Il cardinale George Pell è accusato in Australia di essere stato a conoscenza di numerosi abusi sessuali, compiuti da sacerdoti nelle diocesi dove ricopriva la funzione di vescovo e vescovo ausiliare, e di non averli denunciati né essere intervenuto per fermarli. Sono le conclusioni riguardanti l’ex arcivescovo di Melbourne contenute nel rapporto finale compilato dalla Commissione reale sulla risposta delle istituzioni agli abusi sessuali su minori. La Commissione, istituita nel 2012, ha concluso il suo rapporto nel 2017 ma le parti su Pell sono state tenute segrete in attesa che si concludesse il processo che lo vedeva imputato come autore di abusi su due minorenni.
LA CACCIA ALLE STREGHE CONTINUA
Quel processo, è bene ricordarlo, è stato definito da diversi osservatori una «caccia alle streghe» e si è concluso con la piena assoluzione del cardinale ad aprile. A scagionarlo da tutte le accuse è stata l’Alta Corte, la più importante del paese, che ha demolito le precedenti sentenze di colpevolezza (primo e secondo grado) che hanno fatto scontare ingiustamente all’ex tesoriere del Vaticano oltre 400 giorni di carcere.
Che il clima sia ancora infuocato lo dimostra anche la notizia, diffusa pochi giorni dopo l’assoluzione di Pell, che il cardinale è di nuovo nel mirino della polizia australiana per un altro presunto caso di abusi sessuali su minori che sarebbe avvenuto negli Sessanta nella diocesi di Ballarat. Pell ha sempre negato le accuse, ma discolparsi non sarà facile visto che nel processo dal quale infine è uscito pulito il cardinale era stato scagionato dalla versione di oltre 20 testimoni. Eppure sia una giuria popolare in primo grado, sia due giudici in secondo, l’avevano ugualmente condannato credendo alla versione di un solo accusatore, peraltro non confermata da alcun testimone.
«SORPRESO, SI TRATTA DI ACCUSE SENZA PROVE»
È questo il clima in cui sono state diffuse le nuove accuse a Pell dalla Commissione reale. Accuse cui il cardinale ha già riposto in un comunicato dicendosi «sorpreso» dalla loro formulazione e sottolineando che «non sono supportate da prove». Nonostante questo, secondo il Guardian, la polizia di Victoria, che non è iperbolico definire intenta in una campagna di persecuzione del prelato, potrebbe aprire un’indagine per verificare se quanto asserito dalla Commissione è vero o meno.
Scendendo più nel dettaglio, la Commissione reale sostiene che Pell sapesse degli abusi compiuti nella diocesi di Ballarat da Gerald Ridsdale, sacerdote che è stato spretato dopo aver ammesso ed essere stato condannato per molteplici abusi sessuali su minori. L’allora vescovo della diocesi, Ronald Mulkearns, lo spostò di parrocchia in parrocchia ma non disse mai a Pell il perché di quegli spostamenti prima del 1993. Secondo la commissione, invece, Pell lo venne a sapere in due riunioni del 1977 e del 1982, quando svolgeva il ruolo di consigliere del vescovo. In quelle riunioni, si difende Pell, il vescovo non disse la vera motivazione dietro gli spostamenti. La stessa cosa hanno dichiarato gli altri partecipanti alle due riunioni.
Ridsdale, condannato a oltre 30 anni di carcere, ha anche accusato Pell di aver cercato di corromperlo in cambio del suo silenzio. Il cardinale ha negato categoricamente che sia successo e la Commissione ha confermato che sembra assai improbabile. Diverse altre accuse, riguardanti altri casi, sono state scartate dalla Commissione.
