7 piccoli referendum Giovedì 3 febbraio la Corte costituzionale ha reso nota la sua decisione sui 21 referendum proposti, bocciandone ben 14. Sono stati ritenuti validi i quesiti relativi a:
– legge elettorale (in caso di sì verrebbe abolita l’assegnazione con sistema proporzionale del 25% alla Camera);
– rimborso della spese elettorali (verrebbe abolita la nuova legge sui rimborsi elettorali che secondo i promotori assegnerà ai partiti circa 770 miliardi);
– elezione del Consiglio superiore della magistratura (verrebbe abolito il voto di lista dei membri del Csm eletti dai magistrati che verrebbero quindi votati singolarmente, sganciati dalle liste e dalle aree di appartenenza);
– separazione delle carriere (si impedirebbe ai magistrati con funzioni inquirenti – i pm – di passare a funzioni giudicanti);
– incarichi extragiudiziali (i magistrati non potrebbero assumere altri incarichi – arbitrati o consulenze – incompatibili con le funzioni ordinarie giudiziarie);
– licenziamenti (fermo restando il risarcimento patrimoniale, verrebbe abolito l’obbligo di riassunzione del lavoratore licenziato nelle aziende con più di 15 dipendenti);
– trattenute sindacali (l’Inps e l’Inail non potrebbero più trattenere alla fonte i contributi e le quote di iscrizione a favore delle associazioni sindacali).
Con questa decisione, che ha falciato tutti i referendum mirati a liberalizzare il mercato del lavoro e del servizio sanitario e a ridurre il peso dei sindacati, ma ha salvato quello sulla quota proporzionale (che già l’anno scorso non raggiunse il quorum) tanto caro a Veltroni&C., cade definitivamente il mito di una Corte costituzionale al riparo da influenze politiche: per dirla in termini evangelici, un giudice non sarà mai più grande del potere in nome del quale amministra la legge. In questo clima politico, incattivitosi per colpa di un governo che ha assunto le funzioni di un comitato elettorale, l’eroico idealismo radicale ha ormai assunto il carattere di una testimonianza mistico-religiosa. Della quale però preferiremmo fare a meno perché un paese normale per fare buone leggi non dovrebbe aver bisogno di eroi, ma solo del buonsenso necessario ad affrontare i problemi del paese.
Il tri-ciclo di Berlinguer Mercoledì 2 febbraio, con l’approvazione del Senato (146 voti favorevoli e 65 contrari) il riordino dei cicli scolastici è diventato legge. La riforma prevede che dal settembre del 2001 i cicli scolastici siano costituiti da una “scuola dell’infanzia” non obbligatoria, dai 3 ai 6 anni; 7 anni di “scuola di base” obbligatoria da 6 ai 13 anni; una “scuola secondaria”, articolata in cinque grandi indirizzi (classico-umanistico, scientifico, tecnico-tecnologico, artistico e musicale) e suddivisa in un “primo biennio” obbligatorio dai 13 ai 15 anni (durante i quali sarà possibile cambiare indirizzo senza penalizzazioni) e un triennio finale (15-18) a scelta. Si tratta, comunque, di una legge-quadro che affida al governo il compito di formulare un programma quinquennale per la riqualificazione e riconversione del personale docente, la formazione degli organici di istituto, la riorganizzazione di tutti i curricula della scuola, il piano per le infrastrutture. In pratica, si tratta ora di riempire di contenuti il disegno complessivo della legge e per questo il ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer ha chiesto il sostegno di tutto il Parlamento.
