Caro direttore, ciò che è mio è mio e ciò che è tuo è mio e ciò che è di tutti è mio. Ciò che io dico è vero ciò che tu dici è falso, ma se dici ciò che io voglio che tu dica dici la verità. Insomma, non male lo stile dell’Annunziata.
Matteo Della Noce, via internet
Ma lei capisce che rien ne va plus, le jeux sont fait e l’Annunziata compra e vende solo francese.
Ha letto le dichiarazioni di Roberto Formigoni sul Corriere della Sera? (…) clava (…) fioretto (…) Vittadini?
Marta Peccabella, via internet
Altrochè, milady, leggo il Velino del 13 marzo e giuro che faccio il fioretto di non parlarne più fino alle dimissioni di Paolo Mieli. «”Il Corriere della Sera ormai è un soviet: Mieli comanda e i giornalisti eseguono; a via Solferino la professione giornalistica è morta”. Lo ha dichiarato questa mattina il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, in riferimento all’articolo pubblicato oggi in prima pagina sul Corriere Economia riguardante Palazzo Lombardia a Shanghai. Secondo il quotidiano milanese infatti, il palazzo di rappresentanza della Regione aperto in Cina sarebbe quasi deserto, con “corridoi vuoti, porte chiuse e business zero”. Formigoni ha aggiunto: “Tale articolo descrive una realtà che non esiste, mistifica dati di fatto e tace quanto i miei portavoce hanno dimostrato all’incauto giornalista con cifre, dati e fatti. L’articolo di oggi – ha proseguito il governatore – è spazzatura pro-Unione del dottor Mieli”. Formigoni se la prende anche con il mancato servizio del quotidiano di via Solferino sulle sue prese di posizione rispetto agli incidenti di sabato a Milano: “Dopo essere riuscito a ignorare la presenza e le parole del presidente della Regione Lombardia in corso Buenos Aires il Corriere è riuscito anche a tacere l’immediato provvedimento preso da me in favore del malato di Lsa Daniele Scoccimarro segnalato dallo stesso Corriere. Metto in guardia l’opinione pubblica: qualunque cosa scriva il Corriere nei prossimi giorni – conclude il governatore – sarà probabilmente destituita da ogni fondamento”».
Gentile direttore, c’è qualcosa di più irritante il nostro orgoglio nazionale del fatto che i francesi si piglino le nostre aziende e non ricambino. Ed è questo: nella patria delle piccole e medie imprese, l’ultimo baluardo contro il nullismo economico, scorazzano i rappresentanti dell’Aim, l’Alternative Investment Market, della borsa di Londra a dire due cose: 1) noi paghiamo le aziende più di quanto le paghino i nostri competitor finanziari italiani e 2) le nostre procedure di quotazione sono più semplici e meno costose di quelle italiane. Musica per le orecchie dei nostri piccoli imprenditori. I quali si trovano, forse, nella situazione di avere in parte riassorbito la botta della concorrenza asiatica con tre fattori: 1) la tenacia o, se si vuole, la forza della disperazione; 2) una capacità di fare e una serietà ineguagliabili; 3) l’ulteriore riduzione del costo del lavoro sull’unità di prodotto, attraverso l’aumento degli investimenti nei processi di produzione. Ma gli bisogna una cosa: capitale. Mi racconta uno di loro, che esporta il 100 per cento della produzione, la fatica improba fatta per avere dalle sue banche (quelle che non ha mai tradito, quelle che ha fatto sempre guadagnare) un performance bond al servizio di una commessa internazionale prestigiosissima che aveva vinto, e che lo proiettava finalmente nel confronto con i grandi! E la borsa gli darebbe capitale. A buon mercato, tutto sommato. 10, 20, 30 milioni di euro, che servirebbero a cambiare categoria di campionato, assumere dirigenze che spersonalizzino l’azienda e la facciano crescere per spinta ulteriore a quella dell’imprenditore, aprire filiali all’estero, comprare macchine, cambiare la testa del padrone, abituandolo a confrontarsi con investitori esterni. Ma Expandi, la nostra borsa low cost, oggi ha 20 titoli quotati, e non muove denaro. L’Aim ne ha 2200 e 80 miliardi di euro di capitalizzazione. Ma le banche italiane, con la montagna di risparmio che amministrano per delega di quegli stessi che lamentano il declino, dove sono? Aspettano anche loro le elezioni per decidere se cliccare on o off? O sono troppo impegnate a comprarsi?
Stefano Morri, Milano
Sulla scia dell’intervento del cardinal Raffaele Martino, propongo che quando in una parrocchia il numero dei musulmani superi quello dei cattolici, la chiesa debba esser trasformata in moschea a spese della Curia. Che si occuperà anche di preparare gli insegnanti di Corano nella scuola. Naturalmente col nostro 8 per mille. Preferisco ironizzare, per non mettermi a piangere.
Marco Diaferia, via internet