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La sfida di una ragazza Down alla legge e agli scienziati che la vorrebbero morta

Il 6 luglio l'Alta Corte del Regno Unito si occuperà della norma che autorizza l’aborto fino alla nascita dei disabili come Heidi Crowter o il piccolo Aiden. Che per il noto biologo Dawkins non dovevano nascere, «non portano felicità al mondo»

Caterina Giojelli
24/05/2021 - 12:37
Esteri
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La data è stata fissata: dopo mesi di campagne e battaglie legali, l’Alta Corte di Inghilterra e Galles si occuperà dell’ecatombe dei bambini con la sindrome di Down. Una sfida lanciata ai giudici dalla giovane Heidi Crowte che si batte contro la soppressione dei disabili autorizzata dalla legge britannica attraverso l’aborto fino alla nascita.

Secondo la Bbc il caso verrà ascoltato il 6 e il 7 luglio. I giudici hanno infatti accolto la richiesta di riesame giudiziario dell’attuale normativa che consente ai genitori di interrompere la gravidanza in qualsiasi momento qualora il feto presenti una trisomia: toccherà allora al governo dimostrare che uccidere i bambini con la sindrome di Down non li discrimina.

La battaglia di Heidi

Bambini come Crowter (qui trovate la sua storia). La 25enne attivista, che un anno fa ha compattato il fronte per la vita e la chiesa spingendo i parlamentari dell’Irlanda del Nord ad approvare una mozione che respingesse la legalizzazione dell’aborto imposta al paese dal governo britannico durante la paralisi istituzionale, è riuscita ad arrivare al più alto tribunale inglese. Prendendola dal verso giusto e inattaccabile: non il diritto alla libera scelta, ma la discriminazione, in una società che ha fatto una bandiera dell’equità e dell’uguaglianza, della disabilità. Come ha spiegato la ragazza:

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«La legge attuale è ingiusta. Mi fa sentire come se non dovessi esistere, come se avessi dovuto morire. La politica fondamentalmente dice che è normale che un bambino con sindrome di Down venga ucciso appena prima di nascere. E questa è per me una questione di enorme importanza, perché io ho la sindrome di Down, so cosa significa averla, anche mio marito ce l’ha».

La mamma di Aiden

Crowter non è sola; a presentare richiesta di riesame all’Altra Corte, denunciando una legge discriminatoria e obsoleta, c’è Máire Lea-Wilson, mamma Aiden. Un piccolo nato a giugno del 2019 che per tre volte i medici si sono offerti di farle abortire. Lea-Wilson era alla 34esima settimana quando in ospedale

«mi è stato ripetuto solo che mio figlio non sarebbe stato in grado di vivere in modo indipendente, forse non sarebbe stato in grado di camminare o parlare, avrebbe subito interventi chirurgici per correggere i suoi problemi intestinali ed eventuali difetti cardiaci congeniti, che aveva un’alta probabilità di morire in utero e che avrebbe reso le nostre vite un calvario».

Intervistata dalla Cna la donna di 33 anni racconta che dal momento in cui ha ricevuto la diagnosi è stata trattata diversamente dai medici, non più come una donna in attesa di un secondo bambino ma come una donna che doveva affrontare una tragedia. «Ho due figli che amo e considero allo stesso modo, non riesco a capire perché non siano uguali anche per la legge». E questo solo «perché uno ha la sindrome di Down e l’altro no». Così, dopo avere ascoltato un intervento Crowter a un notiziario televisivo, la donna ha indirizzato una lettera aperta al segretario della salute Matt Hancock e si è unita alla causa.

«Sapevi che era Down?»

Nel Regno Unito l’aborto è legale fino alla 24esima settimana, tranne quando il proseguimento della gravidanza è pericoloso per la salute fisica o mentale della madre, o nei casi in cui il bambino «soffre di anomalie fisiche o mentali, o è gravemente handicappato». Nel 2019 ci sono stati 3.183 aborti di disabili, 656 dopo una diagnosi di trisomia 21.

Va da sé che la domanda più fatta a Lea-Wilson sia sempre «sapevi che tuo figlio aveva la sindrome di Down prima che nascesse? L’implicito riferimento al fatto che se avessi saputo avrei interrotto la gravidanza è già abbastanza doloroso. Credo che una legge che differenzia il limite di tempo per interrompere una gravidanza in base alla disabilità permetta il prevalere di una narrazione in cui i disabili sono considerati inferiori e un peso per la loro famiglia e la società».

Le brutali affermazioni di Dawkins

Lea-Wilson ha ragione da vendere: l’11 maggio, conversando con il presentatore di RTE Brendan O’Connor, il noto biologo Richard Dawkins, professore emerito all’Università di Oxford, è tornato con brutale disinvoltura a esprimere le ragioni per abortire i bambini down: a differenza di un bambino sano, un disabile aumenterebbe la sofferenza del mondo e non la felicità. O’Connor, che ha una figlia con la sindrome di Down, aveva chiesto conto allo scienziato delle ormai famose e orrende dichiarazioni del 2014.

Allora una donna incinta su Twitter gli aveva confidato che avrebbe vissuto un «dilemma etico» scoprendo che il suo bimbo aveva la trisomia. «Proceda all’aborto e riprovi di nuovo. Sarebbe immorale portarlo al mondo se si ha la possibilità di non farlo», le aveva risposto Dawkins. Rincarando la dose il giorno successivo, «Se fossi una donna con un feto affetto da sindrome di Down abortirei. Se no, buona fortuna a voi, è la vostra decisione».

«Saggio abortire i Down»

Dawinks non ha mai fatto mistero del suo «moralmente non vedo obiezioni» all’infanticidio dei disabili o dell’aborto in generale, «un feto è meno umano di un maiale adulto». Quando O’Connor ha chiesto a Dawinks come faceva ad essere certo che abortendo i bambini disabili sarebbero diminuite le sofferenze del mondo lo scienziato ha affermato: «Non lo so per certo. Mi sembra plausibile. Probabilmente aumenteresti di più la quantità di felicità nel mondo avendo invece un altro figlio». Un altro tipo di figlio, ovviamente sano. Dawkins ribadisce infatti che pur non conoscendo nessuno con la sindrome di Down e non avendo prove scientifiche per fare l’equazione meno disabili uguale più felicità, sarebbe «saggio e ragionevole» abortire questi bimbi.

E se fosse discriminato il genere?

Alle dichiarazioni di Dawkins è seguita la sommossa di genitori parenti di disabili, giornalisti. I dati sull’Europa e in particolare sul Regno Unito, impegnato in una crociata per non spianare la strada all’aborto selettivo con i test di diagnosi prenatale (Nipt– Non-Invasive Prenatal Test), ma non si cura della selezione dei nascituri in base ai geni, sembrano tuttavia dare ragione a Dawkins.

La domanda di Crowter e Lea-Wilson allora è semplice: come si fa a proclamare equità e uguaglianza se si fissa un limite di 24 settimane, cioè quando un feto è vitale fuori dal grembo materno, per non abortire un bambino sano, mentre non esiste un limite o una protezione per un bambino disabile? «Tollereremmo questa disuguaglianza se sostituissimo la disabilità con un’altra caratteristica protetta come il genere?».

Foto di infomatique, licenza CC BY-SA 2.0

Tags: Abortoheidi crowterregno unito
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