Riformare la scuola all’insegna di una reale parità è l’unico modo per risollevare la società italiana

Di Anna Monia Alfieri
11 Maggio 2014
I contenuti e non il contenitore fanno la differenza: garantire la libertà di scelta educativa alla famiglia in un pluralismo educativo è un passaggio di civiltà che fa anche risparmiare lo Stato

scuola-papa-francesco-10-maggio-tempi-copertinaLe letture interessanti capitano, forse non troppo di frequente. Si potrebbero fare scoperte di un certo spessore se – al bivio della novità o della diversità rispetto alle proprie convinzioni granitiche – si scegliesse di confrontarsi senza pregiudizi, lasciando da parte eventuali fini secondari o le pressioni di chi urla più forte.

E allora capita di imbattersi in un testo semplice e lineare, Scuola inutile? Proviamo con il pluralismo della preside Michela D’Oro (La Sicilia, 12 aprile 2014). Un testo che rimanda alle ragioni fondanti. Una fra tutte: l’Italia, culturalmente, sta morendo, nel totale scollamento tra scuola superiore e università, nella negazione di gravissimi problemi di pura “qualità dell’insegnamento”… basta capitare nella “sezione sbagliata” ed è la fine.
Conseguenze possibili: disoccupazione assicurata, degrado culturale e umano. E non si parla delle ultime scuole statali della Repubblica. Paludato liceo linguistico statale di Milano: l’assemblea di classe degli studenti di prima, sezione tal de’ tali, esorta la docente di inglese a essere più severa e “furba”. L’assemblea le suggerisce di non interrogare in un dialogo a tu per tu, stando accanto al banco dello studente interrogato, mentre nel resto della classe succede il finimondo e nessuno né ascolta, né impara. Per quella classe, se la docente prosegue per cinque anni, l’inglese è bruciato.

Il solo fatto di essere “cittadino” implica un ruolo e una responsabilità di servizio dai quali non ci si può esimere. Già tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento gli intellettuali sono chiamati a collaborare alla “cosa pubblica” ricevendo incarichi di responsabilità; a volte sono accreditati come consulenti per migliorare la legislazione e controllare l’opportunità di scelte fondamentali, in ambito monetario o nei rapporti commerciali. Se chiedessimo – in un clima di fantastoria – al Parini, al Verri, al Beccaria, al Manzoni, a che titolo parlavano e denunciavano le cadute e le ingiustizie dell’epoca, certamente ci sentiremmo rispondere con un pizzico di stupore rispetto alla domanda: «I care!».

Allora la domanda è d’obbligo: l’Italia oggi è forse carente di pensatori o è troppo ricca di “contenitori”? Abbondano persone attente a rivestire un ruolo, tanto apparentemente politically correct, quanto in realtà vuoto di contenuto. Un vuoto che sembra bloccare ogni cambiamento possibile. La sensazione è che ci si ritrova concentrati sul contenitore che risucchia fiumi di parole viziate dall’ideologia e scollegate dalla ragione.
Chi farà uscire l’Italia (l’Europa!) dal tunnel del “non-senso” (politico, economico, culturale, sociale) e i nostri giovani da uno stato di paralisi mentale che non consente alle forze migliori di restare e di lavorare? Occorrono persone coraggiose e scomode – ma non disfattiste – che credono ancora nel bene pubblico come estraneo alla logica del successo personale perseguito a qualunque costo.

Basta con i contenitori
Non è più il tempo dei contenitori, bensì dei contenuti: sicuramente la scuola è un reale quanto scomodo punto di partenza. Non se ne può più di assistere a performance televisive – anche da parte di parlamentari – in cui la bocca non è collegata con l’intelligenza. Vox populi: «Ma dove e come ha studiato questa gente?». Passi che non tutti i ministri siano laureati: si spera che abbiano almeno frequentato brillantemente la scuola superiore. A meno che non si affermi (come è avvenuto): «Sono cariche politiche. Non servono le lauree. A tutto pensa lo staff».

