Riformare la scuola? Tre parole e tre idee per non annegare in un mare di parole e rinvii

Di Anna Monia Alfieri
01 Maggio 2014
Il dialogo è aperto: bisogna semplicemente avere il coraggio di non allontanarsi dal pezzo. La penna come bisturi. O come bulldozer per sbancare il terreno accidentato e coperto di detriti...

Leggiamo: «Le parole del ministro Giannini stoppate dai fatti del ministro dell’economia. Il ministro Giannini sta ora toccando con mano come sia in salita nell’università e nella scuola il cammino del cambiamento. Attenti quindi alle parole…» (Tuttoscuola 28.04.2014)

In effetti è nota la difficoltà del passaggio dalle parole ai fatti; nonostante ciò tale difficoltà non può arrestare le “buone idee” che le parole veicolano. Altrimenti è la morte civile. Quelle parole che sanno dare voce alle buone idee, rappresentando dei lampi in fondo al tunnel, sono necessarie in quanto strumentali alla loro declinazione.

Se da un canto si ha la sensazione di essere travolti da “fiumi di parole” che, mentre sembrano aprire varchi in fondo al tunnel, scorrono in realtà come su ciottoli ben levigati, in un immobilismo che sopprime la speranza e che fiacca chi non si accontenta di galleggiare, ma vuole veleggiare da coraggioso surfista, dall’altro non si cada però nella tentazione del silenzio dal sapore della resa. Dunque con tenacia ripercorriamo con ordine i passaggi da cui ripartire per evitare… l’annegamento.

Tre parole, tre idee:

  1. Riformare la Scuola. D’impeto si direbbe: o “tutta” (la scuola pubblica, statale e paritaria, s’intende, quella del Servizio Nazionale di Istruzione) o “niente”, il che equivale al piano inclinato verso il degrado. Non avremmo più neppure i cervelli da esportare all’estero. Riformare la scuola, che come tutte le strutture dell’umano “semper reformanda est” (si conceda il prestito della citazione…), e per esemplificare: dare spazio a buone idee, a confronti intelligenti anche se scomodi, a contenuti sostanziosi frutto di anni giovanili di studio, di esperienza, di riflessione; dare spazio a docenti seri, motivati, ben preparati, che sappiano rapportarsi in modo appassionante, interessante a studenti spesso persi in ore pomeridiane e notturne a chattare schiocchezze (Ahhhhh… Eheheheh… Nooooo… Sìììììì…); dare spazio a giovani appassionati di arte e di sport, che la scuola sappia valorizzare e incoraggiare, a dirigenti scolastici eroici dai nervi saldissimi, che possano ricevere tutta l’autonomia di cui hanno bisogno per far funzionare plessi elefanteschi, senza sprechi e senza imposizioni dall’Alto, fosse anche il Ministero…, con tutto il rispetto: “Non se ne può più”.
  2. Risollevare la società italiana ponendo come punto di partenza la scuola significa semplicemente intraprendere l’unica battaglia che vale la pena combattere, perché è la sola utile allo scopo… Nello specifico: garantire la libertà di scelta educativa alla famiglia (art. 30 Cost.) in un pluralismo educativo (art. 33 Cost.) è un passaggio di civiltà che, oltre ad essere sostenibile per lo Stato (come dimostra lo studio sul costo standard), restituirebbe giusta armonia e sviluppo al welfare. Se la politica di spending review sembra rendere difficoltoso il passaggio dalle buone idee ai fatti, allora si leva ancor più alta la voce dell’Anello Mancante. Qui si inserisce la proposta di
  3. Far parlare il costo standard per ogni allievo della scuola pubblica italiana, statale e paritaria. È questo l’“anello mancante” alla possibilità di ristrutturazione del sistema scolastico pubblico.

Individuato il costo standard dell’allievo nelle forme che si riterranno più adatte al sistema italiano, si dia alla famiglia la possibilità di scegliere fra buona scuola pubblica statale e buona scuola pubblica paritaria.

Risultati:

  1. innalzamento del livello di qualità del sistema scolastico italiano con la naturale fine dei diplomifici e delle scuole che non fanno onore ad un Servizio Nazionale di Istruzione d’eccellenza quale l’Italia deve perseguire per i propri cittadini;
  2. valorizzazione dei docenti e riconoscimento del merito, come risorsa insostituibile per la scuola e la società;
  3. abbassamento dei costi e destinazione ad altri scopi di ciò che era sprecato.

