Per chi cerca l’impresa, l’impresa c’è sempre (e basta prediche per favore)
Articolo tratto dal numero di luglio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Come va, a lockdown finito e fase 3 avanzata? Luci e ombre probabilmente. La Bibbia dice che «militia est vita hominis»: la vita dell’uomo è una militanza, come a essere soldato, in guerra. Quindi finché c’è vita, c’è guerra, con buona pace di chi non vuole essere scosso.
Dal punto di vista dell’epidemia di Covid-19 le cose non sembrano andare male. Dalla riapertura del 3 giugno, gli assembramenti e le movide non sono certo mancati, tuttavia, finora, non c’è stata la tanto temuta seconda ondata. Anzi contagi, ricoveri e morti sono in costante, per quanto lieve diminuzione. La raccomandazione insistente è di stare in guardia, non lasciarsi andare in incontri, abbracci e baci. L’ignoranza che ha accompagnato l’insorgenza dell’epidemia, ne sta accompagnando la scomparsa, o meglio la riduzione. Sul perché di questo ultimo fenomeno ci sono varie ipotesi, sottolineate con diversa intensità dai protagonisti scientifici e politici del dibattito nazionale.
Chi ha condotto la battaglia socio-sanitaria contro il Covid-19, tende a magnificare il successo delle misure intraprese: forte limitazione della convivenza, distanziamento sociale e poi mascherine, che ci stanno affliggendo con i primi caldi. Chi è più addentro nella biologia e magari ha fatto indagini ed esperimenti, dice, con cautela inutile data l’amplificazione dei media, che il virus è mutato, ha perso forza, si è adattato, perché avendo trovato nell’uomo un ambiente vitale, non vuole più ucciderlo ma preservarlo per continuare a infettarlo e a viverci.
Chi ragiona per il virus?
Questa idea colpisce, perché evidentemente il virus non dovrebbe ragionare finalisticamente: è un filamento di acido ribonucleico che traduce e trascrive i codici genetici dell’altro acido nucleico, il Dna (desossiribonucleico) per produrre aminoacidi e proteine, che sono componenti fondamentali dell’organismo. È una specie di trasmettitore. Se il virus non ragiona, vuole dire che per lui ragiona qualcun altro, verosimilmente chi lo ha fatto. È una occasione per pensare al senso delle cose.
Quello di cui non si parla più è l’immunità di gregge, perché, cercando con tamponi e anticorpi le persone infettate, non se ne trovano in quantità sufficiente a poter ritenere la popolazione protetta. Le caratteristiche immunitarie delle persone stanno diventando un oggetto importante di studio perché non si capisce come mai, a parità di età e condizioni di salute, alcuni siano ammalati, anche gravemente e siano morti, mentre altri no, rimanendo addirittura asintomatici.
Persiste quindi ignoranza, seria, non banale, “scientifica”. Anche di questo bisognerà ricordarsi. C’è di buono che si cura meglio, per appropriatezza terapeutica e disponibilità degli ospedali. Per quanto non si siano trovati farmaci specifici contro il virus, si è imparato a usare meglio i trattamenti che, pur non essendo in grado di distruggerlo, aiutano l’organismo a resistergli e quindi a eliminarlo. Così gli ospedali si sono svuotati e in particolare le terapie intensive, che possono accogliere adeguatamente gli eventuali futuri malati gravi.
L’autocelebrazione del premier
Qualche focolaio riappare ancora in varie parti d’Italia – Roma, Bologna, Mondragone – e soprattutto all’estero. Abbiamo sentito di Pechino, che, per quanto in presenza di numeri riferiti alquanto piccoli, ha rimesso in onda le note misure draconiane e lanciato accuse al salmone norvegese con tanto di sequenziamento del genoma di un nuovo virus, che sarebbe europeo. Abbiamo poi sentito di un nuovo focolaio in Germania, nella più grande macelleria di Europa (il problema non sarebbero le vacche, ma i numerosi lavoratori stranieri, provvisori e non controllati) e di focolai in Francia. Il virus, seppure a bassa intensità, continua a circolare, per non parlare dell’onda epidemica persistente in America e nel resto del mondo. Viaggi e trasferimenti sono ancora a rischio. Manteniamo prudenza, buon senso e il coraggio necessari ad affrontare la vita e la malattia. Ci sono più malati non di Covid che di Covid: i primi stanno diventando un problema notevole, data la riduzione dell’attività ospedaliera e ambulatoriale, determinata dalle misure di sicurezza, che limitano l’utilizzo degli spazi e delle risorse, anche umane.
Gli effetti della pandemia, che sembrano in corso di controllo da un punto di vista sanitario, si prospettano assai peggiori per la convivenza civile. Nonostante le parole numerose e rassicuranti del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che promette tutto a tutti, imprenditori e sindacalisti, commercianti, baristi, ristoratori e albergatori, banchieri e operatori della finanza, i partiti di opposizione e anche esponenti dei partiti di governo temono sfracelli con disoccupazione, fallimenti e debiti alle stelle, soprattutto pericolo di disordini sociali.
