Pare – e dico, pare – che con i casini di Roma e Milano abbiano scoperto che non si va molto lontano con l’immigrazione fuori controllo e il mito dello “zingaro buono”. D’altra parte, per chi in periferia ci abita, è venuto il momento di agire. Così, mentre fervono gli elzeviri degli illustri intellettualoni e il cronista aristocratico va a farsi un giretto a Tor Sapienza in fiamme, in uno sventurato quartiere di Milano dove una ventina di delinquentelli (“antagonisti”) hanno assaltato una sede Pd imbrattandone le pareti e costringendo nonnetti a scappare dalle finestre, la gente che conosce i propri polli manda a dire: «Non si toccano gli anziani. Per questi fighetti in maschera non serve la polizia. Sappiamo chi sono. Li andiamo a prendere noi».
Al Giambellino non si leggono i giornali. E nemmeno le pippe con bel corredo fotografico di cronisti embedded al seguito di quattro sedicenti anarchici. Pensate un po’, che giocano ad “abitare la crisi” – pensate, “abitare la crisi” – infilandosi come sciacalletti nella già grama vita del disoccupato e delle vecchietta con la pensione minima. Per di più, lordando e impestando di scritte deficienti i poveri muri e le miserabili finestre di case Aler già degradate dall’incuria e dal menefreghismo delle autorità preposte. Ovvero sindaco Pisapia e amministrazione comunale “arancione”.
Ma se i delinquentelli hanno dalla loro parte i giornaloni di un resto straccione di borghesia italiana, si capisce, le prediche degli intellettuali modaioli e dei giornalisti alla Saviano non attaccano più. Per esempio Piero Colaprico, uno dei grandi chef del risotto Pisapia, tenutario su Repubblica di una rubrica giustizialista molto perbene sull’importanza delle piste ciclabili e dell’alimentazione bio a Milano. È stato inviato a Roma a documentare la “caccia all’immigrato” e il “viva il Duce” nelle periferie dove l’inquilino del Campidoglio, il sindaco della panda portoghese e della bicicletta ai Fori Imperiali, non si affaccia mai. Bè, qualcosa di reale viene fuori, nonostante “il razzismo”, il “viva il duce” e “il questi di Tor Sapienza sono tutti scemi” detto da un Mustafà. Terra di nessuno, furti a gogò, spazzatura per strada, due campi rom, un centro profughi, tentati stupri. Però, sempre secondo la versione Repubblica dell’immigrato “operatore sociale”, «i ragazzi vengono da storie complicate. Si fanno male tra loro, a volte usano i coltelli, ma non hanno mai attaccato gli italiani».
Altro esempio. Il sociologo Mauro Magatti. Che oggi sfiletta un bel sermoncino sul Corriere della Sera tirando in ballo il guru della teosociologia Zygmunt Bauman e attestandosi sul biasimo delle democrazie che «tendono a rimuovere, concentrandole ai margini delle proprie città», cosiddette «vite di scarto». Le quali “vite di scarto”, nella banalità del Bauman e del Magatti, sarebbero poi «uomini e donne che, per una ragione o per l’altra, diventano inadatti a vivere in una società avanzata». Già, “inadatti”. “Società avanzata”. Perché, naturalmente, non vi sono invece responsabilità molto terra terra, precise, concrete, dirette, di sindaci e amministratori con nomi e cognomi, non so, tipo Marino e Pisapia?
Già, ci è voluta l’insurrezione popolare (e le altre che verranno) per capire che le periferie sono luoghi di “vite di scarto”, “extraterritorialità”, “bombe ad orologeria”, “ghetti” pronti a esplodere all’innesco della demagogia. E naturalmente il casino sarebbe colpa del demagogo Matteo Salvini (Grillo no, quello lo decidono in Rete cos’è e poi in Rete non ci sono questi problemi di periferia). Mica c’entrano niente, coi casini, Marino, Pisapia e tutta la demagogia di quelli che reggono il moccolo ai Marino e ai Pisapia e che ci han fatto due maroni così sull’importanza di accogliere tutta l’Africa e tutti i rom e che (se non sono cristiani tanto meglio) ci insegnano a stare al mondo nell'”accoglienza” e nella “multiculturalità”. Mica sono loro i demagoghi, giornali e intellettuali, per i quali sono tanto carini e tanto trasgressivi, e sempre da difendere poiché “vittime” della polizia, i figli di papà che circolano bardati, menano gente, vandalizzano città e valli, trovando sempre alibi e solidarietà negli aggettivi qualificativi giornalistici lussuosi, rispettabili, fantasiosi. Fancazzisti? Teppisti? Delinquenti? Ma va là. “Studenti”, “Contestatori”,“Antagonisti”.
Però poi la gente si incazza. Sarà razzista la gente? Sarà fascista? Sarà omofoba? Sarà cosa, dato che il politico e il giornalista corretto vede il mondo da Ballarò e abita dentro la cerchia dei Navigli o al di qua del Lungo Tevere?
E intanto loro, i borghesucci angosciati per i poveri al caldo delle loro certezze da ricchi, nel nome dell’Europa legano piedi e mani anche a quelli che nelle periferie ci stanno pacificamente, sul serio e provando condividere giorno per giorno i problemi della gente. Un esempio? Notizia di questa settimana (naturalmente celebrata con tutti gli onori dai giornaloni), la Corte di Giustizia Europea ha ammesso un ricorso dei radicali Turco e Pontesilli. Ricorso che punta ad azzerare la “fiscalità agevolata” per gli enti no profit, ammessa perfino dal principe della tasse Mario Monti.
E poi si lamentano che le periferie esplodono? Ma cosa predicano le anime belle radicali, il grillino con la testa nella rete e il giustizialista con la Costituzione sul pisello? Predicano che bisogna affamare il no profit e che bisogna dare all’Europa ulteriori strumenti di coercizione per portare via la “roba” – edifici, scuole, oratori, luoghi di ritrovo – a chiese, associazioni e soggetti no profit, a quei pochi che presidiano ancora le periferie. Predicano che le scuole non statali, pur essendo pubbliche, non devono ricevere sostegni dallo Stato e perciò chiudano pure. I cittadini seguitino a pagare due volte le tasse. Crepino le suorine che tengono in piedi gli asili. Predicano il falso sull’Imu che “non paga la Chiesa”. E si battono perché l’Europa multi lo Stato italiano (cioè noi contribuenti) perché lo Stato italiano non ammazza adeguatamente le opere e le associazioni di volontariato che nei loro edifici (scuole, mense per i poveri, ostelli per immigrati) ospitano tentativi di educazione, integrazione, accoglienza. E sono comunque risparmio per le vuote casse dello Stato e ammortizzatori sociali piantati nel degrado pauroso in cui lo Stato, i comuni, gli amministratori, hanno lasciato le periferie.