Pedofilia, dietro all’attacco a Benedetto XVI c’è l’attacco all’istituzione della Chiesa
Che l’attacco al Papa emerito Benedetto XVI arrivato dalla sua Germania con l’accusa di aver omesso di intervenire in quattro casi di abusi sessuali quando era arcivescovo di Monaco, sia stato un attacco strumentale e finalizzato a raggiungere un bersaglio ben più grosso e succulento per l’ala liberal e aperturista della Chiesa non solo tedesca, è stato chiaro fin da subito al punto che solo un cieco poteva non vederlo.
Colpire ciò che Ratzinger rappresenta
L’obiettivo era (è) chiaro: assestare la spallata decisiva nei confronti di colui che soprattutto in Germania rappresenta l’ortodossia e che in quanto tale viene ancora visto come il nemico numero uno dalla «…linea progressista – ha detto il card. Müller al Corriere della Sera – alla quale dà fastidio. Lo hanno sempre criticato e attaccato, è una voce che si vuol far tacere». Si tratta com’è noto di quesi settori liberal che ritengono superata e, quindi, da riformare la dottrina della Chiesa in tema di celibato (d’accordo quella sul celibato non è una dottrina in senso stretto ma ci siamo capiti), di sacerdozio femminile, di morale sessuale, ecc.
E’ evidente insomma che si è voluto colpire non tanto e non solo l’uomo Ratzinger (tanto più che stiamo parlando di un quasi novantacinquenne e dalla salute cagionevole) quanto piuttosto tutto ciò che il Papa emerito rappresenta. Ossia, in una parola, la Chiesa intera in quanto istituzione. Una Chiesa che «coloro che si rispecchiano nelle derive del sinodo tedesco», come ha detto di recente sempre al Corriere della Sera il vescovo emerito di Reggio Emilia monsignor Massimo Camisasca, vuole riformare per – si dice – metterla al passo con i tempi e con ciò provare ad arginare l’emorragia di fedeli (e soprattutto di quattrini, vista la disastrata situazione finanziaria della Chiesa tedesca).
La cancel culture applicata alla Chiesa
Si tratta di quei settori, ha detto ancora monsignor Camisasca, che «non hanno mai accettato il pontificato di Benedetto XVI, la sua umiltà, la sua chiarezza, la sua teologia profondamente aperta e nello stesso tempo radicata nella tradizione, l’acutezza della sua lettura del presente, la sua battaglia contro la riduzione della ragione, la sottolineatura del valore sociale della fede, l’apertura del diritto a un fondamento etico veritativo». E questo, oltretutto, con buona pace del fatto che si sta parlando di colui che più di ogni altro già quand’era Prefetto della congregazione per la Dottrina della fede e poi da Papa, ha fatto e detto e scritto contro la pedofilia tra le fila del clero.
Non si spiega altrimenti il senso di un’operazione, per altro simile a quella del “rapporto Sauvè” che ha scosso la Chiesa di Francia solo pochi mesi fa. Ma anche operazione che, da altra angolazione, consente di accendere un riflettore su un aspetto non secondario della crisi in atto nella Chiesa. Il fatto cioè che tra un sinodo e l’altro la barca di Pietro sembra essere sempre più afflitta da un assai poco sacro furore masochistico, nella misura in cui si illude che per purificarsi delle colpe del passato sia necessario affidarsi a soggetti presuntamente terzi che operano – questo il punto – né più né meno applicando alla storia ecclesiastica i canoni della cancel culture.
E’ ancora monsignor Camisasca a stigmatizzare il fenomeno: «Non capisco perché la Chiesa francese e quella tedesca abbiano scelto la strada di commissioni “indipendenti”, che in realtà non sono, perché viziate, almeno in alcuni loro membri, da un pregiudizio anticattolico. Nello stesso tempo non bisogna mai misurare gli atteggiamenti di decenni fa con quelli che sarebbero doverosi oggi, a partire dalla coscienza più matura della gravità dei fatti e la conseguente sensibilità che si è sviluppata a ogni livello della società».
