
Abbiamo un problema con i detenuti dell’Isis nelle carceri curde

Resta innescata la bomba dei detenuti dell’Isis nelle prigioni sotto il controllo dell’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est (Aasne), l’interfaccia civile delle Forze democratiche siriane (Fds) egemonizzate dai curdi delle Ypg (Unità di protezione popolare) anche se un portavoce del Dipartimento di Stato americano ha fatto sapere attraverso la radio Voice of America che gli Usa sono d’accordo con la decisione curda di rilasciare 631 detenuti fiancheggiatori dell’Isis che non avrebbero commesso delitti di sangue e 289 civili dal campo di internamento di al-Hol per familiari dei detenuti. L’amnistia decisa il 12 ottobre scorso dalle autorità della cosiddetta Rojava riguarda tutti i detenuti nelle strutture penitenziarie della regione autonoma. Essa comporta il rilascio di tutti i carcerati per reati minori, gli ultra75enni e i malati terminali; commuta le condanne all’ergastolo in 20 anni di carcere e dimezza tutte le altre pene detentive. Sono esclusi dall’amnistia i condannati per spionaggio, tradimento, delitti d’onore, violenze carnali, traffico di droga e gli alti gradi delle organizzazioni terroristiche, come pure i responsabili dell’addestramento e tutti i combattenti che hanno ucciso cittadini siriani. Gli effetti dell’amnistia sui detenuti dell’Isis sono, oltre all’immediato rilascio di 631 di essi, quello imminente di altri 253 che hanno avuto la sentenza dimezzata. Sette giorni prima l’Aasne aveva annunciato il graduale rilascio di 25 mila donne e bambini di nazionalità siriana dal campo di internamento di al–Hol, dove si trovano da un anno e mezzo 68 mila familiari dei detenuti dell’Isis.
Rispedire a casa i jihadisti
La situazione resta esplosiva perché nelle carceri curde si trovano migliaia di terroristi dell’Isis che hanno già tentato più volte evasioni di massa, e perché non ci sono garanzie sul reinserimento sociale sia dei detenuti fin qui rilasciati che dei loro familiari. Le stime sul numero dei combattenti jihadisti sparsi in una dozzina di carceri dell’Aasne variano da fonte a fonte. Le più attendibili parlano di 19 mila prigionieri Isis, 12 mila dei quali siriani; gli iracheni sarebbero 5 mila e gli altri stranieri, appartenenti a 55 diverse nazionalità, 2 mila circa. Le autorità curde hanno fatto presente più volte alla comunità internazionale che non sono in grado di garantire la sicurezza e la vivibilità delle carceri nel lungo periodo, e hanno visto respinte le loro richieste ai paesi di appartenenza dei jihadisti non-siriani di poter rispedire questi ultimi nella patria di origine. Solo gli Usa hanno impegnato una parte dei 200 milioni del loro programma anti-Isis nella Siria nord-orientale per migliorare il sistema carcerario e per il mantenimento delle famiglie dei terroristi nei campi per gli sfollati.
Come reinserirli
Americani e curdi ora rassicurano che esistono programmi di de-radicalizzazione sia nei centri di detenzione che presso le comunità dove i civili rilasciati dal campo di al-Hol rientreranno. Un certo numero di osservatori rimane scettico. Secondo Eva Kahan dell’Institute for the Study of War «molto probabilmente l’Isis ha reclutato aggressivamente all’interno dei centri di internamento a causa dell’incapacità delle Fds di tenere separati gli elementi radicali dal resto della popolazione. Questi iniziali rilasci forniranno decine o anche centinaia di potenziali combattenti Isis o fiancheggiatori alle cellule sia dormienti che attive di insorti nella media valle dell’Eufrate e potrebbero rappresentare benzina gettata sulle fiamme dell’insurrezione». Secondo le statistiche disponibili, donne e bambini rappresentano il 94 per cento dei residenti del campo di al-Hol, ma è noto che molte donne hanno avuto e hanno un ruolo di rilievo nel sistema di militanza organizzata dell’Isis e che i “bambini” comprendono tutti i minorenni, e anche in questo caso è tristemente famosa la capacità di condizionamento psicologico di ragazzi e persino bambini da parte dell’Isis al fine di farli entrare nelle file dei suoi combattenti. Inoltre i 10 mila stranieri non iracheni e non siriani presenti nel campo – che solo in rari casi vengono riaccolti nei paesi d’origine – rappresentano la componente più radicalizzata di tutti gli internati. Secondo Mona Yacoubian dell’Institute of Peace di Washington «molto dipenderà dalle condizioni che ritroveranno nelle loro comunità d’origine, e se queste condizioni saranno favorevoli o no al loro reinserimento. Nella misura in cui gli internati si ritroveranno nel genere di condizioni che hanno alimentato le recriminazioni che spesso hanno potuto condurre all’ingresso nei ranghi dell’Isis, il loro rinvio ai luoghi di origine è motivo di preoccupazione».
Migliaia di combattenti
A insistere per il rilascio dei civili internati nei campi per sfollati (quelli ufficiali sono una dozzina) sono state soprattutto le autorità tribali delle comunità beduine, che in alcuni casi hanno pagato con la vita la loro incapacità di convincere i curdi a fare in fretta, ma resta forte l’interrogativo sulla possibilità di vita normale in comunità che sono state duramente colpite dalla guerra e ora dalla crisi economica, e presso le quali le entrate erano assicurate soprattutto dagli uomini che erano andati a combattere con l’Isis. D’altra parte ad al-Hol e negli altri campi per sfollati le condizioni di vita sono in graduale peggioramento, con un costante aumento dei tentativi di fuga e dei delitti all’interno delle strutture. Fra agosto e metà ottobre si sono registrati 16 omicidi. E le autorità curde hanno fatto sapere che «l’Aasne non intende pagare somme esorbitanti per procurare a queste persone cibo e altri generi. Inoltre i problemi che dobbiamo affrontare quotidianamente comprendono omicidi, stupri e così via». L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari fa presente che i cinque enti Onu che si occupano dei bisogni del campo di al-Hol hanno finora ricevuto soltanto 19,6 dei 53,2 milioni di dollari di cui hanno bisogno per la gestione delle attività umanitarie quest’anno.
In Siria l’Isis non controlla più nessun territorio dal marzo 2019, ma resta attivo con attacchi e attentati nella regione di Der Ezzor. l’Aasna ha annunciato che fra gennaio e febbraio dell’anno prossimo verranno portati in giudizio «migliaia» di combattenti dell’Isis attualmente detenuti.
Foto Ansa
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