La preghiera del mattino (2011-2017)
Quel bimbo abbandonato nella scatola è mio figlio
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Pur nella sua drammaticità, è una storia a lieto fine quella di Maria, la mamma peruviana 26enne che, in un momento di disperazione, ha abbandonato il figlio appena nato, ma, poi, pentita, si è presentata alla caserma dei carabinieri per denunciarsi: «È mio figlio».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Genova. Androne di un palazzo in centro città. I condomini trovano in una scatola di scarpe un neonato che ha ancora il cordone ombelicale attaccato. È coperto da un maglioncino azzurro e una camicia scozzese blu e verde. Dopo i primi attimi di sgomento («mi sono tranquillizzato solo quando ho visto che il bimbo era vivo. Gli ho toccato la mano e lui mi ha stretto il dito», ha raccontato alla Stampa l’autista di autobus che per primo lo ha soccorso), si prendono cura di lui e avvisano le forze dell’ordine. All’ospedale Gaslini di Genova le prime cure; il piccolo sta bene, pesa tre chili.
Dopo sette ore, Maria, che abita in quel palazzo, si pente. Ai carabinieri spiega di aver partorito all’improvviso, di «essere sconvolta», di aver lasciato sul piccolo il maglione e la camicia «perché potesse sentire l’odore della sua mamma». Perché lo ha fatto? Non aveva coraggio di dirlo ai suoi, nessuno sapeva di quella gravidanza. Ma è stato proprio il colloquio con sua madre a convincerla a ritornare sui suoi passi e a presentarsi in caserma. Ora per lei, inevitabilmente, è scattata la denuncia per abbandono di minore.
Insomma, tutto sommato una storia che finisce bene. Una giovane donna che – sconvolta – commette un errore, ma che poi ha il coraggio di pentirsi, chiedere perdono, pagare il prezzo dei suoi atti, forse ricominciare. Non è ricorsa all’aborto e anche le cure prestate al piccolo ci dicono qualcosa di materno che, in lei, non si è spezzato. Ma è anche una storia che ci dice molto della situazione in cui si trovano molte donne. È evidente che Maria si sente sola, non ha nessuno con cui condividere le sue angosce e preoccupazioni. Eppure oggi esistono i Centri di Aiuto alla vita che aiutano molte donne, prima e dopo il parto. È loro che occorre sostenere, per sostenere tutte le Maria d’Italia.
La foto pubblicata (Shutterstock) non è, ovviamente, quella del bambino di cui si parla
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