La preghiera del mattino
Non si può non concordare con la scelta di Mattarella di non essere rieletto
Su Startmag Francesco Damato sottolinea: «Ancora più chiaro e impietoso è il titolo interno del quotidiano romano: “Ma la scelta del presidente sarà fatta da un parlamento mai così distante dal paese”». Non si può non stimare Sergio Mattarella per il suo stile severo che in questi mesi drammatici ha aiutato il popolo italiano a resistere, e insieme non si può non concordare con la sua scelta di non essere rieletto: per quanto abbia pesato la pandemia, il settennato mattarelliano corrisponde all’affermarsi di “un parlamento mai così distante dal paese”.
Su Formiche Corrado Ocone segnala questa frase di Mario Draghi che afferma come non spetta a lui «dare valutazioni su cose che esondano dal mio compito». Insomma l’ex presidente della Bce si sottrae a un impegno politico per il quale non ha un mandato. Le su caratteristiche di fondo sono quelle di un tecnico che può aiutare la politica a ritrovarsi e civilizzarsi, ma non sostituirsi ad essa. Il ritratto perfetto di un garante che dal Quirinale riesca ad accompagnare una normalizzazione delle istituzioni italiane (governo, parlamento, partiti e magari magistratura).
Su Affari italiani Lorenzo Lamperti scrive: «Dopo il gas, i chip (o meglio semiconduttori). The German Job. Ormai c’è chi è tentato di definirlo così. Si dice spesso che un indizio è un indizio, due indizi possono essere una coincidenza ma che tre indizi iniziano ad assomigliare a una prova. E così viene la tentazione di dire che la Germania ama ballare da sola. Sì, certo, bello l’asse franco tedesco. Sì, certo, bello il rapporto che il neo cancelliere Olaf Scholz vuole costruire con l’Italia del premier Draghi. Sì, certo, l’Unione Europea… Ma alla fine Berlino va dove la porta il cuore, o meglio il proprio interesse. Come d’altronde è normale che sia, pure se talvolta lo fa a discapito degli interessi dei partner o supposti tali». Ecco un richiamarsi ai “fatti” che contribuisce a spiegare perché è necessario un garante al Quirinale per proteggerci e un “ritorno” della politica per tornare a esprimere una politica nazionale naturalmente (o possibilmente) legata anche all’obiettivo di una maggiore integrazione e nell’Unione.
Su Huffington Post Italia Alessandro De Angelis scrive: «La più forte, implicita in ogni risposta, è la consapevolezza che, a immutata indisponibilità di Mattarella, altre figure in grado di coagulare un ampio consenso non ci sono. E quindi se è vero che la sua ascesa al Quirinale rappresenta un’incognita sul governo, è vero anche che una maggioranza sul Colle diversa da quella del governo comunque non sarebbe priva di conseguenze». Ci si interroga su che cosa succederà se Draghi lascia Palazzo Chigi? Perché non studiarsi il caso greco, di una nazione nella quale il governo tecnico Papademos è durato tre mesi e poi si è andati a votare salvando lo Stato?
Su Huffington Post Italia Giovanni Orsina scrive che il conservatore «deve però avere la consapevolezza che qualsiasi mossa de-globalizzante potrebbe avere effetti negativi considerevoli; che le nazioni sono ormai assai fragili e non facili da rivitalizzare; e che, nell’attuale situazione mondiale, ri-nazionalizzare potrebbe significare indebolire i valori occidentali». Insomma mettersi a fare il conservatore può essere utile ma non è facile.
Sul Sussidiario Stefano Folli dice: «Temo che sia un’aspettativa troppo ottimistica. Il governo ha tenuto perché c’erano Mattarella al Quirinale e Draghi al governo. Se togliamo Mattarella secondo me l’equilibrio non regge». Folli pensa che la democrazia italiana sia così fragile che bisogna ingessare sia il governo sia il Quirinale (se non con Sergio Mattarella almeno il superusato Giuliano Amato). Però se almeno una gamba non è lasciata libera per camminare, il nostro destino sarà di procedere in carrozzella mentre il resto dell’Occidente cammina, quando non corre.
