
Essendo noi anni luce lontani dall’intendere la comunicazione (dovremmo dire la “vita”?) da come la intendeva Luca Morisi, possiamo toglierci lo sfizio di difenderlo. L’uomo che ha inventato la cosiddetta “Bestia”, la macchina social salviniana, è incappato in una storiaccia di droga. Sebbene si sappia ancora poco, le varie iene dattilografe (cit. D’Alema) presenti nelle redazioni dei giornali si sono buttate addosso alla bestia ferita usmando l’odore del sangue.
Ci vuole sempre un bersaglio
Repubblica oggi ha titolato “Morisi, ‘droga dello stupro’. Salvini sempre più solo”, accostando l’elemento di cronaca al giudizio politico o, per meglio dire, al bersaglio (da quelle parti hanno sempre bisogno di un bersaglio). È la solita storia e tutte le volte sembra ripetersi con lo stesso schema: usare delle soffiate provenienti dalle procure per colpire l’avversario politico. Vexata quaestio da cui pare impossibile uscire, anche dopo clamorosi casi recenti (le assoluzioni sulla trattativa stato mafia) che pure dovrebbero portarci a seppellire definitivamente il circo mediatico-giudiziario.
E invece niente, si va avanti così, pure nel giorno in cui un altro caso sensazionale arriva sulle pagine dei quotidiani (l’assoluzione dell’ambasciatore Giffoni, una vita distrutta dopo 7 anni di calvario giudiziario).
Morisi e Gramellini
Gigi Amicone ha già sistemato da par suo il “Gesù in Lamborghini” Fedez, ma oggi le pagine dei quotidiani sono pieni di altri Fedez con meno tatuaggi e maggior acredine. Il loro campione è Massimo Gramellini che sul Corriere infilza Salvini e Morisi, rei di essere degli «spargitori di malumori e rabbie represse». La loro colpa è quella di avere sempre diviso «con l’accetta il mondo in buoni e cattivi», di non avere la sensibilità adatta per comprendere la complessità «e la naturale fragilità dell’essere umano, con le sue imperfezioni e le sue cadute continue».
Come dargli torto? Morisi faceva esattamente questo, ed era il più bravo (e invidiato) a farlo. Il punto è che tra Morisi e Gramellini non c’è differenza. Il primo usava i social, il secondo usa tutti i giorni la prima pagina del Corriere della Sera.
Una misericordia gonfia di spine
Ha ragione Stefano Zurlo oggi sul Giornale a notare che molti dei commenti alla vicenda sono caratterizzati da un medesimo ritornello – “non tratteremo lui come lui ha trattato noi” – che fa solo da ipocrita prefazione alla filippica di condanna.
«Usano tutti le stesse parole, una misericordia gonfia di spine, proclamandosi migliori dell’uomo che ora è nella polvere. Pina Picierno del Pd è sulla stessa linea: “La risposta naturale sarebbe ricambiare con la stessa moneta, con l’ironia e le calunnie”. Tradotto in italiano: “Tu sei un essere spregevole, noi abbiamo altri parametri, quindi non aggiungeremo altro, ma intanto ti marchiamo» (Stefano Zurlo, “Garantisti solo a parole”, Il Giornale).
L’ultima versione del moralismo giustizialista è “non ti sputo in un occhio per non darti confidenza”, non esattamente un chiaro esempio di garantismo e sensibilità umana.
Un plauso a Lapo Elkann
Viene quasi voglia di rivalutare Matteo Salvini, uno cui su queste pagine non si risparmiano critiche, che all’amico ha teso la mano nel momento del bisogno. E fare un plauso oltre che al Riformista (“Morisi va difeso senza rinfacciargli il passato”) anche a Lapo Elkann, l’unico che, in tutta questa vicenda, ci pare abbia espresso una posizione clemente e acuta.
«Una volta Salvini per attaccarmi disse che facevo “dichiarazioni stupefacenti” e poi venni travolto sui social. Mi piacerebbe che oggi non accadesse a lui ed i suoi collaboratori lo stesso. L’odio genera odio. Nessuno di noi è Maestro, siamo tutti peccatori. “Sì ma loro…” non giustifica nulla. Ed i giornali che mettono la notizia come apertura sono pastori della discordia. E chi oggi grida vendetta non è diverso da chi disprezza. Esistono le leggi e poi esiste la pietà. Solo un cuore infelice si nutre dei problemi altrui».
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