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Se non hanno pane, che mangino apericene

Un gran osservatore del potere illustra la decrescita infelice offerta dal “Ceo capitalism”. E da un ceto dirigente incapace di “execution”. Chiacchierata con Riccardo Ruggeri

Pietro Piccinini
16/06/2020 - 11:42
Economia
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Rider effettua consegne in bicicletta sul lungomare di Napoli

Articolo tratto dal numero di giugno 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

«Questa cosa del “Ceo capitalism” me la sono inventata tanti anni fa, sulla base di uno di quelli che io chiamo “segnali deboli”. Nel 1997 avevano assegnato il premio Nobel per l’economia a un tale (Robert C. Merton, ndr) che diceva di avere inventato un algoritmo per guadagnare in Borsa. Mi colpì enormemente che si potesse credere a una cosa simile. Come si fa a premiare uno che sostiene di avere inventato il rischio zero? Non esiste un’assurdità simile. Fatto sta che lui aveva effettivamente guadagnato a Wall Street una barca di soldi. Peccato che dopo un paio d’anni, ovvio, la sua società finanziaria era andata praticamente in fallimento, rischiando di fare danni enormi a molta gente, tanto che era dovuto intervenire il Tesoro americano per evitare il botto. La cosa davvero stupefacente è che non gli hanno mai tolto il Nobel. Ecco il segnale debole. Mi sono detto: qui c’è qualcosa che non funziona». 

La dote più spiccata di Riccardo Ruggeri è senz’altro la capacità di pescare ogni volta un caso di cronaca, un aneddoto personale o anche solo un dettaglio della realtà incredibilmente adatto a illuminare le contraddizioni del “sistema” contemporaneo. Lui lo chiama appunto Ceo capitalism (Ceo come chief executive officer, tipico titolo da boss di multinazionale Usa) e ha appena firmato un libro per tratteggiarne “il declino”.

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Il volume, scritto a quattro mani con Giovanni Maddalena, docente di Filosofia della comunicazione, si intitola Uomini o consumatori? Il declino del CEO capitalism (Grantorino Libri, 5 euro digitale, 50 euro edizione cartacea numerata e firmata)e proprio a suon di casi, aneddoti e dettagli riesce a far comprendere al lettore il disastro dell’economia occidentale molto meglio di tante analisi piene di inglesismi che paiono studiati apposta per sfumare i contorni delle cose. Colpa, direbbe Ruggeri, della dilagante «separazione tra linguaggio e realtà» che produce mostri in tutti i campi, non ultimo il politicamente corretto.

Del resto il mare in cui pescare questi racconti è davvero vasto: operaio giunto fino ai piani più alti della Fiat, Ruggeri è stato per molti anni un manager di calibro internazionale che ha potuto davvero “vedere il mondo” prima di mettersi a raccontarlo come cronista, scrittore e editore (Zafferano.news e Grantorino Libri). Ruggeri, come si usa dire, è vissuto nelle stanze dei bottoni, dunque il giudizio realistico che ne ha tratto, e che non nasconde nel libro, è di prima mano. Eppure lui stesso confessa a Tempi di essere «sconvolto» da come davanti all’emergenza coronavirus «tutto il sofisticato ambaradan filosofico-organizzativo sia crollato in poche settimane».

La chiave del Ceo capitalism, come dice il titolo del libro, è il passaggio negli ultimi decenni dalla società degli uomini a quella dei consumatori. Se prima ci si guadagnava una dignità attraverso il lavoro, ora interessa solo la capacità di consumare. «Puntare tutto sul consumatore significa puntare sui prezzi», spiega Ruggeri a Tempi. «Al consumatore interessa solo pagare il prodotto sempre meno. Ma per abbassare i prezzi si deve ridurre i costi di produzione (del lavoro innanzitutto) e quindi la qualità del prodotto. Risultato? L’uomo si impoverisce, sia come lavoratore sia come consumatore».

È la morale dell’apericena, esemplifica Ruggeri, che altro non è che «un modo per spacciare come cena cibi scadentissimi a un prezzo stracciato». E come si fa a far digerire questa mezza fregatura alla massa dei consumatori? Niente di più facile: basta che entri nello «stile di vita», oggetto di marketing che finirà per essere più desiderato della vita stessa. Dopo di che chi oserebbe mai ribellarsi a un invito all’apericena?

Un gamberetto al prezzo di un chiodo

E qui, puntuale, Ruggeri piazza l’aneddoto. «Prenda il gamberetto indonesiano», dice. «È un esserino piccolissimo che costa quanto un chiodo. Del chiodo ha anche il sapore, a dirla tutta, ma con un mucchio di salsa rosa l’apericena sarà un successo lo stesso. Lei potrà benissimo illudersi di gustare i nipotini dei celebri gamberi di Sanremo. Ebbene, lo sa come si produce il gamberetto che costa quanto un chiodo? Distruggendo ettari su ettari di foreste di mangrovia in Indonesia». Prezzi stracciati sì, ma a un costo altissimo.

