«Sabato all’Open Day della Grossman venite a vedere come tutto ricomincia»

Di Caterina Giojelli
08 Novembre 2018
Rap, Black Mirror, quidditch, cinema: una scuola e un metodo educativo riassunti in 11 mostre, tutte costruite dai ragazzi dei licei della fondazione Grossman

Come si racconta una scuola? Mille ragazzi, tutti muscoli, ossa, sangue caldo e nervi, cento insegnanti, due cooperative scolastiche a Milano, la San Tommaso Moro e la Alexis Carrel (nate rispettivamente nel 1979, dall’iniziativa di alcuni genitori, e nel 1991 dall’iniziativa di alcuni insegnanti) che nel 2007 si riuniscono nella Fondazione Grossman – intitolandola allo scrittore russo che ci ha insegnato che la verità è una, una sola, non due, non un pezzetto, che la libertà diventa antidoto all’ideologia solo quando diventa gesto, concretezza dell’azione, adesione a un bene. Una scuola – dicevamo – come le scuole riunite nella Grossman, da quella dell’infanzia ai licei, la si può dunque raccontare con i numeri, le date, perfino con le pagine dell’autore di Vita e destino. O ancora ricordare che il liceo classico della Grossman è il primo di Milano secondo la classifica Eduscopio della Fondazione Agnelli. Oppure si può andare ad incontrarlo, quel bene in atto, quella storia educativa, gli insegnanti, quei mille ragazzi.

L’OPEN DAY

Si può andare per esempio all’Open Day della Grossman sabato 10 novembre mattina o pomeriggio (dalle 10 alle 17), perché alla Grossman non fanno un Open Day e basta, ma un evento come Dio comanda – e cos’è mai questa benedetta educazione cristiana se non si mostra tutta, o mostra solo un pezzetto? «Appunto. Abbiamo deciso di raccontarci attraverso 11 mostre, realizzate da docenti e ragazzi dei nostri licei. Mostre nel senso nobile del termine, studenti protagonisti, discipline che si parlano, che collaborano, più che un tema vogliamo mostrare un metodo, il nostro metodo», risponde a tempi.it Lorenzo Bergamaschi, preside del liceo scientifico, delle medie e docente di inglese alla Grossman.

SERIE TV, RAP, QUIDDITCH

Il bisogno dell’altro, Il miglior nemico. Romani e Galli nella conquista di Cesare, Utopia, distopia, idealeDa Orwell a Black Mirror, “Un consiglio per farcela? Esagerate!”: Il fenomeno del rap. Sono solo alcuni titoli delle mostre che i ragazzi dei licei della Grossman presenteranno sabato (dalla prossima settimana seguiranno gli Open Day anche dei livelli inferiori), c’è perfino una mostra sul Quidditch praticato nella saga di Harry Potter. Ma che ci azzecca la parola “altro” con Black Mirror, Fabri Fibra e i boccini d’oro? «C’azzecca la collaborazione, esplicita o implicita di tutte le discipline, approcci metodologici diversi ma aventi come oggetto la stessa realtà. Matematica e arte, arte e inglese, motoria, filosofia, il problema della scuola italiana è l’autoreferenzialità delle discipline che non si parlano mai e chi le insegna non si chiede se la propria proposta educativa risponda veramente al bisogno del mondo. Ripeto, le nostre undici mostre non raccontano un tema a sé, raccontano un metodo», continua Bergamaschi.

TUTTO FATTO DAI RAGAZZI

Cercare la bellezza dove sembra imperi l’abbandono, immaginando, suggestionati dai grandi progetti di trasformazione urbana, delle strategie di trasformazione dell’arte ex Richard contigua al Naviglio grande e vicina alla scuola (è la mostra Beauty from dirt); indagare la struttura geometrica che determina la percezione delle immagini nel nostro occhio raccontando il nostro rapporto con la realtà (Percezione e conoscenza) avventurarsi tra leggi della cinematica (Sempre in Moto!) o tra i tecnici di laboratorio (Cosa c’è dietro? La potenza è nulla senza controllo), offrire la commedia antica in ogni sua sfumatura ai contemporanei (La parola dal testo alla scena), accostarsi a L’arte del cinema. La scoperta di un linguaggio. «Tutto questo non è frutto di un lavoro preventivo, ma è stato costruito dai ragazzi. Abbiamo lavorato agli allestimenti e ai testi per sei settimane, ogni proposta ha preso letteralmente corpo tra i banchi, durante le ore di approfondimento, gli incontri. È anche questo il metodo Grossman, le discipline collaborano, i ragazzi non si sentono fruitori di un servizio, ma protagonisti di un rapporto con i docenti, ciascuno con le proprie specificità. A inizio ottobre abbiamo proposto loro gli argomenti, invitandoli a segnalare una o due tematiche prioritarie per i loro interessi. C’è chi è nato per l’eloquio filosofico, chi ha un’attitudine più esperienziale, ciascuno ha seguito la sua».

«NÉ DISCRIMINAZIONE NÉ BUONISMO»

La mostra più gettonata? Quella sull’utopia, la distopia e l’ideale, seguita dal cinema e dal rap: «Non si tratta di una mostra da addetti ai lavori su un fenomeno musicale, ma di un lavoro di senso sui testi proposti dai ragazzi, che hanno incontrato anche due rapper. Gli incontri sono stati parte viva di ciascun percorso, in particolare per la mostra che affronta il tema dell’accoglienza dei migranti e dei rifugiati, il bisogno dell’altro. Non si mette forse ciascun uomo in viaggio mosso dallo stesso desiderio che muove ciascuno di noi? Perché quello che l’altro cerca dovrebbe togliere qualcosa a me, non è forse quello che cerco anche io? I ragazzi sono stati sfidati a uscire dalla logica discriminatoria o buonista – peccati con una radice comune, perché in entrambi i casi cosa muove l’altro viene fatto fuori – e incontrare un altro “che potresti essere tu”. Lo hanno fatto concretamente due volte, incontrando un ragazzo accolto dalla comunità di Kairos e rilanciando la sfida attraverso la mostra».

«NON C’È IL TASTO PLAY»

Saranno gli stessi ragazzi a presentare tutti i percorsi sabato, raccontando una storia, una scoperta, un incontro per presentare un metodo, il loro metodo, dove tutto si ritrova intero e non si perde neanche un pezzetto. «E questo non è frutto di un regolamento o una direttiva, ci vuole una storia, una libertà che vivaddio sa farsi gesto. Qualcuno ci mette di più, come quel ragazzo che ha maramaldeggiato per quattro anni e improvvisamente l’anno della maturità, proprio organizzando un Open Day, è successo qualcosa, “in quel momento per me tutto è ricominciato”. I ragazzi non sono dei ripetitori col tasto play che li fa funzionare. Mi piace pensare che l’Open Day, aperto agli altri, sia per loro un’occasione per riscoprirsi protagonisti, appunto, ciascuno con le proprie doti, capacità, interessi». E i propri muscoli, ossa, sangue caldo e nervi.

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