Un filo di ottimismo è dato dalla nuova sensibilità che sta dimostrando l’Unione Europea, i maggiori paesi della quale – Italia, Francia, Spagna e la stessa Germania – paiono avere compreso che la situazione è così grave che ci si salva o si muore insieme. Si stanno discutendo e mettendo a punto imponenti piani di intervento nonostante l’opposizione dei cosiddetti paesi “frugali” – Olanda, Austria, Danimarca e Svezia – curiosamente denominati così perché non vogliono pagare i debiti degli altri, in particolare i nostri. La loro influenza, tuttavia, non dovrebbe essere superiore alla proporzione della loro popolazione complessiva, circa 32 milioni di abitanti, la metà di quella della sola Italia. Gli altri 20 paesi dell’Unione sperano di trarre anch’essi benefici, come hanno sempre fatto, dalle decisioni dei paesi maggiori, con i programmi che sono speranza per i moltissimi che stanno andando incontro a povertà e miseria.
L’impegno dell’Europa
Ricordiamo questi programmi almeno come idea: è stato sospeso il patto di stabilità, quello che non consentiva un debito superiore al 3 per cento del Pil nazionale; sono state alleggerite le condizioni per accedere al Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) per finanziare prestiti e altre forme di assistenza, per esempio sanitaria; è stato introdotto un fondo (Sure) per coloro che hanno perso il lavoro a causa del virus; è stata prevista per la prima volta l’emissione di bond per finanziare la ripresa (piano Next Generation); è stato pensato un fondo per pagare i debiti non pregressi, ma futuri provocati dalla grave crisi economica (Recovery Fund). Si tratta complessivamente di circa 550-700 miliardi di euro di cui 200 dovrebbero venire all’Italia. Conte non perde occasione per celebrare il protagonismo del nostro paese e suo in particolare per questo risultato, che non è ancora certo perché deve passare dal voto unanime dei paesi dell’Unione Europea, compresi quelli frugali.
Il Foglio, giornale che stimo perché pensa, almeno per sostenere con contenuti il suo tono divenuto un po’ predicatorio, dipinge un’immagine sostanzialmente positiva di Conte, perché con la sua stupefacente malleabilità individua il potere emergente e più forte e quindi, indirettamente, favorisce il buon senso politico. Conte è descritto come democristiano di una volta, un surfista. È stato capace di portare il M5s dall’antieuropeismo più scalcagnato alla rassegnazione filoeuropea; ha rotto con la Lega, pur essendo corresponsabile della sua politica e dei suoi danni; si è alleato con i progetti politicamente corretti del Pd suo maggiore avversario; riesce a rintuzzare le critiche, comunque benigne, alla sua verbosità e inconcludenza facendo vedere che fa tutto il possibile. Bisogna ammettere d’altra parte che non è circondato da collaboratori che giganteggiano e che l’opposizione è affetta da «misterioso rincitrullimento» (sempre copyright del Foglio).
Una vita che non teme la morte
Infine bisogna ammettere che Conte e la palude che lo circonda sono stati creati con il voto degli italiani, i quali hanno dimostrato che l’incultura faziosa e protestataria è diventata caratteristica popolare, oltre che delle élite e dei gruppi dirigenti che l’hanno diffusa. Non è il barcaiolo che cerca di galleggiare, è la palude che tira giù. Aggiungiamo la crisi e il malfunzionamento della magistratura, che non è corrotta, è così; aggiungiamo la farragine burocratica per cui l’80 per cento dei decreti attuativi è ancora da varare; aggiungiamo l’inevitabile agitazione e paura da Covid alla prima influenza stagionale, qualunque ne sia la causa: abbiamo il quadro di un autunno da cui si farà una certa fatica a venire fuori.
Tuttavia c’è voglia di ricominciare e non tutti hanno smarrito la ragione e il gusto di impegnarsi. Lo abbiamo visto nei quasi duemila partecipanti alle teleconferenze della associazione Esserci sulla speranza, la ripresa e le sue risorse, incluso un giudizio sull’epidemia da Covid. In particolare, nella conferenza su questo tema ha colpito la testimonianza di Lorenzo Berra, giovane (almeno per me) medico italiano, divenuto professore a Harvard e direttore della terapia intensiva respiratoria al Massachusetts General Hospital (l’ospedale di Harvard). Parlava dall’Alabama dove si era recato nell’ambito di un giro nel Sud degli Stati Uniti per contrastare la diffusione dell’epidemia da Covid. Nell’ultima parte dell’intervento in cui ha descritto la drammaticità del suo lavoro recente, ha detto che lui è un “memor Domini”, dedicato a Dio con promessa di verginità, povertà e obbedienza, e che in questa esperienza trova le ragioni di quello che fa, della sua battaglia per una vita che non ha paura della morte.
Si tratta di ragioni chiare e piene. Altrimenti si finisce facilmente in un solidarismo, che è importante e commovente nel momento drammatico del bisogno, ma non ha resistenza e tenacia quando il bisogno è meno eclatante, ma altrettanto esigente. Questo esempio – non tanto farci monaci, ma rendere ragione di quello che siamo con le parole e il lavoro – dobbiamo seguire, pochi (secondo la cosiddetta opzione Benedetto) o tanti (speriamo) che siamo.
Per chi cerca l’impresa, la possibilità dell’impresa c’è. Di questa avventura vogliamo sentire e vedere, non le solite prediche a giustificazione di quello che bisogna fare perché non si è riusciti a farlo prima.
Foto Ansa
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