
Quale sarà il futuro dell’Italia con Monti? Basta guardare l’Irlanda
Che sarà dell’Italia fra un anno, quando si cominceranno a vedere i risultati della cura da cavallo a cui il governo Monti ha deciso di sottoporla per fermare l’attacco al suo debito sovrano, respingere lo spettro dell’insolvenza e salvare l’euro? L’Irlanda è molto più piccola del nostro paese, la sua non è stata una crisi di debito sovrano ma di fallimenti bancari e un anno fa il paese è stato costretto a chiedere un pacchetto di salvataggio alla Ue e al Fmi. Mentre l’Italia è stata costretta “solo” a cambiare governo. Ma il paragone si può fare perché anche l’Irlanda, come l’Italia di Monti, si è gettata a corpo morto in una politica di “svalutazione interna” per tornare competitiva sui mercati internazionali e cominciare a pagare i debiti accumulati. “Svalutazione interna”, per chi non lo sapesse, è l’espressione con cui le autorità europee di Bruxelles e di Francoforte indicano le misure di austerità con le quali, in mancanza della possibilità di svalutare la moneta nazionale (nessuno degli Stati aderenti all’euro ha questo potere), un paese recupera competitività diminuendo i suoi costi di produzione.
Nel secondo quarto di quest’anno il Pil irlandese è tornato a crescere (1,2 per cento rispetto allo stesso periodo di un anno fa) dopo tre anni di crescita negativa, le esportazioni a giugno segnavano un incredibile +24 per cento rispetto a dodici mesi prima e il tasso d’interesse sui bond decennali è sceso all’8,7 per cento dopo aver toccato un massimo del 14 per cento. Tuttavia il rapporto fra indebitamento pubblico e Pil ha continuato a peggiorare e il deficit annuale è ancora lontanissimo dal limite del 3 per cento (quest’anno sarà del 9-10 per cento). E soprattutto il prezzo è stato altissimo. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 14,5 per cento (era al 5 per cento solo tre anni fa) e resterà a questo livello anche l’anno prossimo; nonostante ciò i sussidi del welfare sono stati ridotti. I salari del settore pubblico sono già stati tagliati del 14 per cento in media, con punte del 30 per cento per gli alti dirigenti; è stato introdotto un regime fiscale sulle pensioni.
Nel settore privato il primo stipendio per i laureati è stato ridotto di un terzo. Il Pil ha conosciuto una contrazione del 12,5 per cento, e i consumi continuano a scendere: in ottobre risultavano inferiori di un terzo a quelli di un anno prima; si sono ridotti persino gli acquisti di scarpe e di testi scolastici. Come se tutto questo non bastasse, ieri il governo di Enda Kenny ha annunciato una nuova manovra per altri 3,8 miliardi di euro (per un paese il cui numero di abitanti è 13 volte inferiore all’Italia) fra nuove imposte e tagli di spesa che riguardano la sanità, gli assegni familiari e altre forme di protezione sociale. Fra le conseguenze della decrescita economica va conteggiata anche un’impetuosa ripresa dello storico fenomeno dell’emigrazione: quest’anno se ne sono andati dall’isola per cercare lavoro per lo più in Canada e in Australia 40 mila irlandesi, che si aggiungono ai quasi 30 mila dell’anno scorso. All’inizio si trattava soprattutto di studenti universitari e lavoratori delle costruzioni, ma rapidamente si sono aggiunti anche contabili, ingegneri, dentisti e altri professionisti qualificati, che portano con sé intere famiglie.
La cancelliera tedesca Angela Merkel ha lodato recentemente il primo ministro Enda Kenny definendolo «un esempio eccezionale», mentre il presidente francese Nicolas Sarkozy ha dichiarato che l’Irlanda sarebbe «quasi fuori dalla crisi». Gli irlandesi non sono d’accordo con tanto ottimismo, non si considerano un modello per lottare contro la crisi dell’euro e insistono che se l’Europa non farà qualcosa di più la ripresa irlandese si spegnerà rapidamente. L’Economic and Social Research Institute di Dublino ha recentemente scritto che «l’attuale situazione contiene elementi che ricordano le politiche applicate durante la Grande Depressione, quando una crisi montante fu affrontata con un’ortodossia che diede luogo a una grande povertà che si sarebbe potuta evitare». Con tutti i suoi sforzi, l’Irlanda si trova ancora a far fronte a un tasso d’interesse dell’8,7 per cento per i propri buoni decennali del Tesoro (era sceso al 7,4 per cento ma poi la tempesta valutaria l’ha rispedito in alto) che non sarebbe sostenibile se il paese non potesse contare sul pacchetto di salvataggio di 67,5 miliardi di euro ricevuto l’anno scorso.
E ormai è chiaro che il 2012 sarà un anno di recessione per la maggior parte dei paesi dell’Eurozona, cosa che mette a repentaglio la ripresa irlandese centrata essenzialmente sulle esportazioni. L’Irlanda ha attirato nell’ultimo anno più investimenti stranieri di quelli che hanno totalizzato insieme Francia e Germania, ma una recessione con tutta probabilità li allontanerebbe di nuovo. Già prima di questa svolta negativa il rapporto debito pubblico/Pil era proiettato al 113 per cento nel 2013. Insomma, il destino di Dublino è appeso alle decisioni di Berlino e di Parigi, i sacrifici fatti finora non sono una garanzia di superamento completo della crisi. La lezione per l’Italia è molto chiara.
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