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Quella volta che Agatha Christie salvò la Messa in latino

Se ancora oggi nella cattedrale di Westminster si celebra una volta al mese secondo il rito tridentino, il merito è anche della regina del giallo

Joseph Shaw
13/11/2018 - 15:29
Cultura
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Agatha Christie (da Flickr)

Per gentile concessione del Catholic Herald, proponiamo di seguito in una nostra traduzione un articolo di Joseph Shaw, presidente della Latin Mass Society, apparso nell’edizione del 2 novembre del magazine cattolico londinese. Il testo originale in inglese è pubblicato in questa pagina.

Il 26 novembre del 1971 la prima pagina del quotidiano Universe informava i suoi lettori di quanto segue: «A partire da questa domenica, la prima di Avvento, è vietato celebrare la Messa nel rito tridentino ovunque nel mondo. In circostanze molto particolari preti anziani o in pensione possono richiedere ai propri vescovi il permesso di utilizzare il rito, ma solo a scopo privato».

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Pochi giorni dopo, tuttavia, il 2 dicembre, il Times raccontò una storia alquanto diversa, sotto il titolo “Il Papa autorizza la Messa tradizionale in latino in Gran Bretagna”. Una Messa tridentina in effetti fu detta il 17 giugno dell’anno successivo nella cattedrale di Westminster, prima di una serie di due Messe annuali celebrate all’altare maggiore utilizzando il vecchio messale. Fu inaugurata anche una Messa tradizionale mensile nella cripta della cattedrale. Entrambe le serie di Messe proseguono tutt’oggi, sebbene le Messe della cripta sono state trasferite nella Lady Chapel.

A quanto pare, in Inghilterra e Galles la celebrazione pubblica secondo il Vetus Ordo, oggi anche detto forma straordinaria, era stata salvata in extremis. Come era stato possibile?

L’opposizione alle riforme liturgiche e il rimpianto per il venir meno di una tradizione liturgica che affondava nel IV secolo, se non prima, si diffusero parecchio, quando negli anni Sessanta divenne evidente la radicalità di quanto si stava realizzando nel nome del Concilio Vaticano II. La Latin Mass Society fu fondata nel 1965, dopo che da Roma i primi documenti sulle riforme ebbero chiarito che la lingua latina era finita nel mirino, e gli esperimenti e gli abusi liturgici turbavano i fedeli nelle parrocchie.

Il cardinale John Heenan ordinò a tutte le chiese parrocchiali nella diocesi di Westminster di celebrare una Messa in latino la domenica, alla luce del mandato del Vaticano II: «L’uso della lingua latina sia conservato nei riti latini» (Sacrosanctum Concilium 36.1). Comunque la celebrazione della Messa riformata in latino finì presto per essere percepita come un’anomalia, e la regola fu ritirata nel 1971. Il dilemma si tradusse in pratica come una scelta tra la nuova Messa in volgare e la Messa “tridentina” (o in latino).

In un’epoca di deferenza verso i vescovi e il Papa, e con il papa Paolo VI che aveva messo la sua personale autorità a sostegno dell’interpretazione della riforma da lui data nel 1969, era difficile capire come far presente che stava per essere compiuto uno sbaglio terribile: la soppressione totale di una forma liturgica da cui dipendevano tanta teologia, spiritualità e cultura.

Il cardinale Alfredo Ottaviani, già prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, aveva provato un approccio teologico con il suo celebre “Intervento” del 1969. La professoressa Alexandra Zaina, illustre membro della Latin Mass Society, tentò l’approccio della spiritualità, con una lettera al Catholic Herald in cui citava il Pio XII della Mediator Dei, spiegando che le esigenze spirituali non sono le stesse per tutti i cattolici, e dunque occorreva lasciare spazio a coloro che preferivano il latino. Ma a risultare infine efficace fu l’approccio attraverso il terzo aspetto della liturgia: la cultura.

A portarlo avanti fu Alfred Marnau, un notevole poeta slovacco giunto in Gran Bretagna nel 1939. Marnau utilizzò i suoi contatti nel mondo dell’arte per ottenere firme a sostegno di una petizione che lamentava la perdita dell’antica Messa nel contesto della “storia dello spirito umano”:

«In questo momento stiamo ignorando l’esperienza religiosa o spirituale di milioni di individui. Il rito in questione, nel suo magnifico testo latino, ha anche ispirato una marea di realizzazioni artistiche inestimabili – non solo opere mistiche, ma opere di poeti, filosofi, musicisti, architetti, pittori e scultori in tutti i paesi e in tutte le epoche. Esso appartiene perciò alla cultura universale tanto quanto agli uomini di Chiesa e ai cristiani».

L’appello era tale che poteva essere sottoscritto da non cattolici, e a quel tempo forse i non cattolici avrebbero potuto ottenere un’efficacia maggiore. Di conseguenza, conscio di avere poco tempo a disposizione, nell’arco di sole tre settimane Marnau riuscì a mettere insieme le firme di oltre 50 personalità pubbliche, compresi un parlamentare di ognuno dei principali partiti politici, due vescovi anglicani e parecchi scrittori, artisti e musicisti. Tra questi, Graham Greene, Colin Davis, Iris Murdoch, Frank Raymond Leavis, Malcolm Muggeridge, Yehudi Menuhin e Nancy Mitford. William Rees-Mogg, direttore del Times, fece in modo che l’appello ricevesse attenzione a livello nazionale.

Fu però un’altra firma quella che, quanto meno nella leggenda popolare, attirò l’occhio di Paolo VI, quando il cardinal Heenan gli presentò la petizione da parte della Latin Mass Society. Racconta Marnau: «La storia dice che papa Paolo VI stata scorrendo tranquillo la lista dei sottoscrittori quando all’improvviso disse: “Ah, Agatha Christie!”. E diede la sua approvazione».

La stessa Christie non era cattolica; ma la principale creazione della sua fantasia, il cattolico belga Hercule Poirot, avrebbe sicuramente approvato.

Foto Agatha Christie da Flickr

Tags: Agatha Christiecatholic heraldConcilio Vaticano IIpaolo VI
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