Il Nicaragua vieta le processioni religiose. Preti perseguitati e in fuga
Ogni giorno che passa si fa peggiore la persecuzione che soffre la Chiesa cattolica in Nicaragua da parte del regime del sandinista Daniel Ortega e di sua moglie, Rosario Murillo. Lunedì, ad esempio, mentre il dittatore celebrava l’anniversario della dichiarazione di indipendenza dell’Ossezia del Sud (sic), la polizia nicaraguense, sotto il comando del suo consuocero circondava la chiesa di San Michele Arcangelo di Masaya, città di 180mila abitanti che dista 30 km dalla capitale Managua. Obiettivo: fare rispettare il nuovo, assurdo, divieto imposto dal regime di celebrare processioni religiose ed evitare che l’immagine di San Michele Arcangelo uscisse dalla porta della chiesa per essere adorata dai fedeli (qui il video).
Già 50 preti del Nicaragua hanno chiesto rifugio altrove
Il giorno prima, domenica mattina, un altro video amatoriale diffuso sui social network aveva mostrato il commissario generale della polizia sandinista, Juan Valle Valle, sanzionato dagli Usa per le stragi del 2018, fare irruzione nel tempio cattolico di Masaya, accompagnato da diversi agenti di polizia per perquisire e minacciare il prete, padre Ramón López, tra le proteste dei fedeli.
Nelle ultime settimane Ortega ha incarcerato una dozzina di sacerdoti mentre altrettanti sono stati costretti all’esilio. Altri ancora sono stati espulsi o non possono né uscire né rientrare nel paese centroamericano, per ordine espresso del dittatore.
Qualche giorno fa, Monsignor José Canales, vescovo della diocesi di Danlí, in Honduras, ha riferito che al momento sono già almeno 50 i sacerdoti nicaraguensi che hanno chiesto rifugio a Tegucigalpa e in Costa Rica. Secondo Canales, il regime apre un fascicolo contro i religiosi che criticano pubblicamente la dittatura, per poi costringerli ad andarsene. «Sinora abbiamo ricevuto 50 richieste di preti che hanno espresso l’intenzione di fuggire ed una è già stata presentata alla diocesi di Danlí», ha riferito Monsignor Canales.
Il vescovo agli arresti domiciliari
Intanto peggiorano le condizioni di salute del vescovo della diocesi di Matagalpa, Rolando Álvarez, arrivato ieri al 46esimo giorno di arresti domiciliari. Secondo fonti della Conferenza episcopale del Nicaragua, una delle poche cose che si sa da allora di lui è che la reclusione ha peggiorato la sua salute e aggravato i problemi cardiaci di cui soffre. I quattro sacerdoti, i due seminaristi e il cameraman che erano con lui durante l’assedio della Curia, hanno “celebrato” invece lunedì un mese di reclusione nel complesso della Direzione dell’Assistenza Giudiziaria, il famigerato carcere delle torture de “El Chipote”. I sacerdoti Ramiro Tijerino Chávez, José Luis Díaz e Sadiel Eugarrios, Il diacono Raúl González Vega, i seminaristi Darvin Leiva e Melkin Sequeira ed il cameraman Sergio Cárdenas Flores hanno sinora potuto ricevere una sola visita in carcere.
Dopo 46 giorni di detenzione illegale del vescovo, non c’è ancora alcuna causa legale aperta e le autorità giudiziarie mantengono il completo segreto. A Matagalpa è rimasto solo il Vicario generale della Diocesi, monsignor Oscar Escoto, vigilato, giorno e notte, mentre la Curia continua a essere occupata dalla Polizia. La strategia del regime è scommettere che Monsignor Álvarez alla fine si “convinca” ad andarsene.
“Influencer pro dittatura” dal Nicaragua all’Italia
Tra chi se n’è andato c’è anche padre Uriel Vallejos, capo della parrocchia Divina Misericordia a Sébaco, Matagalpa che ha trovato rifugio in Italia. Padre Vallejos era stato assediato nella sua parrocchia, poi trasferito al seminario interdiocesano Nuestra Señora de Fátima, dove era rimasto per diversi giorni sotto la sorveglianza della polizia, ma alla fine è riuscito a superarla in astuzia e a lasciare il paese. Un altro prete appena fuggito è padre Vicente Martínez, parroco della chiesa di Santa Lucía a Ciudad Darío, fuoriuscito due giorni fa.
La sequela di attacchi diretti ai religiosi è accompagnato da un’intensa campagna di diffamazione e odio del regime, che tenta di manipolare l’opinione pubblica. E tra questi “influencer pro dittatura” ci sarebbe anche un giornalista italiano, Fabrizio Casari, come rivelato da Expediente Publico e riportato anche dal Confidencial, punto di riferimento del giornalismo investigativo nicaraguense indipendente, che sarebbe «stato pagato 210.000 dollari dal regime per fare lobby politica a suo favore in Europa».
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