Mercoledì 24 luglio la Corte d’assise d’appello di Milano ha assolto Stefano Binda, imputato nel processo sull’omicidio di Lidia Macchi e condannato all’ergastolo in primo grado. I giudici hanno respinto la richiesta del sostituto pg Gemma Gualdi, che nella requisitoria chiedeva la conferma della sentenza del carcere a vita. Puntando il dito contro Comunione e Liberazione. Pubblichiamo la lettera di Luigi Amicone
Caro direttore, cari amici, sarò estremamente breve, perché quello che avevo da dire l’ho scritto nei giorni scorsi e, a quanto pare, i fatti ci hanno dato ragione. Stefano Binda è stato assolto «per non aver commesso il fatto». Neanche per insufficienza di prove. È stato sentenziato innocente oltre ogni ragionevole dubbio. E notate bene, come ci informa Luigi Ferrarella dalle colonne del Corriere della Sera, Binda è stato assolto per tutte le evidenze fattuali che anche noi abbiamo chiarito nella nostra cronaca. Tant’è, scrive Ferrarella, «non ha avuto invece impatto sull’assoluzione, causa sua inutilizzabilità, l’irrituale testimonianza “de relato” dell’avvocato Piergiorgio Vittorini, pur lasciato parlare giovedì in aula sull’anonimo cliente che nel 2017 gli disse di aver scritto la lettera ma gli vietò di rivelarne l’identità». Dunque nessun dubbio. Nemmeno l’anonimo ha contribuito all’assoluzione.
Oggi, giovedì 25 luglio, leggo sul Giornale il seguente virgolettato attribuito alla requisitoria del 24 luglio scorso svolta dalla dottoressa Gemma Gualdi, pg che ha sostenuto l’accusa in primo e secondo grado, citata nella cronaca del quotidiano milanese che rende conto dell’assoluzione a firma di Cristina Bassi e Luca Fazzo: «Il gruppo di CL cui appartenevano sia la vittima sia l’imputato ha preferito salvare un barbaro assassino che una vergine accoltellata».
Io non posso immaginare che una persona e per di più un rappresentante della legge, possa aver detto una cosa del genere in nome di un proprio convincimento personale che, come si è visto, si è rivelato falso, ma costituisce un’assoluta, gratuita, incredibile infamia. Perciò ho chiesto chiarimenti agli autori dell’articolo. I quali hanno confermato. Luca Fazzo: «Ero in aula l’ho sentita».
A questo punto, ancora prima che come giornalista, io , come i tanti amici che appartengono al movimento di CL, davanti a noi stessi e davanti ai nostri figli cosa dobbiamo fare? Possiamo accettare di essere considerati una banda di gente pronta a coprire «barbari assassini» piuttosto che «una vergine accoltellata»? Chiediamo, scriviamo, telefoniamo alla Procura Generale di Milano nella figura della dottoressa Gemma Gualdi, di chiarire questa cosa. Davvero pensa e ha detto questa cosa?
Dopo di che, se non vi saranno chiarimenti, penso che avremmo molto lavoro da fare. Non so se i pm siano coperti da immunità tale da dire che, non so, il sole gira attorno alla terra e mia sorella in verità è un maschio camuffato da femmina. Però, class action o no, se le cose restano così penso che tra due o tre mesi saremo almeno in centomila a chiedere chiarimenti più importanti di questa mia letterina. Grazie, pensa te cosa ci tocca sentire dopo che un innocente ha passato quattro anni in carcere «che nessuno mi ridarà più».
Luigi Amicone
Foto Ansa