Decontestualizzare per colpire meglio
Un concetto simile è stato espresso da Giuliano Ferrara che ha parlato di una «Chiesa disarmata che adotta il linguaggio degli scristianizzatori, dei persecutori in giudizio del clero ordinato, dei sociologi, sondaggisti, giuristi, psicologi impegnati senza contrasto e resistenza e difesa a dimostrare la connaturalità di cura delle anime e pedofilia criminale, in nome della giustizia delle vittime». Intendiamoci, non si vuole qui certo sminuire la gravità, laddove sia accertata, di chi si è macchiato di simili abusi. Anche un solo caso è di troppo.
Con la stessa chiarezza va però ribadito che quando ci si esercita in ricerche come quelle di cui si sta parlando, si commette sempre un errore e non da poco nel trascurare quali fossero il clima e il contesto dell’epoca in cui i fatti sono accaduti (per tacere del non banale dettaglio che lo studio legale incaricato dalla diocesi di Monaco è lo stesso che nel 2018 prese una cantonata clamorosa nei confronti del cardinale di Colonia, Woelki, sempre in tema di pedofilia).
Tanto più – e questo è un altro punto spesso trascurato – che parliamo dello stesso clima e dello stesso contesto – in particolare gli anni sessanta e settanta del secolo scorso di cui non a caso parlò proprio Benedetto XVI nei famosi quanto inascoltati “Appunti” sugli abusi sessuali del clero – che in nome e per conto della rivoluzione sessuale pretese sdoganare la pedofilia come un orientamento sessuale come gli altri, salvo poi stracciarsi le vesti quando questo orrendo peccato riguarda qualche uomo di Chiesa. Alla faccia dell’ipocrisia.
Gli obiettivi dell’ala liberal della Chiesa
Ma, come si diceva all’inizio, gli obiettivi di tutta questa operazione erano e sono altri. Non a caso nei giorni scorsi sono arrivate due conferme, tanto più significative in quanto provenienti da ambienti affatto diversi. La prima si deve a Gad Lerner, che ha chiuso un commento sul Fatto Quotidiano dicendo a chiare note: «Sia Bergoglio sia Ratzinger sanno che la Chiesa uscirà completamente trasformata da questo cataclisma. Cambierà la dottrina e cambieranno le regole del diritto canonico». Chiaro, no? Cambierà la dottrina e il diritto canonico, due riferimenti niente affatto vaghi.
La seconda conferma, stavolta interna alla Chiesa e quindi ancor più “pesante”, è arrivata da colui che è stato scelto da Papa Francesco come relatore generale del Sinodo dell’anno prossimo, il gesuita card. Hollerich. Che in un’intervista a La Croix-L’Hebdo, settimanale del quotidiano cattolico francese, di cui alcuni stralci sono stati riportati dal Corriere della Sera, ha detto senza troppi giri di parole: «C’è un errore sistemico… Dobbiamo adottare dei cambiamenti. Mi sembra chiaro che questi temi saranno nella mente e nel cuore di tutti durante il processo sinodale». Per poi aggiungere: «Chiediamoci francamente se un prete deve necessariamente essere celibe. Ho un’opinione molto alta del celibato, ma è indispensabile? Ho diaconi sposati nella mia diocesi che esercitano il loro diaconato in modo meraviglioso. Perché non avere anche preti sposati?». Più chiaro di così si muore.
Non ci vuole un genio per capire che quello che non è riuscito al Sinodo sull’Amazzonia (il cui esito, secondo i più autorevoli osservatori, fu pesantemente condizionato da uno scritto a difesa del celibato proprio di Benedetto XVI, contenuto in un volume del card. Sarah), l’ala liberal e progressista della Chiesa proverà a farlo al prossimo Sinodo del 2023, magari confidando che nel frattempo Ratzinger passi a miglior vita (noi ovviamente speriamo di no, per il bene suo e della Chiesa).