Riformare la scuola? D’impeto si direbbe: o tutta (la scuola pubblica, statale e paritaria, s’intende, quella del Sistema nazionale di istruzione) o niente, il che equivale al piano inclinato verso il degrado. Non avremmo più neppure i cervelli da esportare all’estero. Riformare la scuola, che come tutte le strutture dell’umano «semper reformanda est» (si conceda il prestito della citazione), e per esemplificare: dare spazio a buone idee, a confronti intelligenti anche se scomodi, a contenuti sostanziosi frutto di anni giovanili di studio, di esperienza, di riflessione; dare spazio a docenti seri, motivati, ben preparati, che sappiano rapportarsi in modo appassionante e interessante a studenti spesso persi in ore pomeridiane e notturne a chattare sciocchezze; dare spazio a giovani appassionati di arte e di sport, che la scuola sappia valorizzare e incoraggiare, a dirigenti scolastici eroici dai nervi saldissimi, che possano ricevere tutta l’autonomia di cui hanno bisogno per far funzionare plessi elefantiaci, senza sprechi e senza imposizioni dall’alto, fosse anche il ministero. Con tutto il rispetto, non se ne può più.

Risollevare la società italiana ponendo come punto di partenza la scuola significa semplicemente intraprendere l’unica battaglia che vale la pena combattere, perché è la sola utile allo scopo. Nello specifico: garantire la libertà di scelta educativa alla famiglia (articolo 30 della Costituzione) in un pluralismo educativo (articolo 33) è un passaggio di civiltà che, oltre a essere sostenibile per lo Stato (come dimostra lo studio sul costo standard), restituirebbe giusta armonia e sviluppo al welfare.
Questo è il cuore della questione, alto sulle visioni ideologiche e miopi che, mentre ledono la famiglia, distruggono il patrimonio culturale italiano rendendo sempre più povera la nazione e aggravando il già disastroso debito pubblico, che si alimenta delle tasse dei cittadini tartassati.

Quel malinteso «senza oneri per lo Stato» all’articolo 33, inondato da letture superficiali e incolte, senza contestualizzazione con gli articoli che lo precedono e i commi che lo seguono, letture ben lontane dalla levatura dei nostri Costituenti – l’Italia rimpiange queste figure di cultura – fa imboccare una via che produce gravissimi oneri per lo Stato: il 42 per cento della disoccupazione giovanile, il 44 per cento dei laureati che ammette di aver sbagliato la scelta della scuola superiore, il 25 per cento di abbandono della scuola dell’obbligo; il 35,7 per cento di Neet (i Not engaged in education, employment or training, terribili “scarti” – dai quindici ai trent’anni – della cultura e della formazione); le basse competenze in svariati ambiti culturali dei nostri studenti; la mancata valorizzazione dei docenti migliori; la perdita del pluralismo educativo. Quanto ci costa? Parliamone in quanto cittadini e attori responsabili di una società degna di questo nome.

Il dialogo è aperto: bisogna semplicemente avere il coraggio di non allontanarsi dal pezzo. La penna come bisturi. O come bulldozer per sbancare il terreno accidentato e coperto di detriti.
È certa infatti la sensazione di essere travolti da fiumi di parole che, mentre sembrano aprire varchi in fondo al tunnel, scorrono in realtà come su ciottoli ben levigati, in un immobilismo che sopprime la speranza e che fiacca chi non si accontenta di galleggiare, ma vuole veleggiare da coraggioso surfista. Dunque con tenacia ripercorriamo con ordine i passaggi da cui ripartire per evitare l’annegamento.

Libertà di scelta educativa
Con l’autorevole sentenza del 2 aprile u.s. il Tar della Lombardia sancisce a) la costituzionalità del buono scuola per la famiglia che sceglie la scuola pubblica paritaria, perché sia resa effettiva la scelta nell’ambito del Sistema nazionale di istruzione, formato da scuole pubbliche statali e pubbliche paritarie; b) la necessità che rispetto al “sostegno al reddito”, consistente in buoni servizi di valore oscillante tra i 60 e i 290 euro in base al reddito familiare, ci sia un’eguaglianza tra alunni delle pubbliche statali e alunni delle pubbliche paritarie. Pareva infatti – questione risolta prima della sentenza – che, tra i bassi redditi, quelli dei “paritari” fossero favoriti rispetto agli “statali” per una manciata di euro all’anno (insufficienti per un paio di scarpe da ginnastica). Una guerra tra poveri. Per carità! Si faccia giustizia! Tutti siano uguali.