Su Huffington Post Italia Alessandro De Angelis scrive: «Non sarebbe senza effetto, in termini di forza e legittimazione, rimanere al governo con coloro che ti hanno rifiutato per il Colle». Insomma i vari partiti possono solo fare finta di opporsi a un Mario Draghi che si candida al Quirinale, perché se si ritrae da Palazzo Chigi tutto il cielo casca loro in testa. Aver drogato il Parlamento dal 2011 in poi facendo scendere le scelte dall’alto del Quirinale (e dell’asse carolingio che comanda da Bruxelles) ha lasciato dietro di sé partiti nei quali contano innanzi tutto gli istinti primari (dateci un altro anno di indennità). Per ripulirsi dalla droga ultradecennale c’è solo una strategia: limitare la scelta dall’alto al solo Quirinale, riprendendo un rapporto con l’elettorato nella formazione del governo.
Su Fanpage si riportano queste affermazioni di Carlo Calenda: «“È stata sbagliata la promessa: nessuno può ripulire Roma in due mesi”, ha dichiarato a Radio Capital. “Io non mi sento di giudicare Gualtieri in due mesi, ci vuole tempo, mi sento di dire che ha detto una stupidaggine. Che sei, Mandrake? Ci vuole più tempo, se noi non facciamo un termovalorizzatore e non rimettiamo gli spazzini di quartiere possiamo pure fare una pulizia straordinaria ma alla fine quello che ti succede è che ti si risporca la città”». I partiti che hanno ancora qualche radice nella società dovrebbero leggere con attenzione frasi di questo tipo: se non si ridà al voto dei cittadini un peso nella scelte, non solo di partito ma anche di governo, in un mondo deideologizzato e frantumato dalla comunicazione digitale, la scena sarà tutta dei piccoli (talvolta anche grandi) protagonisti di giornata (da Beppe Grillo a Carlo Calenda, da Matteo Renzi a nel futuro i Fedez, i novax e così via) che disgregheranno ancor di più l’Italia.
Sugli Stati Generali Mattia Marasti: «Chiariamo, una volta per tutte: i vaccini funzionano, sono efficaci nel prevenire la malattia grave e in parte anche l’infezione, rappresentano la nostra arma principale per uscire da questa situazione, ma da soli non bastano. Non significa essere no vax: significa essere consci della complessità del fenomeno». Chiariamo, una volta per tutte: solo la politica è in grado di organizzare strategie complesse, la tecnica offre solo scelte semplificatrici e quelle appunto semplificatrici impostate da Mario Draghi potrebbero essere (da prendere anche con la dose di enfasi necessaria a farle passare) le migliori a disposizione. Il problema di oggi è che la pandemia si è sviluppata in una fase di difficoltà delle democrazie occidentali: un’Unione Europea senza costituzione, una Germania desensibilizzata dal consociativismo merkelliano, una Francia con i suoi pilastri di destra e di sinistra polverizzati dal macronismo, una Spagna dalle tendenze centrifughe, Stati Uniti iperpolarizzati: la crisi della democrazia italiana non è isolata, è solo la più grave.
Il Post riporta notizie sulle nuove mosse dell’Unione Europea verso la Polonia, spiegando che «la procedura di infrazione può prevedere multe pecuniarie e varie limitazioni, ma è considerato uno strumento scarsamente efficace perché per arrivare fino in fondo ha bisogno dell’approvazione unanime degli altri 26 stati membri». Come già scritto, il consiglio è leggere e rileggere L’uomo senza qualità di Robert Musil e studiare come il geniale scrittore austriaco descrive il burocratico dissolversi di Kakania, la cosa più simile all’Unione Europea nella storia recente.
Atlantico quotidiano Federico Punzi scrive: «Chi chiedeva che fosse il premier a fare la prima mossa, a chiarire le sue intenzioni, è stato accontentato: Draghi è disponibile. Non solo: vuole l’incoronazione». Insomma siamo di fronte al caso in cui un re sostanzialmente ben vestito spiega come sia il “popolo” a essere nudo.
First online riporta una frase di Alessandro Profumo: «Non si può fare tutto». Da Unicredit al Monte dei Paschi, siamo abituati al poco e confuso che riesce a fare Profumo.
Foto Ansa
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