Si innesca cosi un circolo virtuoso che rompe il meccanismo dei tagli, conseguenti a sempre minori risorse (perché sprecate) che producono a loro volta altro debito pubblico. Il welfare non può sostenere altri costi; non a caso il principio di Sussidiarietà, oltre ad avere una valenza etica, è anzitutto un principio economico prioritario. A questo punto, liberate le risorse, si potrà investire nella valorizzazione e valutazione, nell’innovazione e ristrutturazione.

Questo è il cuore della questione, alto sulle visioni ideologiche e miopi che, mentre ledono la famiglia, distruggono il patrimonio culturale italiano rendendo sempre più povera la nazione e aggravando il già disastroso debito pubblico, che si alimenta delle tasse dei cittadini tartassati.

Quel malinteso “senza oneri per lo Stato” all’art. 33, inondato da letture superficiali e incolte, senza contestualizzazione con gli articoli che lo precedono e i commi che lo seguono, letture ben lontane dalla levatura dei nostri Costituenti – … l’Italia rimpiange queste figure di cultura  – fa imboccare una via che produce gravissimi oneri per lo Stato: il 42% della disoccupazione giovanile, il 44 % dei laureati che ammette di aver sbagliato la scelta della scuola superiore, il 25% di abbandono della scuola dell’obbligo; il 35,7% di NEET, (i Not engaged in Education, Employment or Training, “scarti” – dai quindici ai trent’anni – della cultura e della formazione), le basse competenze in svariati ambiti culturali dei nostri studenti, la mancata valorizzazione dei docenti migliori, la perdita del pluralismo educativo. Quanto ci costa? Parliamone… in quanto cittadini e attori responsabili di una società degna di questo nome.

Il dialogo è aperto: bisogna semplicemente avere il coraggio di non allontanarsi dal pezzo. La penna come bisturi. O come bulldozer per sbancare il terreno accidentato e coperto di detriti…

L’autrice di questo articolo è presidente della Federazione istituti di attività educative (Fidae) Lombardia

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4 commenti

  1. Tony

    La questione è molto semplice:
    La famiglia ha la responsabilità educativa di diritto e di fatto. Al fine di esercitarla lo Stato Italiano (e tutto il mondo civile) gli riconosce il diritto alla libertà di scelta educativa. Ora affinchè di scelta si parli occorre un pluralismo…in cui scegliere. Questo diritto cosi naturale e fondante che nasce con l’uomo…è riconosciuto dai paesi. Ma l’Italia al contrario degli altri riconosce questo diritto ma non lo garantisce…ed uno Stato di diritto è tale nella misura in cui sa garantire i diritti che riconosce…!
    La domanda è sempre la medesima: Perchè ci fa cosi paura che l’individuo eserciti il suo diritto di scelta?
    La nostra carenza di argomentazioni che trova solo nell’imposizione la via…?
    Non ci sono ostacoli nè di diritto, nè economici, tutt’altro…sarebbe auspicabile una simile operazione!
    Restituiamo alla famiglia, all’individuo il suo diritto di scegliere e stiamo certi saprà farlo…

  2. filomena

    Per cominciare in Italia non esiste un Servizio di Istruzione Nazionale ma esiste la Scuola Pubblica Statale.
    Dopodiché come obiettivo principale ha quello di elevare il grado culturale della popolazione, di tutta la popolazione a prescindere dalle scelte degli studenti religiose o laiche.
    Per questo deve dotarsi ovviamente di docenti preparati, i quali però devono essere in grado di non lasciare indietro nessun studente valorizzandone le inclinazioni individuali e stimolando l’interesse dei discenti. A scuola non si apprendono solo nozioni, ma si apprende fin dall’inizio un metodo di studio.
    Altra funzione essenziale è quella di stare al passo coi tempi e di aprire sempre nuovi orizzonti ai ragazzi stimolandoli ad avere una mente eclettica e critica sia verso il passato che verso il futuro. In altre parole deve formare i futuri cittadini del mondo.
    Per quanto questi siano obiettivi molto ambiziosi è su questa scommessa che si gioca il futuro specialmente rispetto alla competizione con gli altri Paesi europei.
    Trasformare la scuola in una elite per pochi tradizionalisti bigotti sarebbe rimanere al palo rispetto alle sfide che ci vengono poste dalla modernità.

    1. beppe

      ha parlato filomenja iljic leninova.

    2. Tommasodaquino

      Bhe direi che l’obiettivo è stato pienamente raggiunto, una volta si imparava l’italiano adesso a scuola praticamente è andato quasi completamente perduto….ehhh sò soddisfazioni

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