CAPRO ESPIATORIO DEGLI ERRORI DELLA CHIESA
La Commissione sostiene anche che Pell non abbia agito in altre due occasioni per fermare due sacerdoti pedofili. La prima riguarda il periodo in cui Pell era vescovo ausiliare di Melbourne. L’allora arcivescovo Frank Little aveva nominato padre Peter Searson parroco di Doveton, nonostante fosse a conoscenza di accuse nei suoi confronti. Pell ha testimoniato alla commissione di aver ricevuto da una delegazione una lista di accuse nei confronti del sacerdote nel 1989, tra le quali però non figurava quella di abusi. Aggiunse anche che ogni azione a riguardo spettava al vescovo e all’ufficio per l’educazione cattolica. In un comunicato, infine, il cardinale sottolinea che non appena è diventato arcivescovo di Melbourne nell’agosto 1996 ha subito agito secondo le sue responsabilità sospendendo il sacerdote nel marzo 1997 e rimuovendolo due mesi dopo a maggio. Searson è morto prima che potesse essere processato.
Secondo la Commissione inoltre nel 1996, quando Pell era già arcivescovo di Melbourne, a una riunione della Curia si parlò di una possibile denuncia nei confronti del sacerdote Wilfred Baker «per un incidente avvenuto a Brighton nel 1965». La Commissione però non è in grado di dire se la Curia fosse a conoscenza che l’«incidente» riguardava un abuso sessuale verso minori. Sempre secondo l’inchiesta, nonostante le incertezze, Pell avrebbe dovuto intervenire allora e invece lo fece soltanto nel maggio 1997. Baker è stato poi condannato a quattro anni di carcere ed è morto nel 2014.
In un’intervista con il giornalista di Sky, Andrew Bolt, uno dei pochi che l’ha difeso fin dal principio durante il processo, Pell ha dichiarato esplicitamente di essere «un capro espiatorio». La polizia di Victoria, al pari di altre istituzioni australiane, cercherebbero di colpirlo non solo per la sua importanza all’interno del Vaticano ma anche per punire attraverso di lui l’intera Chiesa cattolica per gli errori commessi nella gestione degli abusi sessuali.
PIONIERE DELLA LOTTA ALLA PEDOFILIA
Non va inoltre dimenticato che Pell è l’uomo che più di tutti, da vescovo, nella Chiesa australiana ha agito per evitare che si ripetessero abusi sessuali da parte di sacerdoti e coperture da parte dei vescovi. A neanche tre mesi dalla sua nomina approvò infatti il “Melbourne Response”, protocollo che invitava tutte le vittime a denunciare gli abusatori, stabilendo una commissione indipendente che da una parte esaminasse le eventuali accuse pervenute, dall’altra offrisse assistenza, compensazione (fino a 50 mila e 75 mila dollari australiani, più di quanto venisse offerto dallo Stato), oltre a chiedere perdono per gli errori commessi. La commissione indipendente, composta esclusivamente da laici, esaminò 350 denunce, approvandone il 97 per cento.
Non si può neanche far finta che Pell non detenga il record di sacerdoti rimossi dal ministero: ben 28 in cinque anni a Melbourne. Il cardinale ha sempre definito gli abusi sessuali commessi da sacerdoti su minori un «obbrobrio», ha inasprito insieme al cardinale Joseph Ratzinger alla Congregazione per la dottrina della fede le misure contro i sacerdoti pedofili nel 2001 e da arcivescovo di Sidney, nell’agosto del 2002, quando fu accusato di aver commesso un abuso nel 1961, si è sottomesso al protocollo che lui stesso aveva stilato: si è fatto da parte nell’amministrazione attiva della sua diocesi fino a quando una commissione indipendente non ha stabilito che le accuse erano false, ritornando al suo ruolo soltanto due mesi dopo a ottobre.
CONTANO LE PROVE, NON LE ILLAZIONI
Queste misure pionieristiche sono state adottate da Pell prima di chiunque altro in Australia, eppure il cardinale è ancora accusato di aver commesso e coperto abusi su minori. Non è chiaro se le “scoperte” della Commissione reale si trasformeranno in processi: per ora si tratta di fango. Se saranno presentate accuse formali, la speranza è che i giudici diano più rilievo alle prove rispetto alle illazioni. Pell ha già passato oltre 400 giorni in carcere da innocente, ora nuove accuse zeppe di condizionali si aggiungono a quelle passate. L’impressione è che la «caccia alle streghe» non sia affatto finita.
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