Riconoscere il primato di Dio per sconfiggere la pedofilia
Articolo tratto dal numero di dicembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
«Se Dio non esiste, tutto è permesso», scriveva Fëdor Dostoevskij. In un mondo senza Dio «viene meno il criterio che ci indica la direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male», scrive Benedetto XVI negli Appunti pubblicati nell’aprile 2019, due mesi dopo l’importante incontro in Vaticano sull’emergenza pedofilia nella Chiesa. Il Papa emerito avanza una tesi dalla radicalità dirompente: non si può fermare la piaga degli abusi se non si comprende che deriva innanzitutto da una crisi della fede. «La società occidentale è una società nella quale Dio nella sfera pubblica è assente e per la quale non ha più nulla da dire. E per questo è una società nella quale si perde sempre più il criterio e la misura dell’umano. In alcuni punti, allora, a volte diviene improvvisamente percepibile che è divenuto addirittura ovvio quel che è male e che distrugge l’uomo. È il caso della pedofilia», scrive il Papa emerito.
Quando uscirono, gli Appunti furono criticati con ferocia perché individuavano tra le cause del dilagare degli abusi la “liberazione sessuale” del 1968, la «dissoluzione dell’autorità dottrinale della Chiesa in materia morale» e il degrado dei seminari, dove «si formarono club omosessuali che agivano più o meno apertamente». Fu subito chiaro allora che quelle 18 pagine dovevano essere studiate e meditate. Questa operazione è stata fatta da 17 pensatori di prim’ordine, che hanno scritto altrettanti saggi per approfondire gli Appunti alla luce del pensiero complessivo di Ratzinger e che sono stati riuniti nel prezioso volume Chiesa sotto accusa. Il libro, arricchito da una prefazione di Georg Gänswein e un’introduzione firmata da Livio Melina e Tracey Rowland, contiene le analisi di pensatori del calibro di Camillo Ruini, Gabriele Kuby, Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz e molti altri.
Da sottolineare in particolare il saggio dell’ex presidente della Cei. Se il cristianesimo ha conquistato il mondo grazie alla sua speciale «sintesi tra ragione, fede e vita», ricorda il cardinale, lo scientismo e l’agnosticismo contemporanei hanno portato rispettivamente all’ateismo e alla «dittatura del relativismo», che ha sviluppato in Occidente una cultura che nega l’esistenza di «qualcosa di bene o di male in sé». Da qui la necessità di «costruire un rapporto nuovo tra fede e ragione», riconoscendo «il primato di Dio», che «in Gesù fa conoscere il suo volto a ogni uomo e proprio così ci indica la strada che dobbiamo prendere».
La presunta liberazione
Da leggere e conservare anche il saggio di Kuby sul «1968 e le sue conseguenze», che si pose l’obiettivo di «distruggere la famiglia» attraverso «l’abolizione dell’autorità parentale e di tutte le restrizioni morali dell’attività sessuale». È allora che, complice una Chiesa debole, «l’omosessualità è stata normalizzata e accettata», mentre la pedofilia veniva rivendicata. Ma la presunta liberazione proseguita fino ad oggi non ha creato uomini liberi, bensì «schiavi delle pulsioni sessuali», persone incapaci di legarsi, piene di disprezzo di sé ma «utili»: «È palese che la dissoluzione dell’identità della persona porti al caos sociale, facendo sembrare necessari i sempre più estesi interventi e usurpazioni statali, provocando un nuovo totalitarismo».
È anche per fermare questa deriva che la Chiesa deve tornare a fare il suo lavoro. Che è, prima di ogni altra cosa, come ricorda monsignor Gänswein, «annunciare Cristo, e Cristo crocifisso». Solo così si possono «trasformare i desideri delle persone, sempre troppo angusti, e dare loro la misura della gioia grande di Gesù».
Foto Ansa
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