![Il problema è SpaceX o le simpatie politiche di Musk?](https://www.tempi.it/wp-content/uploads/2025/01/tempi_20250109195956668_1faba7fa4fc3c96039f0429426ec3eb3-321x214.jpg)
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In un editoriale pubblicato sul Corriere della Sera, Antonio Polito invita ad una riflessione fuori dal coro sulle liberalizzazioni. Polito annota anzitutto che le spese maggiori che gli italiani devono sostenere sono più sulle bollette del gas, o sul costo dei trasporti pubblici e in particolare ferroviari. Il giornalista segnala anche che per ora Antonio Catricalà (ex presidente dell’Antitrust e attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri) ha chiuso il dibattito sul gas («Non è una priorità»); mentre il precedente governo Berlusconi ha proibito, con un decreto legge, ai treni locali di effettuare fermate tra una regione e l’altra, ostacolando così la concorrenza degli operatori regionali a Ferrovie dello Stato. Polito invita a guardare sì la pagliuzza (le professioni “chiuse” su cui il governo Monti vuol intervenire) ma anche la trave: «Quanti giornalai, tassisti e farmacisti liberalizzati ci vogliono per fare un mercato del gas liberalizzato?» scrive.
Perché secondo lei, pur essendoci stati rincari del 43,3 per cento sul gas, del 25,5 per cento sull’acqua, e del 23,6 per cento sui trasporti ferroviari, su questi settori non si parla di maggiori liberalizzazioni?
Per parlare se ne parla anche, ma il problema è capire cosa farà il governo e cosa tollererà il Parlamento. Il punto è che in questi settori il soggetto che guida è pubblico: nel caso del gas, con Eni, c’è un soggetto che stacca cospicui dividendi allo Stato; mentre per i trasporti locali ci sono una miriade di soggetti compartecipati da enti locali. Per l’acqua sicuramente ha influito la recente bocciatura del referendum, che purtroppo si è svolto sull’onta di una certa demagogia. Infatti non è affatto vero che lasciare l’acqua agli enti pubblici significa averla più economica per tutti visto che, anche dopo il referendum, le tariffe sull’acqua sono aumentate e il servizio di distribuzione non è diventato più efficace. È difficile dunque intervenire in questi ambiti, perché sono settori in cui è il pubblico o lo Stato che ha le carte in mano. Ma io sono convinto che non è giusto chiedere al piccolo privato ciò che lo Stato non chiede anzitutto a se stesso in una scala ben più grande.
Perché converrebbe allo Stato liberalizzare, se da questi settori ha già forti guadagni diretti?
Perché non è un gioco a somma zero: la liberalizzazione anzi fa la “torta” più grande e quindi ci sarebbero fette più grandi anche per lo Stato, se entrassero in gioco altri players. Bisogna poi considerare, non da meno, se dalle liberalizzazioni in questi settori ci guadagnerebbero di più i cittadini e se si produrrebbero più posti di lavoro. Un esempio storico ci può far riflettere: quando Margaret Thatcher liberalizzò British Telecom si persero inizialmente 100 mila posti di lavoro, ma poco dopo se ne guadagnarono 350 mila.
Secondo Adusbef e Federconsumatori ci sarebbero ricadute positive di 22 miliardi di euro per le liberalizzazioni attualmente previste dal governo Monti. Lei cosa ne pensa?
Anzitutto, visto che il governo ha annunciato di intervenire anche nel settore energia e sulle banche, mi aspetto che lo faccia in questi settori. Sul resto, non posso dire se gli esiti delle liberalizzazioni sulle professioni abbiano effettivamente ricadute così cospicue, ma penso che in generale diano vantaggi. Quando il governo Prodi, con Bersani, aprì alla vendita di alcuni farmaci da banco, portando alla nascita delle parafarmacie, non solo abbiamo visto diminuire i prezzi di alcuni farmaci, ma anche l’avvio di un business che ha dato occupazione e lavoro, pur non facendo perdere introiti significativi alle farmacie. Credo che nel parlare di liberalizzazioni bisogna star attenti, perché generalmente l’opinione pubblica le recepisce come privatizzazione. Liberalizzare significa solo consentire anche ad altri privati di entrare nel gioco, a parità di condizioni di chi già c’è. Basta lacci, ecco quello che serve.
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