Abolire il celibato: una toppa peggiore del buco
Naturalmente nessuno sa come andrà a finire. Una cosa però possiamo dirla fin d’ora. Abolire o rivedere in senso aperturista la disciplina del celibato rischia di essere la classica toppa peggiore del buco. E non una, ma due volte. Primo, a motivo del fatto che sono proprio quelle stesse realtà alle quali ammiccano i novatori di ieri e di oggi – leggasi: le comunità protestanti in Germania – la miglior prova della miopia di una simile operazione nella misura in cui lo sanno pure i muri che il protestantesimo in Germania è in crisi (per usare un eufemismo), e questo nonostante del celibato manco l’ombra.
Secondo, e cosa più importante: se davvero la Chiesa vuole risolvere la piaga della pedofilia, bisogna smetterla una volta per tutte di guardare al dito per non vedere la luna. Lo ha ribadito senza mezzi termini monsignor Camisasca nella già citata intervista: «Non c’è nessun legame tra celibato e pedofilia. Purtroppo molti pedofili sono sposati». La luna che si continua a non vedere e che rappresenta la grande assente di tutta questa discussione ha un nome preciso: omosessualità. I numeri parlano chiaro: almeno l’80 per cento degli abusi sessuali compiuti da membri del clero sono di natura omosessuale. Motivo per cui se è vero che non tutti i preti omosessuali sono pedofili, è altrettanto vero che la stragrande maggioranza dei casi di pedofilia riguardano preti omosessuali (a partire dal ben noto ex card. McCarrick).
È l’omosessualità dilagante nel clero – cui corrisponde a livello teorico quella che già nel 2012 il prof. Oko della Pontificia Accademia di Cracovia definì “omoeresia”, ossia una concezione dell’omosessualità che contrasta con il magistero della Chiesa cristallizzato nel Catechismo e nei documenti ecclesiali – il vero problema, altro che il celibato (e men che meno il clericalismo, come pure una certa narrativa si ostina a ripetere, che semmai può essere un aggravante non certo la causa).
La Chiesa e l’omosessualità
Prevengo l’obiezione: ma è dalla notte dei tempi che l’omosessualità alligna tra gli uomini di Dio, né lo scopriamo certo ora che la Chiesa ha sempre chiuso un occhio e forse tutti e due sulle, come dire, debolezze del clero in materia sessuale. In realtà le cose non stanno esattamente in questi termini.
Lo spiegò Vittorio Messori in un’intervista che ebbi il piacere (e l’onore) di fargli qualche tempo fa per Tempi. Alla domanda se ritenesse vi fosse nella Chiesa il tentativo di sdoganare l’omosessualità, Messori rispose: «Da sempre gli omosessuali sono attratti da Chiesa, navi, forze armate, pompieri e cantieri edilizi, essendo tutte realtà anche oggi con grandissima percentuale maschile. Ogni vescovo cattolico lo sapeva e vigilava, pronto a dimettere l’aspirante al seminario che si fosse rivelato gay, magari dopo aver superato il primo esame per accertarne le tendenze. Poi venne il Concilio, e con esso anche nella Chiesa entrò il virus autoritario e grottesco del “politicamente corretto”. Dunque, niente discriminazioni, porte aperte a tutti, respingere chiunque era un comportamento da “fascista”. Soprattutto in paesi come la Germania o l’Inghilterra o anche gli Stati Uniti le gerarchie cattoliche si vergognarono di non adeguarsi alla maggioranza protestante dove i gay erano e sono accolti come privilegiati e diventano persino vescovi magari “sposati” con l’uomo di cui sono innamorati. Senza arrivare (almeno per ora) a questi estremi, la presenza omosessuale si è molto allargata anche tra il clero cattolico. Arrivare persino a “sdoganarla” pubblicamente e ufficialmente, come mi chiede, mi sembra difficile, visto che ci sono di mezzo sia l’Antico che il Nuovo Testamento con le loro indiscutibili e severe condanne. Si è però ricorsi a un trucco che molti cattolici, ingenuamente, non hanno avvertito. Si è organizzato, in effetti, un intero sinodo mondiale sulla sodomia nella Chiesa ma si è riusciti a non fare mai, dico mai, la parola “omosessuali” e “omosessualità”. Il sinodo era rigorosamente ristretto alla pedofilia, la violazione sessuale dei bambini. Ma questa è una perversione piuttosto rara, come rari sono i bambini soli in sacrestia o all’oratorio. Stando alle tristi statistiche, più dell’80 per cento dei violentati o almeno molestati era ed è composto non da bambini ma da adolescenti, da ragazzi, da giovani. Insomma, non pedofilia, ma “normale” pederastia omosessuale. Ma questo non si doveva dire, per non trascinare nella condanna i signori omosessuali, così numerosi e potenti».
