Moriremo soffocati dalle tasse, ma coi conti in ordine. «Sono soddisfazioni»

Di Redazione
23 Dicembre 2013
L'editoriale di Panebianco, l'intervista al capo economista della Bce, una riflessione di Pellicani. Esistono regole che impediscono il cambiamento

Lo «Stato corporativo» minaccia la «pace sociale». In un duro editoriale sul Corriere della Sera, Angelo Panebianco critica il fatto che la maggioranza di governo abbia votato un emendamento alla Legge di stabilità che «dà ai sindacati il potere di veto sui licenziamenti nelle municipalizzate di Roma». Un emendamento proposto dal senatore di Forza Italia Francesco Aracri e passato anche grazie ai voti del Pd, «mentre veniva respinta (per il veto della Cgil) una proposta di Linda Lanzillotta che andava nella direzione opposta».

LE LOBBIES DELLA SPESA PUBBLICA. Il premier Enrico Letta, «che è uomo colto e intelligente», prosegue Panebianco, «anziché difendere l’indifendibile», dovrebbe a questo punto spiegare al Paese, «perché qui da noi ciò che ci si propone inizialmente di fare – vedi la parabola tragicomica della spending review – non può essere fatto (da nessuno)». Letta dovrebbe spiegare «le ragioni per cui è al di là delle umane capacità innescare in Italia un percorso virtuoso di sviluppo». E la colpa di tutto questo immobilismo, secondo l’editorialista, è da attribuire alla «potenza delle lobbies che, in Parlamento, nell’amministrazione, negli enti locali (…), negli organi della giustizia amministrativa, stanno a guardia della spesa pubblica». Oltre che alla «forza di una tradizione culturale che avvalla e legittima l’azione delle suddette lobbies», ma anche alle «regole del gioco costituzionale e non, costruite per impedire inversioni di marcia».

STATO CORPORATIVO, PAESE PIÙ POVERO. In particolare, osserva Panebianco, «con una Costituzione diversa i governi italiani potrebbero disporre di una forza simile a quella che detengono i governi della altre grandi democrazie europee. Ma il partito trasversale della spesa e delle tasse non può accettarlo». E lo «Stato corporativo», che così facendo sostiene di tutelare la «pace sociale», non si accorge che, in realtà, «l’impoverimento del Paese avanza inesorabilmente», si gonfia l’«esercito dei non tutelati» e, «alla fine, la pace sociale viene meno», a causa «della rivolta, e dell’assedio, degli esclusi».

CAMBIARE LA COSTITUZIONE. Secondo Panebianco, se il Paese non sarà in grado di «sbarazzarsi di ciò che di sbagliato o inadeguato c’è nella Costituzione del ’48», rischia di aver ragione Peter Praet, capo economista della Bce, che in un’intervista su La Stampa ha detto che «siamo stati bravi, abbiamo messo sotto controllo i conti. (…). C’è solo il piccolo dettaglio che lo abbiamo fatto a colpi di tasse anziché di tagli. Moriremo per asfissia da tasse ma con i conti (forse) in ordine», nota ironico Panebianco. «Sono soddisfazioni».

PIÙ POTERI AL CAPO DEL GOVERNO. Ma cosa vuol dire cambiare la Costituzione? «Se si vuole istituzionalizzare il decisionismo», notava già Luciano Pellicani sul Foglio del 23 novembre, «occorre muoversi verso una riforma costituzionale che modifichi la logica sintattica del sistema, di modo che cessi di essere una democrazia assembleare frammentata e assuma le vere forme della democrazia governante». Vale a dire, prosegue Pellicani, «una democrazia con un esecutivo dotato di quei poteri decisionali che sono indispensabili per governare una società in continua trasformazione e permanentemente alle prese con sfide inedite, le quali non possono essere affrontate con semplici mezzi amministrativi». Ma non basta. Secondo Pellicani, «l’istituzionalizzazione del paradigma decisionista esige una radicale riforma del potere esecutivo». Oggi, infatti, in Italia, «chiaramente abbiamo un capo dell’esecutivo impotente, al quale, peraltro, viene attribuita la piena responsabilità del governo»; senza che, però, gli siano attribuiti, per esempio, i «poteri di cui dispone il cancelliere in Germania e il premier in Gran Bretagna». Due paesi «di consolidata democrazia e di consolidato decisionismo. I quali ci indicano la strada da imboccare, se si vuole effettivamente curare l’emiplegia che ha afflitto la Repubblica sin dalla sua nascita».

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8 commenti

  1. Stefano

    Ma queste cose non le diceva anche Berlusconi e veniva accusato di essere un eversivo, fasccista, ecc…?

