La morte di Cucchi e altri casi irrisolti. Che forse non sarebbero tali se i nostri magistrati avessero un po’ di umiltà
Il caso Cucchi è l’ultimo in ordine di tempo. A margine di esso rileggiamo elenchi di vicende giudiziarie, recenti o meno, attraversate da decisioni discordanti, da condanne seguite ad assoluzioni e viceversa, da andamenti simili al gioco dell’oca – ogni tanto si torna al punto di partenza –, più che ancorati alla necessità di sapere chi è il colpevole di un omicidio: dopo anni di esposizione mediatica, con simulazioni e plastici, non vi è ancora una parola definitiva, oltre che sulla morte di Stefano Cucchi, su quelle di Chiara Poggi, Meredith Kercher, Simonetta Cesaroni, Yara Gambirasio…
Sorprende che si sia in possesso di strumenti tecnici molto più sofisticati ed efficaci rispetto al passato, dal Dna alle intercettazioni telefoniche e ambientali, e si ottengano risultati più deludenti. È vero, si tratta di episodi diversi fra loro, non tutto va messo in un unico calderone; ma vale la pena chiedersi se, oltre la singolarità dei casi, ci sia qualche ragione comune a una tale sequela di obiettivi fallimenti: la pronuncia di questa o di quella corte sarà formalmente ineccepibile, ma di fallimento si tratta se anni e anni dopo da ciascun delitto non esce una parola certa sulla responsabilità.
Vi è certamente un dato strutturale: nel codice di procedura penale vigente fino al 1989 le indagini venivano svolte, con una discreta autonomia, dalla polizia giudiziaria; il pm o il giudice istruttore, a seconda della complessità del fatto, esercitavano un vaglio di giuridicità delle stesse, e quindi ne prospettavano l’esito al giudicante. Col codice introdotto nel 1989 la polizia giudiziaria ha perso autonomia e le indagini sono dirette fin dall’inizio dal pm: ciò ha comportato che poliziotti e carabinieri fin dalle primissime battute – quelle decisive, quando si raccolgono elementi preziosi, destinati a disperdersi velocemente – dipendono per intero dalle indicazioni del magistrato. Costui può essere persona esperta, con grande competenza nelle tecniche di indagine; ma non sempre è così, e le conoscenze di questo tipo, che costituiscono materia di concorso e di avanzamento di grado per la polizia giudiziaria, non appartengono obbligatoriamente al bagaglio culturale di un pm: per superare il concorso di magistratura si studia altro. Quando ci si chiede perché non sono state rilevate macchie ematiche che avrebbero indirizzato su talune piste di indagine, o perché è trascorso del tempo prima di effettuare confronti e accertamenti, spesso la ragione sta negli ordini che il pm ha dato (o non dato) allorché ha coordinato le indagini.
La sbornia da Dna
A fianco a questo, e a esso collegato, vi è un dato culturale. L’elemento essenziale di ogni indagine, prima ancora dell’esperienza e delle conoscenze tecniche e giuridiche, è l’umiltà. Umiltà vuol dire consapevolezza che la realtà è più complicata di quanto immagina chi indaga, che la prima ipotesi di colpevolezza non è detto che sia l’ultima, che quello che sembra di intuire va rigorosamente verificato nei fatti. Vuol dire, soprattutto, non fare affidamento su un solo mezzo di indagine: pentìti, intercettazioni, Dna, hanno ciascuno la propria efficacia, a condizione che si consideri ciascuno di essi “uno” strumento, non “lo” strumento.
Nei decenni si è passati dall’affidamento esclusivo sui pentìti alla esaltazione delle conversazioni captate dal telefono o dalle “cimici”. Adesso viviamo la sbornia da Dna: ma i dubbi derivanti dal suo uso indiscriminato crescono. Puntare su un solo strumento può apparire comodo: perché darsi pena di ascoltare testimoni, confrontare dati che vanno riportati a coerenza, lavorare oltre la soglia del ragionevole dubbio, cercare un filo logico in ciò che appare assurdo? Tutto ciò richiede fatica, dedizione, disponibilità a tornare sulle convinzioni maturate. Il bilancio della soluzione facile è però l’assenza di soluzioni; se poi si giunge alla indecifrabilità dell’accaduto non c’è più tempo per tornare indietro.