Dunque, se di uguaglianza si tratta, altrettanto uguali dovrebbero essere – ma non lo sono – rispetto al diritto umano e costituzionale della libertà di scelta educativa (articolo 30 della Costituzione) gli studenti che scelgono le scuole pubbliche paritarie nell’ambito dello stesso servizio pubblico. Oltre alle tasse, le loro famiglie pagano un contributo al funzionamento per la scuola pubblica paritaria che hanno il diritto di scegliere in un pluralismo educativo (altrimenti che scelta è?), come recita l’articolo 33 della Costituzione. Scuole pubbliche statali e scuole pubbliche paritarie fanno pienamente parte, per legge (62/2000), del Sistema nazionale di istruzione. Entrambe svolgono un servizio pubblico, indirizzato cioè verso chi paga le tasse allo Stato.

Infatti i giudici del Tar lombardo devono – per onestà intellettuale – dichiarare quanto segue, nelle motivazioni della sentenza depositata qualche giorno fa: «La pluralità dell’offerta formativa è tale solo se i destinatari sono realmente posti nella condizione di accedere ai percorsi scolastici offerti» dalle scuole pubbliche paritarie, «perché solo così si tutela la libertà di scelta e si assicura la pari opportunità di accesso ai percorsi offerti dalle scuole non statali».

Il divieto costituzionale di istituzione a spese dello Stato di scuole paritarie non esclude «la legittimità di misure finanziarie dirette a superare le condizioni di svantaggio economico degli alunni», dal momento che le scuole gestite da enti o da privati «che ottengono la parità scolastica fanno parte a pieno titolo del sistema nazionale dell’istruzione e svolgono un servizio pubblico».
Il fatto che il Tar abbia rilevato un’anomalìa in rapporto ai benefici (il famoso paio di scarpe da ginnastica) per i redditi bassi, lo porta necessariamente a doverla rilevare in rapporto ai diritti umani, che oggettivamente sono a monte. Il principio di non contraddizione è davvero la “perla preziosa”.

L’anello mancante
Qui si inserisce la proposta di far parlare il costo standard per ogni allievo della scuola pubblica italiana, statale e paritaria. È questo l’“anello mancante” alla possibilità di ristrutturazione del sistema scolastico pubblico. Pur confermando l’assoluta necessità di individuare il costo standard – come voci autorevoli hanno ribadito lungo questi giorni – si ritiene non sia sufficiente individuarlo. Ben più complesso è agire in regime di costo standard. Affinché sia realmente un anello che porta a compimento il Sistema scolastico integrato occorre intervenire a livello macro e micro.

Quali gli “interventi-macro” funzionali? 1) Una buona e necessaria concorrenza fra le scuole sotto lo sguardo garante dello Stato; il che implica il passaggio dello Stato da gestore della scuola statale e controllore della scuola paritaria a Stato garante della scuola pubblica; 2) la libera concorrenza tra le scuole, in un sistema sano, domanda autonomia riconosciuta e garantita alla scuola pubblica, con la conseguente e necessaria 3) semplificazione e razionalizzazione del sistema scolastico.

Contemporaneamente occorre agire sulla singola realtà scolastica. In estrema sintesi gli “interventi micro” da effettuare sono: 1) accompagnare la singola scuola nei processi di rivisitazione degli assetti organizzativi e amministrativi; 2) prevedere nuove figure con competenze organizzativo-gestionali; 3) responsabilizzare la direzione e l’organico sulla sostenibilità dell’attività educativa, sia in fase di programmazione che di verifica.
Infine è necessario introdurre degli indici di verifica. Verificare l’utilità-efficacia della spesa pubblica: 1) efficienza: verifica interna ed esterna degli assetti organizzativi e dei risultati conseguiti; 2) efficacia: valutazione che controlla, misura e certifica la qualità; 3) misurazione degli apprendimenti; 4) capacità di fare sistema.

