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Per il Nyt il problema è che siamo diventati tutti Cops

Per il quotidiano non basta più la censura: anni di megashow sui poliziotti ci hanno resi tutti sbirri e irrimediabilmente convinti che i buoni catturino i cattivi

Caterina Giojelli
14/06/2020 - 2:00
Società
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“Cops, cops, cops”, “abbiamo trascorso innumerevoli ore a guardare attraverso il parabrezza con la prospettiva della polizia”, ore a pensare che il mondo girasse come una crime story: “Qualche cattivo ha fatto qualcosa di male e qualche buono dovrà cercare di catturarlo”.

Una volta, cioè fino all’altro ieri, sulla scia del #metoo venivano chiuse serie come House of Cards e alle sparatorie nelle scuole si rispondeva con la censura di serie come Heathers, nel primo caso per pagare lo scotto al mainstream e condannare le supposte malefatte dell’attore Kevin Spacey, nel secondo per evitare tentativi di emulazione o satira sui giovani in momenti tanto bui. Oggi, dopo le manifestazioni di protesta per l’uccisione di George Floyd a Minneapolis, si chiudono i mega show sulla polizia, ma sarebbe un errore pensare che questo basti al lavaggio di coscienza: non ci avrà resi tutti molestatori o gunman, ma una cosa è certa, la tv ci ha resi tutti irrimediabilmente poliziotti.

“TROPPO LAW & ORDER IN TV”

Lo scrive il New York Times. Secondo James Poniewozik, critico televisivo di punta della Bibbia liberal, l’ondata di proteste che sta travolgendo gli Stati Uniti è destinata a infrangersi sui divani americani, dove cittadini ed elettori vengono costretti da decenni a subire programmi televisivi su poliziotti, agenti, squadre dell’Fbi, antidroga, investigazioni, una “enorme libreria mentale” di immagini fornite da serie che ruotano attorno al concetto “law & order” (ben sfruttato da Trump in un suo celebre tweet nei giorni delle proteste per la morte di Floyd). Di più “il pubblico di una rete come la CBS, inondata da serial killer, stupratori, psicopatici e professionisti che li hanno ricorsi”, ha introiettato il messaggio: “è un mondo malato e triste” e “c’è bisogno di protezione”.

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VIVA LA MORTE DI COPS

Naturalmente Poniewozik plaude alla morte di Cops: la 33esima stagione del reality show più longevo d’America, che mostra poliziotti alle prese con pattugliamenti, inseguimenti e arresti, doveva esordire su Paramount Network il 15 giugno, e invece nulla: la rivolta politicamente corretta che si è abbattuta sulle “grandi redazioni d’America” ha investito anche i palinsesti ed è stata rimandata anche l’uscita di LA’s Finest 2, seconda stagione della serie tv spin-off di Bad Boys. Certo, il Nyt aveva tacciato di “razzismo scontatissimo” Cops, dove i bravi ragazzi sono tutti poliziotti bianchi e i cattivi tutti neri, fin dalla prima puntata del 1989. Tuttavia, spiega il critico sottoscrivendo l’analisi di Kathryn VanArendonk per Vulture, il problema di Cops è quello di aver contribuito a un’ideologia fondamentale: pensare che la polizia debba essere “il personaggio principale”. Dai virgolettati di Vulture: “Il punto di vista di un poliziotto è diventato il modo predefinito di inquadrare i disordini”, “anche nelle serie che descrivono la polizia come fallibile o corrotta, i poliziotti sono ancora al centro”, “come telespettatori siamo bloccati nella prospettiva di polizia”. Guardiamo il mondo attraverso gli occhi dei poliziotti.

CANCELLARE LO SHOW MA NON LA GESTALT

Non si capisce perché il mondo potrebbe essere migliore guardandolo dal punto di vista di un criminale (che dire allora delle martellanti serie sui teenager o dei talent), ma per Poniewozik il danno è ormai fatto ed è ineluttabile: la maratona continua di Cops e compagni ha portato chi gestisce e governa oggi l’America a crescere a pane e sbirri. OJ Simpson andava a processo e Csi diffondeva la fantasia che grazie a scientifica e prove del dna il crimine aveva i giorni contati; allo stesso modo dopo l’11 settembre si è sdoganato il franchising dei procedural drama in tutte le sfaccettature, da Ncis a Law & Order, il mito dell’esistenza di forze del bene identificate nelle diverse forze dell’ordine, corpi di indagine, divisioni investigative alle prese con delinquenti d’ogni risma, ha plasmato la mente degli americani. E se rare eccezioni esistono, la gestalt rimane: “cops, cops, cops”. Possiamo cancellarli dai palinsesti ma secondo Poniewozik non riusciremo mai a toglierceli dalla testa, siamo condannati a vivere le conseguenze dell’allarmismo diffuso dagli show sul crimine: questa assurda idea di un mondo in cui se qualcuno fa del male ci sarà sempre qualcuno che cercherà di catturarlo. E noi pensavamo che il problema fosse il razzismo.

(CHI SAREBBE IL POLIZIOTTO?)

Nota bene: nella sua infaticabile opera di bonifica dei peccati e raddrizzamento del legno storto dell’umanità americana, il Nyt ha dedicato ampio spazio alla vicenda del comico e icona di “Tonight Show” Jimmy Fallon. Riassunto: investito dalle polemiche Fallon ha dovuto fare pubblica ammenda perché in una vecchia puntata del suo show aveva fatto uno sketch sui neri pitturandosi la faccia di nero. Ha chiesto scusa e e invitato ospiti di colore impegnati nelle proteste. Troppo facile farlo adesso: Fallon è colpevole (anche di essere bianco) e se vuole essere credibile non può limitarsi alle scuse e ospitate, bensì affrontare il tema del razzismo, dire che è una piaga, e rispondere alla domanda: “Quanti neri lavorano per la tua rete a tutti i livelli e in posizioni di potere?”. Chi è che guarda il mondo con le lenti del poliziotto e non del criminale?

Foto Ansa

Tags: George Floydpoliziarazzismo
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