«Perché Samuel Paty non ha beneficiato di una protezione?»
Parigi. Diciotto mesi di silenzio dinanzi a un dolore insormontabile: quello della morte di Samuel, decapitato per strada da un terrorista islamico di origini cecene, Abdoullakh Anzorov, perché “reo” di aver insegnato l’amore per la laicità e la libertà d’espressione ai suoi alunni.
A un anno e mezzo dalla tragedia di Conflans-Sainte-Honorine, comune situato a nord-ovest di Parigi, la famiglia Paty ha deciso di testimoniare per la prima volta, gridando il proprio dolore e sporgendo denuncia contro lo Stato francese per non aver fatto abbastanza per scongiurare l’assassinio del proprio caro.
Buonisti e antirazzisti di maniera
«Quando si mettono in fila le dichiarazioni dei ministri e delle varie autorità, la dialettica che emerge è sorprendente. Lo Stato non ha mai fallito. Se Samuel è morto, è quasi una fatalità. Come se nulla avesse potuto impedire la sua morte. Noi invece pensiamo che avrebbe dovuto essere protetto meglio e che sono stati commessi degli errori imperdonabili», ha dichiarato a Libération la sorella di Samuel Paty, Mickaëlle, 44 anni, puntando il dito contro i funzionari del ministero dell’Istruzione e del ministero dell’Interno che hanno sottovalutato le minacce rivolte al professore da parte degli islamisti, ma anche contro i buonisti, gli antirazzisti di maniera, che, per paura di essere tacciati di islamofobia, si rifiutano ancora oggi di affermare che Paty è stato vittima di una fatwa.
«A sentirli, ed è la cosa più insopportabile, sembra che mio fratello non sia una vittima del terrorismo islamista. Durante la famosa polemica che ha preceduto il 16 ottobre, sul fatto che avrebbe esortato gli studenti musulmani ad uscire al momento della diffusione delle caricature (di Maometto, pubblicate da Charlie Hebdo, ndr), il primo riflesso non è stato quello di cercare di proteggerlo. In primis, gli è stato chiesto di spegnere l’incendio, di scusarsi. Nonostante non stesse facendo altro che applicare il programma visto che le caricature ne fanno parte. Il ministero dell’Istruzione non lo ha sostenuto. In fondo, è come se Samuel fosse stato responsabile della sua stessa morte», ha attaccato Mickaëlle Paty.
Il solito “sì, ma”
A differenza di Gaëlle, l’altra sorella di Paty, che in un’intervista al quotidiano La Croix aveva toccato gli aspetti più intimi e spirituali del fratello, Mickaëlle non nasconde la sua rabbia verso le autorità pubbliche francesi, che hanno abbandonato Samuel al suo destino. «A voler imperativamente governare l’ordine sociale che regnava sul campo con i “non facciamo troppo rumore”, gli accomodamenti cosiddetti “ragionevoli” e un antirazzismo errabondo, lo Stato finisce per sacrificare l’ordine pubblico, in particolare in termini di moralità, di sicurezza e di pace pubblica (…). Il fatto di elevare mio fratello a eroe conferma l’alto livello del suo sacrificio per la nazione. Ma mio fratello non si è sacrificato, è stato sacrificato da tutti quelli che avrebbero potuto e dovuto proteggerlo».
Nel suo J’accuse su Libération la sorella del professore decapitato il 16 ottobre 2020 se la prende anche con François Héran, sociologo e professore al Collège de France, che pochi giorni dopo l’attentato pubblicò una “Lettera agli insegnanti”, invocando la libertà d’espressione ma temperata dal famoso “rispetto”. Il solito, “sì, ma” della sinistra benpensante quando di mezzo c’è l’islam. «Mio fratello era morto da meno di due settimane e alcuni si avventuravano già in un relativismo indecente».
La lettera dei genitori
I genitori di Samuel Paty, Bernadette e Jean, non volendo apparire sui media, hanno scelto di inviare una lettera a Libération per esprimere i loro sentimenti. Sono le prime dichiarazioni pubbliche da quando Anzorov ha assassinato il loro figlio. «Perché Anzorov non è stato localizzato nonostante una segnalazione alla piattaforma Pharos (piattaforma del governo per scovare i contenuti che incitano all’odio e al terrorismo, ndr)? Perché il ministero dell’Istruzione e i servizi di sicurezza non hanno rilevato il pericolo che minacciava Samuel? Perché sono rimasti inattivi quando il nome di Abdelhakim Sefrioui (militante islamista schedato “S” dall’intelligence per radicalizzazione, ndr) era apparso, e quello di Samuel stava già circolando sui social così come il nome della scuola dove insegnava?», scrivono oggi i genitori di Paty, rivolgendosi allo Stato francese.
«Ovviamente ci sono stati molti tributi, abbiamo ricevuto molto supporto da tutto il mondo (…) ma ci poniamo comunque questa domanda: perché Samuel non ha beneficiato di una protezione?», hanno aggiunto i coniugi Paty, prima di concludere: «Sappiamo che la risposta a queste domande non farà rivivere Samuel, ma vorremmo conoscere la verità».
Foto Ansa
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