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Scuola. Ecco cosa pensano davvero gli studenti della Dad

Uno studio condotto su 3.500 ragazzi dà risultati allarmanti: il 65% fa più fatica a seguire le lezioni. Peggiorano i rapporti con prof e compagni, crolla l'attenzione e cresce l'ansia

Leone Grotti
19/03/2021 - 3:00
Interni
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scuola dad

È passato un anno da quando in Italia è stata introdotta la didattica a distanza (Dad) per permettere agli studenti di continuare a fare scuola da casa, mentre gli istituti venivano chiusi per prevenire la diffusione della pandemia. Nonostante a un anno di distanza, per mancanza di studi e dati, il governo non sia ancora in grado per sua stessa ammissione di dire se la chiusura delle scuole serva o meno a frenare la corsa del Covid 19 in modo significativo, da fine febbraio 6,9 milioni di studenti sono stati nuovamente costretti ad abbandonare i banchi e ripiegare su tablet, computer e cellulari. Al di là dell’impegno lodevole profuso da tanti professori per rendere le lezioni a distanza più interessanti e complete possibili, gli alunni si sono fatti un’idea precisa della Dad. E quest’idea è estremamente negativa.

La parola agli studenti

Mercoledì Istituto Toniolo e Parole O_Stili hanno pubblicato i risultati di uno studio, realizzato con il supporto tecnico di Ipsos, che dovrebbe far riflettere il governo e l’intero mondo della scuola. Oltre 3,500 studenti di scuola secondaria di secondo grado, più 2.000 insegnanti della scuola primaria e secondaria, hanno risposto a domande sulla propria esperienza con la didattica a distanza.

Il 40% si dice meno soddisfatto della propria attività di studio e il 65% afferma di fare più fatica a seguire le spiegazioni dei professori. Il 39% sostiene che svolgere le verifiche scritte è diventato più difficile e il 32% che quelle orali sono più difficoltose. Il 43% aggiunge che studiare in generale è diventato più difficile, la stessa percentuale vede un peggioramento della relazione con i propri insegnanti, mentre il 45% fatica a stare in contatto con i compagni. Inoltre, il 55% degli studenti è meno soddisfatto della qualità del tempo libero, il 33% meno soddisfatto dei rapporti con i professori, il 32% di quelli con i compagni e il 30% di quelli con gli amici.

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Aumenta il divario tra i ragazzi

Secondo il 52% dei docenti, ci saranno più ragazzi che abbandoneranno la scuola secondaria senza portarla a termine, mentre il 56,66% ha notato un aumento del divario tra gli studenti, tra chi ha più risorse socioeconomiche e chi ne ha meno. Il 30% ha anche riscontrato un peggioramento delle prestazioni dei ragazzi.

Anche l’attenzione alle lezioni ha subito un crollo verticale. Il 96% degli alunni chatta con i compagni durante le ore di lezione, l’89% va sui social media, l’88% mangia e il 39% addirittura cucina. Se poi il 79,2% ritiene gli strumenti digitali utili per fare lezioni a distanza o consentire agli assenti di fruire delle lezioni senza perderle, solo il 23% sostiene che il mezzo invogli a studiare piuttosto che il contrario.

Gli studenti non sono affatto contro il digitale: poco meno della metà dei ragazzi (e il 62% degli insegnanti) vorrebbe che fosse più presente a scuola, ma oltre l’80% vorrebbe che venisse usato in modo diverso dall’esperienza in Dad (stessa percentuale tra i professori).