Il costo standard
Individuato il costo standard dell’allievo nelle forme che si riterranno più adatte al sistema italiano, si dia alla famiglia la possibilità di scegliere fra buona scuola pubblica statale e buona scuola pubblica paritaria. Risultati: 1) innalzamento del livello di qualità del sistema scolastico italiano con la naturale fine dei diplomifici e delle scuole che non fanno onore ad un Sistema nazionale di istruzione d’eccellenza quale l’Italia deve perseguire per i propri cittadini; 2) valorizzazione dei docenti e riconoscimento del merito, come risorsa insostituibile per la scuola e la società; 3) abbassamento dei costi e destinazione ad altri scopi di ciò che era sprecato. Si innesca così un circolo virtuoso che rompe il meccanismo dei tagli, conseguenti a sempre minori risorse (perché sprecate) che producono a loro volta altro debito pubblico.

Il welfare non può sostenere altri costi; non a caso il principio di sussidiarietà, oltre ad avere una valenza etica, è anzitutto un principio economico prioritario. A questo punto, liberate le risorse, si potrà investire nella valorizzazione e valutazione, nell’innovazione e sviluppo. Europa docet.

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6 commenti

  1. augusto

    Il problema è quello di migliorare la qualità della scuola,sia statale che paritaria.Quest’ultime devono e possono tranquillamente convivere.Lo Stato deve investire più e meglio nella Scuola.Bisogna evitare poi fenomeni aberranti e devastanti come la “riforma Gelmini “., fatta solo per fare cassa, con le “simpatiche” conseguenze che tutti vediamo.

  2. Tiziana

    Si ogni famiglia dovrebbe essere libera di poter scegliere la scuola
    Scuola statale e scuola paritaria dovrebbero avere gli stessi diritti
    Non e’ giusto che le famiglie paghino due volte ed e’ necessario che tutti possano accedere.
    Le scuole paritarie pero’ dovrebbero avere anche gli stessi doveri.
    L’accoglienza ai disabili dovrebbe essere poi obbligatoria come nello stato.
    In effetti le differenze le fa sia lo stato sia le paritarie sbaglia uno ma anche l’altro.

  3. michele

    A furia di sostenere il monopolio statale sulla scuola ci si è paralizzati negli schemi ideologici più vecchi.

  4. mau

    Personalmente ritengo che la scuola vada riformata quasi totalmente!

  5. Francesco

    C’è chi usa ospedali e cliniche convenzionate e chi vorrebbe fare altrettanto con le scuole….. Sacrosanto!!!

  6. Giava

    A mio avviso, non è opportuno introdurre la “libera concorrenza” nella scuola: nei Paesi dove è stato fatto la qualità dell’insegnamento è peggiorata; ci sono settori della società che per loro stessa natura mal si prestano alle logiche aziendaliste, tanto care ad una certa mentalità liberista: scuola, sanità, ordine pubblico, giustizia… Questi settori fondamentali devono essere tenuti fuori da logiche commerciali e di bilancio, pena la perdita della qualità e dell’universalità del diritto.

    Europa Docet? Già, iniziamo con quanto lo Stato destina alla scuola in rapporto al PIL: in Italia siamo agli ultimi posti! Ciò vuol dire che lo Stato spende “troppo poco” per la scuola! Inoltre spende anche male.

    Valorizzazione degli insegnanti? Si dovrebbe modificare il sistema di accesso all’insegnamento, selezionando “prima” gli insegnanti.

    Pur trovando elementi interessanti nell’analisi sulla scuola dell’articolo, trovo le soluzioni proposte miopi, socialmente pericolose, ispirate da ideologia, non coerenti, portate avanti da chi non conosce il mondo reale della scuola ed in classe c’è stato molto poco o per nulla ed, in definitiva, peggiori del male che vorrebbero curare.

    Tremo pensando al modello sociale che è alla base di simili proposte ed ai conflitti che esse genereranno alla lunga.

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