  2. beppe

    vorrei fare gli auguri agli amici fraterni dell’azione cattolica che nella mia diocesi fino a qualche anno fa davano segni di vita solo quando c’era da ”difendere la carta” con la C maiuscola. e la carta era in pericolo solo se c’era in giro berlusconi. ora che napolitano ne fa strame, silenzio assoluto! bravi!

  3. AndreaB

    Buonasera cara redazione di tempi. Vorrei prima di tutto farvi i piu’ sentiti auguri di buon Natale con un vivo ringraziamento per quanto state scrivendo. Tentare di far combaciare dei valori cristiani con le correnti politiche e’ tutt’altro che facile ma e’ veramente utile. Il tema delle tasse, soprattutto quando ”Cesare” chiede molto, forse troppo, non puo’ essere trascurato e deve essere affrontato anche secondo l’ottica cristiana. Vorrei, in questo ambito osservare una cosa che e’ banale, ma che spesso, elucubrazioni economiche ci fanno dimenticare. I soldi dovrebbero essere a disposizione di chi li usa meglio, chi aiuta i meno abbienti, chi aiuta e favorisce la possibilita’ di lavorare, chi insegna valori positivi alle nuove generazioni: il valore dell’aiuto reciproco e dell’amore verso il prossimo, il valore del sacrificio per la propria famiglia ed il desiderio di contribuire a rendere migliore il proprio paese. Se lo Stato ha bisogno di piu’ soldi bisogna assicurarsi che vengano usati bene, sotto gli occhi di tutti. Se alle imprese venissero ridotte le tasse, anche li’ bisognerebbe sempre fare in modo che i soldi in piu’ venissero usati per l’innovazione ed il miglioramento. Esistono ancora impresari consci che il valore piu’ grande per un’azienda sono le persone? Il progresso deve essere sostenibile… Un progresso che aumenta la disoccupazione non e’ progresso. Sarebbe bello leggere piu’ articoli che spiegassero il perche’ il governo e’ costretto ad aumentare le tasse e che facessero capire meglio dove vanno a finire tutti i soldi… Il perche’, anche in Italia, i poveri diventano sempre piu’ poveri ed i ricchi sempre piu’ ricchi… Forse dobbiamo veramente cambiare alcuni attuali dictat dell’economia…Forse il mercato dovrebbe essere governato da leggi un po’ piu’ cristiane. In ultimo vorrei esprimere un piccolo pensiero sulla nostra Costituzione. Cambiarla e’ rischioso piu’ che non cambiarla.

  4. marzio

    Beh , i “ragazzi” della Redazione hanno ragione, morire soffocati dalle tasse ma con i conti “in ordine” è una cosa divina, ah ah ah.Comunque Auguri di Buon Natale a tutti i lettori di Tempi e….alla Redazione ,ovviamente !
    PS.: ma come fate voi della Redazione ,a volte, a sopportare i nostri “commenti” ? ah ah ah

  5. Piero

    Quanta ipocrisia… Quando queste cose le diceva Berlusconi tutti a strapparsi le vesti, a gridare ossessivamente, a puntare il dito inquisitorio…
    Quanta IPOCRISIA…

    1. Immanuel

      Berlusconi oltre che dire avrebbe dovuto fare e sul fronte riduzione spesa pubblica non ha fatto al pari degli altri.

      1. Piero

        Certo con “alleati” (per modo di dire) statalisti (forse peggio del PCI) come l’UDC di Casini e Follini, e AN, deve essere stato facile eh?

  6. ragnar

    Ma come si fa a tagliare la spesa pubblica in un paese dove l’unico obiettivo dei politici è di mantenere la poltrona a qualunque costo pur di avere lauti stipendi e future pensioni?
    Lo ripeto per l’ennesima volta: partita persa fin dall’inizio.
    Tagliare la spesa pubblica significa andare a toccare privilegi acquisiti da anni, per i quali i diretti interessati faranno le barricate pur di non perderli (vedi tassisti, notai, avvocati, etc…), significa non dare più soldi alle clientele che garantiscono voti, dunque poltrone, significa rivedere una costituzione che non fa comodo a nessuno a parte i politici stessi…
    In altre parole, non aspettiamoci un futuro brutto. Aspettiamocene uno ancora più brutto.
    A meno che non decidiamo di prendere le armi, circondare il parlamento e obbligare i politici a fare delle scelte per loro dolorose che siano per il bene dei cittadini. Perché purtroppo, checché se ne dica, quella italiana non è una Repubblica parlamentare, bensì una tirannia oligarchica con qualche sembianza di sistema elettorale.

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