«Non è la scuola che vogliono»

«Studenti, docenti e genitori sono stati un po’ abbandonati in questo lungo anno di didattica a distanza», dichiara Rosy Russo, presidente di Parole O_Stili. «Non c’è apprendimento significativo senza una relazione significativa. Dalla nostra ricerca emerge la voglia di vivere degli studenti, ma anche una spaventosa stanchezza. Non ce la fanno più. Abbiamo chiesto troppo». Aggiunge Alessandro Rosina, docente di Demografia e statistica sociale all’Università Cattolica di Milano:

«La didattica a distanza è stata vissuta con molta difficoltà e fatica dalla grande maggioranza degli studenti italiani. Non è questa la scuola che desiderano. La mancanza dell’interazione diretta, della dimensione relazionale di classe, assieme ad un uso delle nuove tecnologie adattate alle modalità di lezione tradizionale, ha impoverito tutte le dimensioni del processo formativo, riducendo motivazione e impegno soprattutto nelle componenti più fragili a rischio di abbandono. La richiesta che arriva è quella di tornare in presenza ma traendo dall’emergenza anche la spinta per un uso più positivo ed efficace gli strumenti digitali sperimentati».

«Come sto? Non lo so»

La parte forse più interessante e inquietante dello studio è però quella che raccoglie le risposte alla domanda aperta, in cui si chiedeva agli studenti di esprimere liberamente i propri sentimenti sul periodo passato in Dad. Ecco alcune risposte:

«Mi sono rotta di stare in casa, non ci capisco nulla, faccio fatica. Ho bisogno della normalità». «Mi sembra di fare sempre le stesse cose, mi sveglio la mattina, mi guardo allo specchio e vado al computer». «Ogni giorno è uguale. Come sto? Non lo so». «Ciao papà. Vorrei parlarti di come neanche io mi riconosca più, di come ho perso l’interesse per tutte le cose che prima mi piacevano». «Odio stare da solo. Sto impazzendo. Troppa roba da fare, non riesco più a dormire, ho l’ansia costante e boh». «Ho un pessimo rapporto col cibo. Ho perso venti chili». «Non mi sono mai sentita così demotivata». «Litigare continuamente con i miei genitori, lo stress per i prof che si accaniscono, ansia e voglia di mandare tutti a cagare e fare un viaggio alle Hawaii».

Lo studio sui contagi a scuola

Sono testimonianze con cui è urgente fare i conti e che dovrebbero spingere il governo a non chiudere le scuole, se non strettamente necessario. E qui si torna al punto di partenza: è davvero necessario? Il rischio zero ovviamente non esiste, ma secondo uno studio condotto da Sara Gandini, epidemiologa, biostatistica e docente di Statistica medica all’Università di Milano, autrice di un recente studio sulla correlazione tra apertura delle scuole e andamento della pandemia, le classi sono molto più sicure di quanto si creda.

Lo studio è stato pubblicato a fine dicembre e la procedura “peer review” non è ancora stata completata, ma i dati raccolti tra agosto e dicembre 2020 meritano di essere ponderati perché mostrano, secondo il team di ricercatori, che «l’apertura delle scuole non ha influito sulla seconda ondata di Covid 19». Non solo l’incidenza dei contagi è inferiore negli studenti rispetto alla popolazione generale (in una settimana tipo, dal 23 al 28 novembre, solo lo 0,32% degli studenti è risultato positivo) in tutte le regioni italiane tranne due, ma l’apertura o chiusura delle scuole non cambia l’andamento della pandemia né quello dell’Rt. Se invece la categoria degli insegnanti si infetta di più rispetto ad altre categorie professionali, non si riscontra alcuna differenza tra la frequenza con cui si contagiano gli insegnanti e la media con cui si contagiano le persone della stessa età a livello nazionale. Al contrario, la probabilità che i professori finiscano in terapia intensiva per il Covid 19 è inferiore rispetto a tutte le altre categorie professionali (eccezion fatta per gli operatori sanitari).

Allo stesso modo, l’apertura delle scuole non fa registrare un aumento dei contagi negli studenti rispetto a quando gli istituti sono chiusi. Al contrario, i danni psicologici causati dalle chiusure sono già stati dimostrati in tutti i paesi europei e non. Insomma, ce n’è a sufficienza per mettere almeno in discussione il mantra che tutti i governatori di Regione (nessuno escluso) rispolverano a ogni nuova serrata: «Non c’era altra scelta».

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: Covid-19daddidattica a distanzaScuola
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