Finora Berlinguer si è preoccupato di ridurre il Parlamento al ruoli di ratificatore delle sue decisioni. Il ministro, infatti, ha portato a termine l’iter parlamentare nei tempi che si era prestabilito solo presentando, nei vari passaggi delle due camere, un testo blindato negando così, non solo qualsiasi possibilità di confronto all’opposizione, ma anche di intervento alla stessa maggioranza. Il carattere antidemocratico di una tale procedura è tanto più grave se si considera l’importanza e il peso che una simile riforma, che ridefinisce l’intero iter scolastico delle generazioni a venire, ha sul futuro del paese. Ora la riforma è fatta e smantella, come abbiamo già avuto modo di dire, le due istituzioni sicuramente di valore della scuola italiana, le elementari e il liceo. Di fatto avremo delle lunghe elementari che immetteranno a un biennio ancora generico e, solo dopo e facoltativamente, a un triennio di specializzazione. Risultato: un anno in più di scuola dell’obbligo e un anno in meno di scuola tout court e l’intera formazione professionale (che invece presentava esperienze di ottimo livello) rivoluzionata, il che vuol dire abbandonare proprio le fasce di giovani più deboli, quelli che non intendono studiare fino a 18 anni, al rischio di trovarsi, dopo le super-elementari e il misterioso biennio, fuori dalla scuola senza alcuna preparazione specifica. Avvolto nel mistero è anche tanto il destino degli studenti (contenuti, programmi, materie di studio…) che quello degli insegnanti: per esempio, come si pensa di riqualificare i docenti delle elementari e delle medie (circa 400mila) interessati da questa rivoluzione? Berlinguer, per ora, ha raggiunto il suo obiettivo: la rivoluzione è partita e porta il suo nome.
Buchi Inps e Film Luce A fine ’99 l’Inps ha fatto registrare un disavanzo di 75.866 miliardi di lire: a fronte, infatti, di incassi per 156.644 miliardi di contributi, ha pagato 226.583 miliardi di pensioni. Sono state liquidate 155.786 pensioni di anzianità (da rilevare non si tratta dell’intera spesa pensionistica italiana, superiore ai 300mila miliardi, ma solo di quella Inps) alle quali vanno aggiunte 25mila domande giacenti che, ha spiegato il presidente dell’Inps, Massimo Paci, saranno quasi tutte accolte. Paci ha anche confermato l’esistenza di una “gobba” prevista per il 2005, quando, è “un dato certo”, si avrà l’impennata della spesa. In ogni caso, poiché rispetto al 1998 si è registrato un leggero miglioramento con 2.155 miliardi di disavanzo in meno e che l’intera spesa pensionistica è passata dal 10,3 al 10,1% del prodotto interno lordo Paci ha parlato di “ottimi risultati” riscuotendo, secondo quanto scritto da Repubblica, “il vivo apprezzamento del ministro del Lavoro Cesare Salvi per l’efficienza dell’Istituto”.
Un’efficienza formidabile quella che produce un buco da 75mila miliardi l’anno e che per il 2005 prevede una “gobba” che, se va tutto bene, affosserà i conti. Tanto più che, come ha ammesso lo stesso Paci, i miglioramenti nei conti dell’Istituto sono dovuti in gran parte alla colossale operazione di cessione dei crediti dell’Istituto (la cosiddetta cartolarizzazione) che ha fruttato circa 9mila miliardi (dei quali 8.012 incassati dall’Inps nel novembre scorso) e agli oltre mille miliardi recuperati dall’Inps attraverso i condoni. Straordinaria anche l’efficienza del governo che, essendo in passivo tutti i fondi pensionistici dell’istituto (lavoratori dipendenti, artigiani, commercianti…) tranne quello dei lavoratori parasubordinati (quelli del 10%), sta decidendo, per finanziare il deficit delle altre gestioni, un aumento proprio a carico dei lavoratori parasubordinati i quali, perlopiù, sono giovani. Incentivo all’occupazione giovanile? Infine complimenti per l’efficienza di Repubblica che su una simile notizia è riuscita ad apporre il titolo, “L’Inps pesa un po’ meno sui conti dello Stato” e ad annotare i “vivi apprezzamenti di Salvi”. Poi si dice dei “Film Luce”…