vietato espressamente dalla legge 40 del 2004». Ecco la posta in gioco: perché non è di amore e di diritti, come vorrebbe farci credere Repubblica, che si discute, ma della vita umana ai tempi della riproducibilità tecnica: «Una situazione complicata dal fatto che Denise, la mamma che ha partorito Paolo, è americana», «Paolo oggi ha solo la cittadinanza americana» sottolinea la giornalista.

I DIRITTI DEGLI ADULTI

«Questi bambini non sono privi di alcun diritto, hanno i diritti che la legge riconosce loro nel momento in cui sono in territorio italiano secondo la loro nazionalità – spiega Paladini – . Se sono figli di una donna straniera potranno ottenere la cittadinanza italiana in seguito ai requisiti di cittadinanza protratti nel tempo così come accade per qualunque straniero che risieda legittimamente in Italia. Abbiamo già visto utilizzare gli slogan sui diritti dei bambini per modificare l’ordinamento a colpi di pronunce ora della Corte di cassazione, ora della Corte costituzionale. Ma quando si parla dei diritti dei bambini si nasconde il fatto che il diritto che si vuole affermare è quello degli adulti: il diritto ad avere comunque e in ogni caso dei figli indipendentemente dal loro interesse a nascere e crescere con la doppia figura genitoriale. Che non solo la legge, ma tutti gli studi più sensibili e accreditati dal punto di vista scientifico ancora continuano a riconoscere come la situazione migliore per l’educazione e la crescita del bambino».

UNA QUESTIONE «MANIFESTAMENTE INFONDATA»

Anche per questo il Centro Studi Livatino ha predisposto il suo atto di intervento, chiedendo espressamente alla Corte di dichiarare manifestamente infondata nel merito la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Pisa: «È la prima volta che la Consulta si occupa di un caso del genere. Chiediamo di respingere la questione perché manifestamente infondata, sia perché l’ordine pubblico italiano non deve essere confuso con l’ordine pubblico internazionale; sia perché i princìpi della Costituzione italiana continuino ad essere rispettati: vogliamo affermare la necessità che l’ufficiale di Stato italiano, un’autorità amministrativa, continui a dovere formare atti dello Stato civile applicando esclusivamente la legge italiana».

Foto Ansa

Tags: consultadiritti
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