Nella nostra giustizia non vi è solo un problema di imparzialità; vi è pure, e non è lieve, un problema di efficienza. Quando si parla di giustizia da riformare, il lavoro da fare potrebbe includere il riequilibro del rapporto fra polizia giudiziaria e pm; e quello, più complicato, di favorire una cultura della giurisdizione meno sommaria e apodittica. In alternativa, si può proseguire nell’inventario dei fallimenti.
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9 commenti
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A proposito del “caso Cucchi”. Quando c’è un caso controverso, subito tutti, con in testa i giornalisti, si dividono fra “colpevolisti” e “innocentisti”. Bene: dato che, se esiste la logica e se è una componente essenziale dell’agire umano, ogni delitto deve avere un movente almeno credibile. Bene: mi dicano i “colpevolisti” del “caso Cucchi”, quale “movente credibile” avrebbero potuto avere dei poliziotti – o carabinieri, insomma, quello che erano – per massacrare di botte uno spacciatore colto in flagrante. Qui mi sembra di rileggere lo “slogan” POLISSIA AZZAZZINA, che i “sessantottari” scrivevano, a loro tempo, sui muri. Precisazione “storico-sociologica”: gli errori di ortografia, ovviamente voluti, derivavano dal fatto che le scritte dovevano apparire “fatte dagli operai”, che – secondo quelli studenti, tutti di estrazione borghese – erano “semianalfabeti”…
Ancora un caso di malagiustizia, oltre a quelli elencati da Mantovano: i due fratellini di Bisceglie, ritrovati morti in fondo a un pozzo, dove nessuno era andato a cercarli, dopo che gli inquirenti avevano perseguito le “piste” più “fanta-giudiziarie”. Se li avessero cercati subito là dentro, forse li avrebbero potuti salvare: ma ciò non era da “genii della criminologia”…
perché due piloti americani si divertivano a passare radenti una funivia? perché erano esaltati. la stessa cosa vale per i poliziotti che lo hanno pestato e i medici che li hanno coperti. tu parti dal presupposto che le persone siano tutte buone e che si vogliono bene. ma non è così. non mi interessa il legame tra colpevolisti di oggi e di ieri. hanno massacrato di botte un detenuto. preferisco ascoltare il grido di sua sorella che chi difende l’indifendibile.
Chissà se lei sosterrebbe queste baggianate se al posto di Cucchi ci fosse stato suo figlio.
infatti sono intoccabili. anche da chi di loro fa interviste su questa testata. almeno ci hanno risparmiato i commenti di Giovanardi.
Il dna a voi fa comodo solo quando si tratta di costruire argomentazioni per condannare le donne a gravidanze indesiderate 😉
i giudici sono esseri umani, possono fallire nel giudizio e certi fatti sono oggettivamente difficili da accertare
Davanti a simili affermazioni non si sa se ridere o piangere.
A me i giudici sembrano una casta di intoccabili.
387,86 euro lordi, raddoppiabili per la “complessità del caso”……
In Italia abbiamo solo il Ris di Parma attrezzato per indagini scientifiche e purtroppo , essendo l’unico centro attrezzato a ciò su territorio nazionale, talvolta non può essere materialmente subito presente sui luoghi dei delitti, prima che la scena venga contaminata e le tracce perse. I medici legali in Italia non sono assunti presso le Procure ma hanno delle specie di contratti “a chiamata” quando c’è il morto da sottoporre ad autopsia e la cifra ricevuta per far ciò è veramente ridicola perché devono coprire con essa anche tutte le spese ovvero pagare sala autoptica, fare autopsia, fare vetrini per laboratorio e ore di lavoro per redigere perizia. Mi sembra che un medico legale per far ciò riceva 500 euro lordi ed in tasca tolte tutte le spese rimarranno 50 euro? Ecco un idraulico , con tutto il rispetto per gli idraulici, forse guadagna di più. Inoltre non sempre arrivano subito i Ris di Parma e gli altri corpi di polizia non sono molto attrezzati e addestrati , e non hanno le strutture adeguate per raccogliere tutte le prove. Dimentichiamoci CSI , da noi non esiste ciò in ogni città o al limite in ogni capoluogo di regione. Quindi è il Sistema che non funziona ed i giudici sono solo il tassello finale, di un sistema che non funziona. Quindi i casi rimangono irrisolti, ..già con le attrezzature di Csi c’è il rischio , figuriamoci così come siamo ridotti noi in Italia. Ci vorrebbe una centrale stile Ris di Parma in ogni regione e forse i casi verrebbero risolti .