Possibile che dopo il rogo di Prato l’unica proposta sia l’idea (inutile) di dare la cittadinanza agli “schiavi” cinesi?

Di Alfredo Mantovano
16 Dicembre 2013
A parte gli ostacoli formali, cosa risolverebbe la boutade del governatore toscano Enrico Rossi? La verità è che manca una visione strategica sull'immigrazione

A due settimane dalla tragedia di Prato, la sola proposta proveniente da un ambito istituzionale è quella, avanzata dal governatore della Toscana, di riconoscere la cittadinanza italiana ai cinesi che lavorano nella città del rogo. E basta! Il che fotografa da un lato la sostanziale indifferenza, al di là delle frasi di circostanza, per le sorti della “Lampedusa di terra” e di chi ci vive, dall’altro l’incapacità di enucleare linee di intervento che non siano demagogiche e assolutamente inutili.

Lasciando perdere gli ostacoli formali – il presidente Rossi pensa che la cittadinanza segua regole differenti a seconda dei gruppi etnici? –, passiamo alla sostanza: che c’entra fare tutti cittadini con la concentrazione di persone straniere non in regola, quasi tutte provenienti da una identica area della Cina, che lavorano in larga parte in condizioni schiavistiche e nell’assenza di collaborazione con le autorità diplomatiche cinesi? Quale di queste voci risolverebbe la proposta di Rossi?

Prato, come Lampedusa, rivela l’assenza di una visione in materia di immigrazione, sul terreno del contrasto alla irregolarità come su quello della integrazione di chi invece rispetta delle norme, e soprattutto della comprensione di ciò che si desidera accada in futuro. Se, grazie alle nostre scelte di vita, l’Italia si consolida sempre più come una nazione di figli unici e di anziani, è inevitabile che gli spazi demografici che noi abbiamo deciso di lasciare vengano riempiti da altri. È miope disinteressarsi di chi siano questi “altri”, dei loro contesti di provenienza, dei loro modelli di vita e di che cosa intendano per “vita”.

Porre il tema al centro del dibattito politico-istituzionale risparmierebbe a medio termine nuove tragedie, e a lungo – ma neanche tanto – eviterebbe la prospettiva, oggi assai probabile, di suicidio delle nostre comunità.

 

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1 commento

  1. Antonio

    si vabbè, diamo cittadinanza a tutto il mondo già che ci siamo. Così, visto che importiamo solo nullatenenti, poverissimi, ignoranti e spesso gente di bassa qualità morale e legale, cominceranno tutti a pretendere diritti, stato sociale, servizi gratis. Pagando pochissimo o nulla in tasse. E poi si raglia di ricchezza creata dagli immigrati. Andatelo a dire alle aziende che chiudono per concorrenza sleale dei concorrenti. Gli sfruttatori vanno severamente puniti, poi rimpatriati. Ma anche i clandestini devono tornare a casa loro. L’immigrazione, già di per se fenomeno problematico visto che riguarda soprattutto persone bisognose che vengono quì per prendere e poco o nulla dare, va regolamentata con rigore, realismo, senso pratico. E non con buonismo di grana grossa ed emotività da cartone animato. Ora questa baggianata del dare cittadinanza a tutti non la capisco proprio. Stiamo svendendo la nostra identità, cultura e qualità di vita per cosa? Affinchè politici,demagoghi, sinistre varie si facciano belli all’opinione pubblica? Basta immigrazione, ne abbiamo già troppi e 400.000 stranieri regolari rimasti disoccupati (che però non schiodano)

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