Ho voluto riportare per intero la risposta di Messori perché centra in pieno il punto. E il punto è che: a) non è vero che in passato la Chiesa ha fatto finta di niente di fronte ai casi di omosessualità tra i sacerdoti o aspiranti tali; b) la svolta c’è stata dopo il Concilio, quando a causa di una malintesa “apertura” della Chiesa verso il mondo (apertura che tuttavia, va pur detto, non è riconducibile al Concilio in quanto tale checché ne dicano i suoi detrattori, quanto piuttosto alla lettura “progressista” del Concilio che storicamente si è imposta) anche la formazione del clero come tutta intera la morale sessuale si è lasciata irretire dalle sirene della modernità.
Chi vuole sdoganare l’omosessualità
Nel frattempo c’è stata un’evoluzione. Oggi il fatto nuovo (anche se nuovo fino a un certo punto), e che dovrebbe preoccupare molto di più dell’aspetto morale o peccaminoso in sé (di cui in ogni caso tutti i predatori e gli abusatori seriali di questo mondo dovranno rendere conto a Dio quando verrà il momento), è che nella Chiesa è in atto il tentativo di sdoganare l’omosessualità anche da un punto di vista dottrinale. Con l’aggravante, spiace dirlo ma è vero, che dai segnali che arrivano sembra che il problema neanche venga percepito come tale.
Anzi, in virtù di una malintesa idea di accoglienza o, peggio, di carità a buon mercato che sembra misconoscere che non vi può essere vera carità senza verità (e viceversa), si sta imponendo un approccio pastorale nei confronti delle persone omosessuali tale da aver ingenerato nell’opinione pubblica, come anche in ampi settori ecclesiali, la (falsa, sia chiaro) convinzione che la Chiesa consideri ormai l’omosessualità una condizione assolutamente normale tanto quanto l’eterosessualità. Il risultato è che oggi c’è molta, troppa confusione sull’argomento.
La soluzione non è l’abolizione del celibato
Perché allora non sfruttare questa ennesima crisi per fare chiarezza, rifuggendo da improbabili quanto stravaganti funambolismi teologici e pastorali all’insegna del «sì, ma» e che nulla hanno a che vedere con l’evangelico «il vostro parlare sia sì, sì; no, no, il di più viene dal maligno»? E’ giunto il momento che la Chiesa dica chiaramente se essa considera ancora gli atti omosessuali come “intrinsecamente disordinati”, oppure no. Tertium non datur.
Va ribadito in ogni caso che l’abolizione del celibato servirebbe a ben poco, visto e considerato che un omosessuale non saprebbe cosa farsene di potersi accoppiare con una donna. Per non parlare del fatto che qualora la disciplina del celibato venisse rivista, non è difficile immaginare che immediatamente verrebbe posta anche la questione del matrimonio tra preti omosessuali, con tutto ciò che ne consegue. Fantascienza? Forse. Intanto registriamo la notizia di queste ore, manco a farlo apposta a ridosso della pubblicazione del rapporto che ha accusato Benedetto XVI, dell’iniziativa di 125 dipendenti Lgbtq della Chiesa tedesca i quali hanno chiesto a gran voce che vengano espunte dalla dottrina della Chiesa le “dichiarazioni obsolete” in tema di morale sessuale. Staremo a vedere.
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