
Sako: «Siamo stremati da decenni di guerre. Leone XIV ci ha incoraggiati»

«Ero di fianco a Robert Francis Prevost al Conclave e quando è stato eletto papa gli ho detto: “Ricordati di noi cristiani del Medio Oriente perché rischiamo di sparire. E con noi, anche le radici del cristianesimo andranno perdute”». Racconta così in un’intervista a Tempi il cardinale iracheno Louis Raphael I Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, in prima fila mercoledì in aula Paolo VI per assistere alla prima udienza giubilare di Leone XIV, dedicata proprio ai partecipanti al Giubileo delle Chiese orientali.
Eminenza, che cosa le ha risposto Leone XIV in Conclave?
Mi ha detto: “Ha ragione, andate avanti con coraggio”. E all’udienza ci ha rivolto un discorso molto bello, ci ha davvero incoraggiato.
Il Papa ha detto che le Chiese orientali sono «un tesoro inestimabile».
La Chiesa è universale, è una e unita nella fede integrale in Cristo, ma al suo interno è diversa per espressione, cultura, storia, lingua. Questo patrimonio, come ha detto il Papa, va conservato, arricchito e rispettato da parte delle Chiese latine.
La presenza dei cristiani in Medio Oriente, come ha ricordato anche Leone XIV, è minacciata. Solo negli ultimi vent’anni il suo paese, l’Iraq, ha subito la guerra del 2003, l’esplosione del terrorismo, l’invasione dei villaggi cristiani della Piana di Ninive da parte dell’Isis, discriminazioni di ogni tipo. E il capo dello Stato, due anni fa, ha cercato di estrometterla dalla guida della Chiesa caldea con una mossa senza precedenti. Qual è la situazione dei cristiani oggi in Iraq?
La sicurezza è sicuramente migliorata rispetto al passato, ma la gente non ha fiducia nel futuro. Tante famiglie continuano a lasciare l’Iraq. Noi abbiamo bisogno della vicinanza del Santo Padre, dei fedeli e dei responsabili delle Chiese occidentali perché ci sostengano moralmente, certo, ma anche politicamente. Dovete chiedere che i diritti umani vengano rispettati in tutto il mondo, anche da noi.
Nel marzo 2021 papa Francesco è stato il primo pontefice a visitare l’Iraq. Quel viaggio vi è stato di aiuto?
Sì. Francesco aveva capito le nostre necessità, ha visitato sei paesi del Medio Oriente per mostrarsi vicino e ha saputo dialogare con il mondo musulmano usando il linguaggio dell’amicizia. Con la sua condotta e la sua umiltà ha aiutato a cambiare un po’ la mentalità della gente. Spero che Leone XIV riesca a pensare a noi, come gli ho chiesto al Conclave.
Mercoledì papa Prevost ha sottolineato che «ai cristiani va data la possibilità, non solo a parole, di rimanere nelle loro terre con tutti i diritti necessari per un’esistenza sicura». Di che cosa c’è bisogno perché i fedeli possano restare in Iraq e in tutto il Medio Oriente?
Ci serve una cosa sola: la pace. Dobbiamo fare di tutto per portare la pace. Basta tensioni, basta conflitti, basta settarismo, basta corruzione. Se ci sono problemi, bisogna risolverli con una diplomazia morbida e non con le armi. I responsabili dell’Occidente devono lavorare per evitare le guerre. Per il resto non ci manca nulla, perché da noi la mentalità è comunitaria e non individualista come da voi. I rapporti familiari e comunitari sono forti: dove uno lavora, tutti mangiano.
In Iraq prima del 2003 vivevano 1,5 milioni di cristiani. Oggi meno di 200 mila. I fedeli orientali riescono a mantenere la propria identità anche all’estero?
No, non è possibile. La gente deve rimanere in Medio Oriente. Siamo una minoranza, è vero, ma la nostra vocazione è quella di restare e testimoniare la fede con la nostra condotta di vita diversa, aiutando le altre persone ad aprirsi. Noi siamo missionari in Medio Oriente. Un giorno arriverà la libertà di coscienza, ne sono sicuro, le cose cambieranno ma bisogna incoraggiare questi cristiani a restare e a sperare.
Leone XIV vi ha detto che impiegherà «ogni sforzo perché la pace di Cristo si diffonda». Proprio in questi giorni il presidente Donald Trump è in Medio Oriente. Che cosa vi aspettate?
I capi di Stato devono incontrarsi e attraverso un dialogo coraggioso e sincero lavorare per la pace, la riconciliazione e il dialogo. Noi siamo stremati, negli ultimi 20 anni, ma anche prima, non abbiamo avuto altro che guerre. È ora di dire basta perché la guerra distrugge soltanto.
Lei era accanto a Prevost al Conclave quando è stato eletto papa. Che impressione le ha fatto?
Sì, ero alla sua destra. Come tanti altri, non l’avevo mai conosciuto prima. È un uomo semplice, sereno, umile che sa ascoltare e dialogare. Ha accettato l’elezione con grande serietà e noi gli abbiamo espresso la nostra obbedienza.
Gli ha suggerito qualcosa oltre a dirgli di ricordarsi dei cristiani d’Oriente?
Sì, gli ho detto di lavorare con collaboratori scelti, fidati, perché nessuno può fare nulla da solo. Nelle nostre Chiese orientali facciamo l’esperienza del sinodo generale con i nostri vescovi e abbiamo anche un sinodo permanente. Ci incontriamo spesso per chiedere consiglio e discutere di tutto. Questo è davvero fondamentale perché neanche il papa è perfetto, non può conoscere tutto e ha bisogno di essere aiutato a capire per poter discernere e infine decidere.
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