Non si fermano gli scontri fra israeliani e palestinesi. Da otto giorni, la striscia di Gaza governata da Hamas, continua a essere bersaglio dell’esercito israeliano, che intende fermare i razzi di Hamas che continua da anni a lanciare sul sud di Israele. Stamattina lo scoppio di una bomba su un autubus, in una zona centrale di Tel Aviv, ha fatto una decina di feriti. Un attacco terroristico che ha ricevuto la benedizione di Abu Zuhri, il portavoce di Hamas.
Per Fiamma Nirenstein, giornalista e vicepresidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati, le felicitazioni per attacchi che colpiscono civili innocenti «fanno parte della natura terroristica di Hamas». «E c’è pure chi in occidente sposa le loro ragioni».
Il conflitto fra Hamas e Israele di questi giorni è nato dalla risposta dello Stato ebraico agli attacchi dei razzi lanciati da Gaza da parte di Hamas. Da più parti, però, è Israele a essere messo sotto accusa. Il nodo centrale di queste accuse è la sproporzionalità nella reazione agli attacchi subiti. E in effetti i dati ci dicono che, in questi anni, il numero di vittime palestinesi è dieci volte superiore a quelle israeliane.
Hamas lancia migliaia di razzi contro Israele ogni anno. Sortiscono effetti più limitati delle rappresaglie di Tsahal, l’esercito israeliano, perché Israele investe sulla sicurezza dei propri cittadini, a differenza di Hamas che usa un milione di palestinesi come scudi umani. La scarsa considerazione per le vite innocenti da parte dei terroristi, vale nei confronti dell’una e dell’altra parte. L’importante, per i terroristi, è avere della carne da macello a disposizione per continuare a fomentare la propaganda vittimistica, mantenere l’attenzione mediatica concentrata su di sé e ottenere denaro e potere.
Le strade per uscire da questo annale conflitto sembrano non aver portato da nessuna parte. Un’altra accusa che viene mossa a Israele è quella di non voler raggiungere una reale condizione di pace, per non condividere il territorio con un vero Stato palestinese. Di voler continuare a essere una forza d’occupazione.
Non è così. Piuttosto le organizzazioni palestinesi, compresa l’Olp guidata dal presidente Abu Mazen, vogliono evitare le trattative. Israele si è ritirata da Gaza nel 2005, costringendo i suoi cittadini a trasferirsi, ad abbandonare case, campi, serre. Hamas da allora lancia razzi sul suo territorio. Il fatto che i palestinesi cerchino il riconoscimento dell’Onu, senza implicarsi in un confronto con Israele, significa che da parte loro non c’è alcuna volontà a impegnarsi con i propri vicini. Perché questo? Perché trattare con Israele significherebbe riconoscerlo come interlocutore. E come si può riconoscerlo come tale, se si auspica di distruggerlo?
Sul suo (ex) blog di Repubblica.it, il matematico “impertinente” Piergiorgio Odifreddi ha pubblicato un post, che è stato poi cancellato per ordine del direttore Vittorio Zucconi, nel quale paragonava le rappresaglie di Israele a quelle del nazismo.
C’è poco da dire. Questo paragone fra Germania nazista e Israele piace molto. Un vezzo vomitevole, figlio di una coscienza sporca, che vorrebbe ridurre la portata storica e criminale del nazismo e colpevolizzare gli ebrei di oggi, attraverso l’uso abominevole dell’olocausto.
Domani, la sua associazione Summit e altre organizzeranno una maratona oratoria “Per la Verità Per Israele”, davanti a Monte Citorio. Di cosa si tratta?
È un tentativo quasi impossibile: ristabilire la verità su Israele e sul conflitto in corso, deformata dai media e dalla propaganda anti-israeliana, che si avvale della forza di molti pregiudizi.