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Pasqua, è successo (sì, è pazzesco)

Il nostro augurio ai lettori è questo articolo di Luigi Amicone apparso su Tempi nel 2014. «Il cristianesimo è una compagnia all’uomo»

Luigi Amicone
17/04/2022 - 6:30
Chiesa
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Raffaello Sanzio, Resurrezione di Cristo, 1501-1502
Raffaello Sanzio, Resurrezione di Cristo, 1501-1502

Ripubblichiamo un articolo apparso su Tempi il 14 aprile 2004 con il titolo “Cristo, la lucertola negli interstizi di una terra riarsa”.

L’amico Kafka ha annotato: «Che significano oggi le costatazioni di ieri? Significano lo stesso come ieri. Sono vere, salvo che il sangue negli interstizi fra le grandi pietre della legge è assorbito». Cosa c’è di nuovo in questo mondo, oltre le verità di ieri assorbite come il sangue negli interstizi della legge?

Povera foglia frale, dove vai tu?

Domenica scorsa di duemila anni fa Gesù è entrato a Gerusalemme accolto da una folla festante, che gli vuole istintivamente bene, per il bene che ha sentito raccontare di lui. Tre giorni dopo, sotto l’istigazione del potere, quella stessa folla plaude alla sua messa a morte. Non c’entrano gli ebrei. È l’uomo, siamo noi che siamo fatti così. Fragili, volubili, cattivi come ogni uomo e ogni donna, di ogni tempo e a qualsiasi latitudine.

LEGGI ANCHE:

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Fa impressione assistere alle oscillazioni della grandezza e della miseria dell’animo umano sotto la pressione del potere e dei condizionamenti in cui vive. Fa impressione, da Baghdad a Madrid, vedere folle che un giorno plaudono un leader, il giorno dopo ne trovano un altro e magari da quiete che sono diventano all’improvviso furiose, capaci di qualsiasi brutalità sotto l’istigazione di qualche capo improvvisato, sia esso politico, religioso o tribale.

Ricordate la tragedia nei Balcani? è successo praticamente ieri (e in Kosovo tutto può ancora succedere): fino a un certo giorno non era possibile distinguere il musulmano dall’ortodosso, il croato dal serbo, poi all’improvviso il vicino comincia a perseguitare il vicino, famiglia contro famiglia in uno stesso palazzo, amico contro amico in una stessa compagnia, fino al massacro, fino ai pogrom, all’esodo, ai rifugiati, alla distruzione di interi popoli.

Grande è la potenza dell’ideologia

Grande, e banale, è la potenza del male. Tant’è che, oggi, fa impressione vedere come il terrore islamista sia in fondo il frutto di una semplice e banale assenza di educazione, cioè il frutto di una ideologia cresciuta e affermatasi non nella guerra in Iraq (che certo ha favorito la strumentalizzazione e la propaganda da parte dei fanatici, ed è questo che il Papa ha antevisto meglio di chiunque altro), ma nel quietismo religioso e nell’immobilismo politico e culturale del mondo islamico (di cui, in un certo senso, il terrorismo islamista rappresenta il corrispettivo del nostro ’68 e successivi anni di piombo).

Grande e banale è la potenza del male che suggerisce di vedere l’estraneo, il compagno, l’amico, solo come essere strumentale a una mia definizione, a un mio possesso, a un mio progetto, cioè a una mia ideologia, terrena o ultraterrena che sia.

Grande e banale è la potenza dell’ideologia. Per la quale non c’è avvenimento gratuito o imprevisto che abbia diritto a esistere, giacché sta scritto o pensato o immaginato che l’uomo è quello che è: ovvero ammasso di carne e sentimento funzionali a un’impresa, sia essa di classe, di razza, al servizio di un dio o – che è la stessa cosa – di una vita senza senso.

Per l’ideologia non esiste mistero, non esiste presente, non c’è mai un bicchiere mezzo pieno. Per l’ideologia c’è solo e sempre Storia, Umanità, Futuro; sempre e solo un al di là, Paradiso temporale o ultratemporale (sentimentale, politico, teologico eccetera), da attendere o da conquistare. Per l’ideologia c’è solo e sempre un bicchiere mezzo vuoto.

A che serve credere in un dio?

Più sottilmente e quotidianamente la nostra fragilità, volubilità, banalità di male, si vede nel limite strutturale che ha l’essere nostro nel mondo. Dove siamo tutti come quel tale sulla carrozza di Cechov, che confidato il proprio dolore a uno sconosciuto compagno di viaggio, poi si accorge che quello non ha ascoltato una parola, è sceso dalla carrozza, se n’è andato, e tu continui il viaggio nella solitudine del tuo dolore. Perché, cos’è in fondo il “bene” per l’uomo e la donna reali, se non una presenza, un amico che ti ascolti e si faccia compagno del tuo dolore?

Ecco, se fossimo teologi diremmo che il cristianesimo non è credere in Dio, non è credere nella Perfezione, non è credere nell’Umanità. Il cristianesimo è una compagnia all’uomo, è la morte e la resurrezione di Cristo. Il cristianesimo sono quelli lì di Emmaus che tornano a casa tristi e avviliti perché il loro amico non c’è più, colui che li ascoltava, li capiva, gli voleva bene, condivideva le giornate belle e brutte con loro, ecco quello lì non c’è più.

E invece Cristo è risorto. E invece Cristo sbuca, sbuca come una lucertola dagli interstizi di una terra che sembra totalmente riarsa, arida, senza speranza. Cristo sbuca e ti dice: «Donna, perché piangi? Chi stai cercando?». E la donna va a raccontarlo a quelli lì di Emmaus: a Tommaso, e «metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettila nel mio costato»; e a Pietro e «Simone di Giovanni , mi vuoi bene tu più di costoro?». E a noi che questo annuncio arriva come una catena di amicizie e di incontri che hanno attraversato duemila anni, ma per prenderci adesso, in un avvenimento umano imprevisto capitato in carrozza, a scuola o al bar.

Sì, è pazzesco

Un avvenimento che, quanto più passa il tempo a stargli dietro, uno capisce che sì, è vero, come il sangue che gli scorre nelle vene adesso, è vero adesso, «la vita come dramma, come lotta per il bene, è introdotta nel mondo solo da Cristo».

Ma è pazzesco? Sì, è pazzesco, e infatti non serve distendersi nelle proprie presupposizioni, saperi, immaginazioni. O è da pazzi o è vero, il cristianesimo. O Cristo è risorto ed Egli è qui, ora. O la fede dei cristiani è la cosa più inutile e insensata del mondo. In entrambi i casi è una domanda, non una chiusura ciò che dovrebbe scaturirne.

E la domanda – in fondo l’unica domanda veramente seria e grave della vita – è: come si fa, oggi, a sapere con certezza che, come dite anche voi di Tempi, Cristo è risorto ed è qui, ora?

Tags: cristoFranz Kafkapasqua
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