Copertina di "Uomini o consumatori? Il declino del Ceo capitalism" di Riccardo Ruggeri e Giovanni Maddalena

A livello industriale, va da sé, l’ideale del Ceo capitalism è la concentrazione. «La Fiat insegna: per essere competitiva si è unita a Chrysler; a loro volta, per essere ulteriormente competitive, Fiat e Chrysler si uniscono a Peugeot, che a sua volta per essere competitiva ha preso Opel. Via via arriveranno a costruire oligopoli prima e monopoli poi. È il discorso di Amazon, in prospettiva il monopolio per eccellenza. E come avrà letto nel libro, il modello ultimo è la Cina di Xi Jinping, che è un enorme monopolio statale. Sappiamo tutti che per governare dei veri monopoli ci vogliono le dittature».

Per un liberale come Ruggeri, né liberista né libertario né liberal ma «liberale nature», è impossibile reprimere la repulsione verso la politica di business delle «felpe della Silicon Valley» (altra azzeccata locuzione ruggeriana). Non solo per il loro vizietto di battere la concorrenza mangiandosela, ma anche per la mancanza di creatività. «Ci faccia caso: cosa produce Amazon? Nulla. Non progetta nulla, vende cose fatte da altri. Come Uber, Airbnb e tanti altri “big” tecnologici di oggi: è la cultura delle app. La verità è che la generazione del Ceo capitalism non ha prodotto prodotti, ha prodotto solo processi». 

Soprattutto, fra le troppe chiacchiere senza alcuna realtà del Ceo capitalism è andata perduta una capacità imprescindibile per i manager come Ruggeri. La mitica “execution”. Un deficit che non riguarda solo il mondo delle aziende: «Prenda proprio l’esempio del coronavirus. Ci siamo trovati ad affrontarlo con al potere uno come Giuseppe Conte, i Cinquestelle e i residui del Pd. Tutta gente che non sa assolutamente niente non solo dei bisogni e delle aspirazioni del paese, ma anche del funzionamento dello Stato. Se si trovassero a gestire un negozio di ferramenta o una libreria, non saprebbero da dove cominciare. A gennaio Conte diceva che “è tutto sotto controllo” prima ancora di sapere che c’era bisogno di mascherine, o che per fare i tamponi oltre ai bastoncini servivano i reagenti. Con assoluta indifferenza, non sapendo cosa fare, per mesi non hanno fatto niente. Ecco cosa intendo quando dico che hanno un problema di execution. Significa che non sanno niente della vita reale».

La distruzione della classe media

Quanto alle aspettative, Ruggeri lo diceva già prima del virus, figurarsi adesso: «Non vogliamo riconoscere che il nostro tenore di vita è troppo alto rispetto al rapporto fra ciò che produciamo e ciò che consumiamo». La prospettiva di impoverire i poveri per raddrizzare i conti e preservare la crescita – modello “salvataggio” della Grecia per intenderci – non gli piacciono affatto. In concreto, però, «le forze migliori del paese sono imbrigliate da una burocrazia selvaggia, dal nostro deep state che è uno dei peggiori del mondo (magistrati, funzionari dei ministeri…)». E c’è poco da aspettarsi da un governo che «scrive 400 pagine di decreto quando sarebbero bastate 5 righe per dire “state a un metro di distanza, portate mascherina e guanti”».

La pandemia ha sconvolto così tante cose e così rapidamente che tutto è possibile, secondo Ruggeri, ma ancora non si vede prendere forma alcuno scenario alternativo alla «distruzione della classe media». Per ora, osserva con amarezza l’ex manager Fiat, «è ancora questo il finale». 

Un certo “Signor Ceo”, personaggio creato da Zafferano e da lui intervistato settimanalmente appunto su zafferano.news, glielo ha confessato senza problemi: per i detentori del potere, l’emergenza sanitaria non fa che accelerare, o precipitare, un processo già in atto. A parte l’efficientamento reso possibile dallo smart working (leggi: tagli al personale), è o non è il momento giusto per rimpiazzare con robot i lavoratori in carne e ossa, con tutto il disagio di muoverli da casa mettendo pure a repentaglio la loro salute? «Non a caso i primi a proporre i redditi di cittadinanza universali non sono mica stati i grillini», ricorda Ruggeri, «sono state le felpe della Silicon Valley e i big che ogni anno giocano a Davos al dominio del mondo».

Foto Ansa

Tags: capitalismoconsumismoCoronavirusfiatgiuseppe conteLavorolockdownriccardo ruggeriSilicon Valleytempi giugno 2020
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